DISTACCO DALLA PROPRIA VOLONTÀ

27 ottobre 1918
Quad. XIV, 8-9
(27 Ottobre 1918)
Distacco dalla volontà propria
e dal pr. giudizio
S. Alfonso come vi dissi altra volta pone tra i principali ostacoli al­la perfezione religiosa l'attacco alla propria volontà, che dice la cosa più necessaria a vincere, consacrando questa volontà alla santa ubbi­dienza.
1. Scrive un autore ascetico (Semeria - La vita religiosa p. 99):
«Tutta la vita d'un buono e vero religioso deve consistere nella rinnegazione costante della propria volontà e del proprio giudizio. Onde: se uno lavorerà molto e lungamente di proprio genio è nulla; se studierà da riuscire erudito e dotto, eloquente predicatore, è parimente nulla; se posto a reggere darà prova di prudenza negli affari è ancora nulla. Il Si­gnore a costoro nel dì del Giudizio dirà come a quelli che gli diranno:
Nonne in nomine tuo prophetavimus, nescio vos, discedite a me. - Lad­dove se alcuno farà penitenza dei suoi peccati e procurerà l'emenda­mento dei suoi vizii, è già qualche cosa. Se prenderà a sopportare con pazienza, anzi con allegrezza quanto converrà per l'osservanza religio­sa, questo è pure qualche cosa. Se sarà diligente e fervoroso nel prega­re, umile e modesto nel parlare, anche questo non è poco. Se poi per Dio rinunzierà intieramente al proprio giudizio ed alla propria volontà, questo è molto, è sommo, è tutto».
2. Ed aggiunge essere questo un martirio incruento molto più dolo­roso del vero martirio; — una battaglia per cui Dio concede al vincitore in Cielo la corona della vittoria; — la via stretta indicata da Gesù (Ivi).
3. Sarà in molti questa perfetta annegazione? No; molti si credono di averla perché obbediscono esternamente, per necessità o falsa prudenza; ma internamente borbottano e ripugnano nel giudizio e volontà;
sono ipocriti, a Dio non piacciono che vede intus. Direte: non si potrà più osservare niente ai superiori? Risponde S. Ignazio nella magnifica lettera sull'obbedienza. Il suddito deve sempre avere la disposizione ai comandi dei superiori, e non subito pensare alle difficoltà contrarie; dopo piegato il giudizio e la volontà, se realmente vi fossero osservazio­ni non forse sapute dal superiore, si possono queste umilmente fare, conservandosi indifferente quanto all'acccttazione o no. Non importa che vengano tentazioni in contrario; ma esse si combattino come tutte le altre tentazioni. Esempio è S. Franc. di Sales colla Chantal. Avendole il Santo proposto di farsi Cappuccina, poi Carmelitana rispose sì, come alla terza proposta d'un Ordine nuovo. Domandandole il Santo come sentisse nel cuore, dicendo i sì; ella rispose che sebbene sentisse ripu­gnanza, era disposta veramente perché volontà di Dio.
4. Infelice chi non si distacca dalla volontà propria (V. Repert. Vo­lontà) farà una vita senza pace, - senza meriti, - inutile e dannosa alla Comunità. (V. Quad. XII p. 25 in breve).
P.G. Richetta, quad. 11-12
27 Ottobre 1918
Propria volontà
Danni: Chi non è staccato dalla propria volontà e dal proprio giudizio:
1) non ha la pace
2) non guadagna meriti
3) è una persona inutile se non anche dannosa alla Comunità. È facile staccarsi da tante cose, ma quanto è difficile dal proprio giudizio! S. Bernardo paragona la propria volontà nelle azioni alla sanguisuga che suc­chia il frutto delle opere, e alla vipera che le corrompe: «Grande malum pro­pria voluntas. - Cave a sanguisuga, fuge viperam! » (S. Bernardo).
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