DIMISSIONI DI UN COADIUTORE PROFESSO

29 luglio 1917
       P.P. Albertone, quad. VII, 43-47
Conf. del 29 Luglio 1917
(ai soli Chierici, dopo la lettura dei voti dell'esame)
Ebbene, sapete perché vi voglio parlare...? ho da dirvi alcune cose: vede­te, sono andato a S. Ignazio, ho fatto gli esercizi, e, grazie a Dio, sono andati bene... e ho pensato a tante cose, e non dico di avere avuto dei lumi sopranna­turali, ma certo il Signore mi ha aiutato a considerare le cose, e mi sembra che certe cose sono state vera disposizione di Dio... Adesso voi siete pochi, una parte, troppi sono via! alcuni devono di nuovo andare e noi restiamo pochi..., sembrerebbe umanamente parlando una desolazione!... Ma io ho voluto con­siderarlo bene questo, e non è così! Anche questo è una disposizione di Dio, che fa tutto per il nostro meglio! Siamo pochi?... Ebbene, bisogna aumentare lo spirito, bisogna fare tutto ugualmente come se fossimo molti, come se la co­munità fosse tutta intera: e specialmente praticare l'ubbidienza, l'umiltà... avere spirito vero!
E non bisogna che crediate, quasi, di essere contenti di andar via, di do­ver uscire, e cominciare a volere essere liberi, perché anche i soldati non sono liberi, e devono render conto di tutto quello che fanno: devono mandare i con­ti dell'attivo e del passivo, come ho scritto sulla circolare... e guai a chi parte con l'intenzione di essere libero e non dipendere... più! Sapendo l'intenzione mia che mi mandino conto di questo e di quello... e... con questo si fa il loro interesse!... e devono mandarlo a dire, e lo sanno: da chi vanno a confessarsi, quando vanno, e poi, ecc... altrimenti chi vuol fare con libertà si comincia da poco e poi si perde lo spirito! Il Signore ha bisogno di nessuno, ci provvede di tutte le cose che abbiamo bisogno, ma guai a chi parte da casa con questo amore di libertà, contento di non essere più tanto sotto la soggezione dei Supe­riori!
E se io domando il rendiconto di tutto è un dovere loro di darlo, hanno i voti, sono religiosi, ed è un dovere mio di farlo dare. E si fa anche per interes­se loro! Se io so che hanno tanto di entrata, e tanto dai parenti, perché anche questo devono consegnare, certo ... e spiegheremo poi la lettera sulla povertà... via! so regolarmi. Vedete, adesso cento lire, e non avevo di più, al­trimenti gliene avrei dato; ma è venuto qui e il Prefetto gli ha ancora dato ven­ti lire, per lui e per gli altri suoi compagni... Chi è dei parenti che faccia così? Perché un parente manda uno scudo sembra già chissà che cosa... invece quando io vedo che un poveretto laggiù non mangia che insalata alla sera, do­mando subito: «ma, non c'è latte in questo paese? non c'è qualche cos'altro?». Queste sono le note che mettiamo alle lettere noi...
C'è chi non fa ancora questo, e chi avesse intenzione di non farlo, meglio fin da adesso che lasci lì, ... parta! E quelli che vogliono vivere in libertà, di quei lì penso male, e poi si staccano dall'Istituto, e poi? Dico nessun nome.
Ma veniamo a noi; lasciamo stare i soldati. Degli altri non è il numero, il Signore si contenta di pochi, e quelli che dovranno andare sotto le armi, se vanno preparati, il Signore li farà rinforzare nello spirito; il Signore sostenga quelli chiamati sotto le armi! E i nostri soldati ritoneranno veramente più for­tificati, come tutti scrivono in tutte le lettere... perché il male è male, ma fa male alla maggioranza, sì; ma a chi sta attento, e massime è unito con i Supe­riori il Signore lo aiuta... ma chi volesse intromettersi qua e là, e non fare i suoi affari, non fare quello che deve fare... dare dei fastidi... vedete: in un giorno sono tre cose; al mattino sulla gazzetta vedo la chiamata dei riformati; che è un vero strazio per i Superiori!... ma! Dopo viene D. Spinello con una lettera del Sig. Prefetto, che dice che la nostra spedizione ultima di sedici casse è stata silurata e tutto è andato a fondo! Più tardi, D. Dolza verso il fine del pranzo arriva con la notizia che quella casa delle Suore in costruzione, il go­verno vuol di nuovo prendercela per una fabbrica di automobili, ecc.... Dico, senza essere Giobbe, tra me: un nunzio annunzia una cosa dolorosa, poi un al­tro, e poi un altro disastro... Ma! eppure? Dominus dedit, Dominus abstulit, sit nomen Domini benedictum! Ma la cosa più dolorosa è per voi, per la vostra chiamata: per il resto, la spedizione, certo, c'erano pianete, pennini, carta, quattordicimila lire di roba. D. Dolza aveva dovuto andare a Milano, ece. Pa­zienza! Dominus dedit, Dominus abstulit! Sicut Dominus voluit ita factum est, come dice là!
Tuttavia voi, finché siete qui, dovete vivere con questo spirito; come, per­ché siamo pochi dobbiamo lasciarci andare? No, niente affatto, finché ce n'è uno, dovete fare come i fratelli Maccabei: l'ultimo diceva: Melior sum fratribus meis? Bisogna procurare che non vi sia anzi niente di dissolvente, più ub­bidienti ancora; cercare di aiutare realmente i Superiori e non occuparvi dei ragazzi; gli assistenti hanno occhi... e loro hanno tutto quello che bisogna; e nessun altro se ne occupi. C'è di nuovo un po' questo spirito; lasciateli stare! Un pochino di questo gusto di ficcarvi in questo... non possiamo separarli, ma non bisogna che ve ne occupiate: costoro non mi piacciono!
Altri poi che desiderano di stare qui, e non usare tutta quella pienezza di spirito, ecc... insomma, di corrispondere, costoro escano subito! Vedete, non vi parlo mai di queste cose: non son solito parlarne, ma questa volta ve ne vo­glio parlare per ammaestramento. Carlo dopo dodici anni che era qui! ecco che in questi ultimi due anni... noi abbiamo usata tanta tolleranza, ma lui ub­bidienza niente! voleva fare come voleva! E anche alla Consolata erano tutti stanchi, perché andava là, e si chiudeva in una camera, e nessuno più lo vede­va: e l'abbiamo preso alle buone, ma non c'era modo!
Il giorno poi di S. Giuseppe, vedete che cuore, che bel complimento da fare! invece di scrivere la lettera di augurio come fate; mi ha scritto una lettera di prepotenza, quattro pagine di foglio, dove si lamentava di tutto, e persino dell'ultima vestimenta che gli avevo fatta fare nuova. E diceva che lo manda­vo vestito come una zebra: e così di quel passo.
E io ho lasciato passare qualche giorno e poi lo chiamo là: «hai pensato a quello che hai scritto? Come non vuoi più domandare permessi per uscire? Ma è forse N. Signore o il Padre Eterno che ti ha dispensato dal chiedere i permes­si? Massime i permessi? E l'ubbidienza? Hai i voti! perpetui!». Finalmente lo prendo alle buone, e poi gli scrivo una lettera dove gli espongo tutti i principii veri come diportarsi: — naturalmente non posso più lasciarti andare dalle tue sorelle senza permesso: perché gli empivano la testa, e adesso!... e così degli altri permessi, neppure il Signore non può dispensarti dall'ubbidienza! < «Dun­que, gli dico, qui ci restano solo tre vie di mezzo: o metterti a posto — o an­dartene via da te stesso — o ti mando via io! Adesso subito non voglio la ri­sposta; ti do tre giorni per pensarci, fa un triduo alla Madonna e poi ci parle­remo». Ed ecco che dopo tre giorni ritorna e mi dice che vuol andare via. «Hai riflettuto bene? Va ancora a fare una visita alla Madonna e poi vieni». E lui esce, se pure è andato in chiesa, e poi ritorna trionfante: «Sì; me ne vado via!». E credeva che tutto il mondo gli aprissero le porte, perché era conosciu­to e qui e là e là! ! !, «Guarda bene, gli dico, a quello che fai». Ma ha più volu­to saper niente. Mi dicono che si è offeso perché gli ho detto che non era ne­cessario: ma certo, io l'ho sempre detto questo e lo dico ancor adesso, io non sono necessario; nessuno al mondo è necessario; no, tu non sei necessario, lo ripeto forte! e così qua e là è andato...
Gli dicevo: Va, presenta la lettera che ti ho scritto: va da D. Albera, e se lui ti dà ragione io riconosco che ho sbagliato!
Ecco che è poi venuto e si presenta il giorno della Consolata: Come? Hanno fatto tutto lo stesso senza di me? — Sì, fatto e tanto bene! Fatta la fe­sta e senza di te! Credeva che tutte le porte gli fossero aperte!... È andato fuori, ma in casa con il caro-viveri che c'è adesso le sue sorelle non lo voleva­no... hanno una casa a Chieri... essi le sorelle la vogliono per loro.
E intanto sento che è già andato in tre posti: In uno si è sentito risponde­re: come? Se io potessi sarei ben contento di rimanere missionario! ecc... e fi­nalmente rigettato di qua, rigettato di là, dicono. S'intende, basta dire che sei venuto via, che non credono più neppure alle lettere di raccomandazione, a quello che dicono.
Finalmente me lo vedo arrivare a S. Ignazio: era già andato dai Cappucci­ni, passionisti, barnabiti, P. Giacobbe... nessuno lo aveva accettato... e se avesse avuto un po' di buon senso sapeva intenerirmi... niente: stava lì!, «Ma che cosa devo fare? Che cosa devo fare?» — «Ma, fa quello che vuoi; quello che certo si è che non ti prenderò mai più nell'Istituto!». Allora... Come? co­me? non mi prende più? ma che cosa devo fare? Ma...
Guarda fa così... va dai Cappuccini, domandi un posto, non nei laici, ma negli oblati, terziari ecc... Non so... là ti manderanno al pascolo... può darsi che quando avrai dato buona prova ti accettino nei laici. Ma guarda bene, non andare a fare una farsa: qui nel letto con due materassi ti lamentavi, là sarai sugli assi col paglione... Qui in Chiesa eri sempre seduto, là starai sempre ingi­nocchiato per terra; là non avrai più una vestimenta da zebra, ma andrai con un vestito rattoppato... Pensaci bene, prima di fare storie! e poi hai i tuoi de­nari, e se vai in un altro Istituto bisogna portarli i tuoi beni! — Come? come? I denari? — S'intende, perché è solo all'Istituto della Consolata che ti conce­devano questo: per disporre dei tuoi beni ci vuole il permesso. Conosco il Pa­dre Provinciale e ti raccomanderò; va così e quello che ti daranno da fare lo farai; il mondo non è fatto per te! e poi ... e poi....
Assi; credeva di trovare tutto aperto! Invece? So che è andato a cercare da due o tre; e uno gli ha detto, un avvocato: «ma salu nen che vuria esse pi giuvu, e ndè mi missionari», ecc.
Basta, stamattina viene di nuovo da me, e mi dice che i Cappuccini lo ac­cettano, ma il provinciale voleva un mio scritto; e gliel'ho fatto. Ecco che ver­so le nove viene ancora da me il Provinciale dei Cappuccini, e l'ho pregato di accettarlo, anche per fare un piacere a me; è una creatura che mi fa pena! E al­lora mi dice che poteva farlo, le regole non lo proibivano, e che l'avrebbe ac­cettato come terziario questa sera. E poi mi ha domandato se doveva lasciarlo a Torino. Naturalmente dopo otto giorni lo vestono, e non gli fanno mica un vestito da festa;... e quindi ho detto: a Torino, naturalmente è conosciuto... e quindi lo mandi altrove; fa una carità! Non faccia come hanno fatto a lei, che dopo pochi giorni che era andato via dal Seminario e che era andato a farsi cappuccino, l'avevano vestito con un abito di tutti i colori, coi sandali e con una sportula lì... e poi mandato lì in Seminario a farsi vedere! E naturalmente tutti per ridere l'hanno tapasciato in tutti i modi. Non gli facciano questo! «Eppure, mi ha detto, noi lo facciamo questo per esercitarli nell'umiltà». Ma gli usi tutte le carità possibili! E basta, l'ha accettato come terziario, e lo man­deranno in cucina, sotto ancora ai Coadiutori... Dunque: qui era coadiutore; e là è sottocoadiutore... e lo metteranno in cucina o in una stalla... e così non ha voluto accontentarsi del pane, e... mangerà ghiande...
Vi dico questo che non è proprio secondo il mio solito di dire, perché ve­diate a che punto arriva un povero superbo, insoffribile di domandare i per­messi... e ho detto: voglio contarlo! E ho detto a quel padre: Non voglio che vada contro la regola, ma se può lo accetti! — No, non è contro la regola.
Ma se fosse venuto con più umiltà... ma neppure ora... sempre lo stesso! Preghiamo almeno che duri, e la penitenza che non ha fatto qui la faccia là. Se lo tengono così non è religioso, ma spero che lo faranno poi passare... Insomma bisogna corrispondere bene! Non bisogna che qualcuno dica ancora: pre­go il Signore che mi faccia conoscere la vocazione. Che bisogno di conoscere di più? Adesso sapete che la vocazione l'avete, bisogna che preghiate il Signo­re che vi faccia corrispondere... Ma bisogna ubbidire! Guai a chi si sottrae dall'ubbidienza! Guai a chi amareggia i Superiori. Hanno bisogno del loro aiuto, perché essi devono assistere e pensare a tutti... e chi non vuole ubbidire se ne vada prima che lo mandino via! Quest'anno ero solo, ho fatto gli Eserci­zi da solo, e ho fatto una vita di Paradiso... Bisogna che ci facciamo un'idea giusta delle cose: nessuno è necessario! Preghiamo che nessuno debba fare la fine di certuni... Vorrei dire qualche cosa di più di Capello, che si è esaltato nello spirito che il Signore l'ha umiliato nella carne. Ah guai! guai a coloro che vogliono essere contro i Superiori! Bisogna farsi amare dai Superiori!... là! perché sarebbe il peccato di Cam! Mi rincresce perché sono venuto per av­vertirvi, non per amareggiarvi; umiltà miei cari, umiltà!
E così spero che sia la sanità di quel giovane. Perché gli volevo tanto be­ne, e gli usavo tante cure. Anzi una volta che il mio domestico aveva avuto da andare via gli avevo commesso tutto a lui... tanto che il domestico si è lamen­tato con qualcuno, e temeva che lo mandassi via, perché diceva: «Pare che Carlo faccia meglio di me!».
Invece è una consolazione vedere come i nostri soldati molti facciano ap­punto tutto bene. Fanno con spirito di sacrifizio, mandano i loro resoconti, volta per volta, e si vede l'ubbidienza!... Fanno niente senza mandar a dire ai Superiori. Potrei leggere tante lettere dei nostri, anche del caro defunto, in cui dice proprio tutto, ma sono private e si bruciano... ma chi non vuol fare così... chi vuol fare come vuole?!... avete la grazia della vocazione; guai a chi
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non corrisponde! guai a chi non è di questo spirito! Perché il Signore mi dà il coraggio di mandarlo fuori. Io sperava che Carlo si inginocchiasse e doman­dasse perdono! Che non avrei saputo resistere... ma anche allora no!...!
Ma non cade foglia senza che Dio lo voglia e lo permetta... perciò ho pre­gato in questi Esercizi che il Signore mi desse non solo conformità alla sua vo­lontà, ma uniformità, e ho detto: qui dentro non voglio che si faccia la mia vo­lontà, ma la sola volontà di Dio; e ho domandato fino da principio la grazia di non fare nessun peccato veniale di superbia. Voglio poter morire senza aver mai avuto un peccato di vanagloria, e quando sento che mi dicono fondatore... e tutte queste storie... mi fa l'effetto contrario...
Il Signore nell'orto non aveva detto: mi adatto alla tua volontà; mi unisco alla tua volontà; ma ha detto: depongo la mia volontà, non mi adatto, ma tol­go la mia volontà, perché vi sia solo la tua.
Sembrava che io fossi troppo pretenzioso. Purtroppo che non pretendia­mo troppo! Adesso quello che vi ho detto di Carlo stia qui tra noi, e neppure parlatene tra di voi; adesso sapete... e basta!
È una cosa che faccio mai questa!
Dopo dodici anni ha persa la vocazione! E anche il P. Passaglia dei Ge­suiti ha perso la vocazione, dopo di aver scritto tanto bene sull'Immacolata! P. Pulci [= Curci], che aveva fondata la Civiltà Cattolica e predicato tanto è superbo, e ha persa la vocazione. Chi non è superbo che cosa ci costa doman­dare i permessi piccoli? Si comincia a fare misteri, ad aggiustarsi, e poi si va a poco a poco a rotoli.
Questo è quello di cui volevo avvertirvi. Faccio come S. Agostino: territus terreo; atterrito io atterrisco gli altri. Le altre volte che facevo gli esercizi non mi fermava tanto sull'inferno... pareva... mi sembrava far meglio medi­tare sul peccato veniale che sul mortale! e ho detto: forse è superbia questo e ho meditato profondamente peccato e inferno in regola! Quando vedo le pre­ghiere di D. Cafasso che era un angelo in carne, eppure nelle sue preghiere do­manda sempre perdono dei peccati suoi della vita passata. Che peccati poteva avere? D. Bosco diceva che lui teneva che non avesse neppure il peccato origi­nale. Eppure a sentir lui pare un gran peccatoraccio. I Santi le piccole cose le credevano cose grossissime; come anche vedete S. Alfonso, ecc... e noi? Biso­gna che ci serviamo degli esempi degli altri...
Si diceva una volta che nessuno di quelli mandati via dal Can. Soldati era riuscito a qualche cosa. Questo poi non l'ho mandato via io; certo è che il Si­gnore sostiene l'autorità dei Superiori! che hanno la sollicitudo omnium ecclesiarum. Quanto amareggiamento hanno i Superiori. Quando voi dovrete par­tire.. . è tanto sangue!... così vedete, quando ero a S. Ignazio tra le notizie ricevute, la più grave non era tanto per le casse andate a fondo o per la casa; certo la spedizione rincresce; tutta quella carta per stampare, ma è danno materiale, il Signore sapeva che ce n'era bisogno e provvederà diversamente; ma il timore della chiamata vostra era il più grave... Non so se dei vostri parenti vi abbiano tanta affezione come noi; che lo dicano e la dimostrino, sì, ma che l'abbiano in realtà? ... No!
giuseppeallamano.consolata.org