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Scritto da Beato Giuseppe
Allamano
30 settembre 1918
Quad. di anonimo, 59-61
30-9-1918
A Rivoli - Raggi di Provv.za
Ebbene, avete mangiato uva abbastanza? Vedete, a questo posto
venivo sempre a far io colazione quando ero qui a Rivoli, a
prendere quell'uva bianca. Guardate lì, pregate il Signore che ci lasci anche l'altra parte del giardino,
così saremo più al grande; e quando vi saranno quelli vecchi... che potranno appena tenersi su ... li
manderemo qui. E in quell'angolo là faremo poi una Cappella pubblica, ma che non dia sulla strada, perché,
vedete, per essere pubblica basta che per mezzo di un sentiero che passi nel giardino, comunichi sulla strada. (Gli
domandano: «Ma c'è qualche speranza?»). Altro
che speranza: c'è quasi certezza, ma col tempo.
Vedete, vi faccio una confidenza: il Conte... che ha fatto la ferrovia di Rivoli a sue spese, ha anche fatto qui varie
case, e vedete che sono quasi uguali qui attorno — mi ha detto: «Lei si prenderà anche l'altra
parte. Solo ci vuol tempo». Io non mi aspettavo mai più una tal cosa.
Questo Mons. Demichelis aveva fondato un collegio di maestre, che studiavano e le teneva quasi
gratis; ma poi non corrispondevano, e l'ha poi lasciato. Un giorno lo trovo per Torino, mentre andavo, e veniva anche lui, al funerale del Can. Nasi (ne avrete già sentito
parlare di quest'uomo). L'ho salutato perché lo conoscevo, ma solo di vista. Egli mi ferma e mi dice: Sa, io
voglio togliere quel mio collegio. - E perché? - Sono già stucco; solo per mantenere i professori mi
costa 10 mila lire all'anno, e non va più. — Ci ho
detto: «Ma abbia pazienza ancora un poco... — Oh, non
va più, non va più...». Fatto sta che un giorno, mi ricordo una domenica, mi vengono a chiamare
in fretta, che questo Mons. Demichelis è malato e vuole che vada a vederlo. Vado subito, e arrivato là
non era ancora proprio fuori dei sensi, infatti mi ha ancora conosciuto, ma non parlava più. Pensavo che
volesse una benedizione della Consolata, e gliela ho data; poi
stavo lì. Lui mi prendeva per il braccio; si vedeva che aveva qualche cosa da dirmi, ma non poteva. Allora la
serva tira fuori un foglio e me lo dà, dicendo che il malato aveva detto di consegnarlo a me.
Io lo guardo e vedo
che era il testamento. Dicevo: «ma io qui c'entro mica niente. Ecco che mentre stavo pensando come mai andasse
quella faccenda, entrano i medici. Allora io mi ritiro nell'altra camera. Naturalmente il foglio era stato nelle mie
mani, ma senza che ancora l'avessi letto. Mentre stavo aspettando dico tra me: sarà meglio che lo legga,
così quando andranno via i dottori, se c'è qualcosa che mi riguarda, potrò parlare. L'apro, e vedo
che mi lascia erede di tutte le sue sostanze. Sono rimasto stupito, e non sapevo come spiegare quella cosa. Intanto i
dottori vanno via, ed io posso di nuovo entrare dal malato. Provo a fargli dire qualche parola di spiegazione, ma faceva
solo qualche gesto; parlare non poteva. Allora mi faccio dare una penna ed un pezzo di carta, e gli faccio cenno se
poteva scrivere qualche cosa. Lui prende la penna e scrive: (tremava tutto, ma ha scritto in modo che si poteva leggere).
«Abbia pazienza». Quando ho letto quello ho detto: qui
c'è niente a fare. Avrò pazienza e aspetterò. Così mi ha lasciato la casa della Consolatina,
questa di Rivoli (l'aveva sua sorella, e l'aveva lasciata a
lui solo sei mesi prima). Quel biglietto l'ho ancora adesso: non è tanto ben scritto, ma si capisce
ancora.
Quando ho detto questo al Cardinale, mi ha detto: «Vedi? Il Signore ti manda la casa. Che vuoi ancora per
conoscere che è volontà di Dio?» —
Perché io per voi avevo già affittato un alloggio,e poi naturalmente, l'ho di nuovo lasciato. Voi che
siete giovani ricordatevi di queste cose.
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Pubblicato: Lunedì, 12 Giugno 2006 23:00