VOCAZIONE ALLO STATO RELIGIOSO CORRISPONDENZA

9 novembre 1919
P.V. Merlo Pich, Quad. 18-27
9 Novembre1919
Tutti quelli che hanno diritto, devono andare a fare queste elezioni: è an­che questo un dovere. C'è una riduzione del 75% per andare al paese, e poi co­sti quanto vuole, si deve fare. Prima c'era il non expedit, e noi non sia­mo andati a vedere i motivi. Ora che il Papa crede di rinunciare a un suo dirit­to, approfittiamone. Il Vescovo di Mondovì ha prescritto ai suoi di votare, e votare per il P.P.I. Mi hanno chiesto dei sacerdoti della Consolata per andare ad assistere, ed io ... ben volentieri!
Adesso parliamo della Voc. allo stato religioso. Che cos'è la vocazione? È quel decreto di Dio con cui ab aeterno ha pensato ed eletto tra le creature possibili certe creature che a suo tempo avrebbe creato. E questo di tutte le creature naturali e soprannaturali. Omnia propter semetipsum creavit Dominus... Le stelle fanno il loro giro... et gavisae sunt perché danno gloria a Dio, per cui furono create. Ma Dio ha pensato a noi non solo in genere, ma proprio in individuo: Charitate perpetua dilexi te, ideo attraxi te, miserans tui. Dio ab aeterno ha pensato ad ognuno di noi. E ad ognuno ha destinato e gli ha dato i mezzi per ottenere lo scopo suo proprio, naturale per le creature irragionevoli, soprannaturale per noi. Un autore dice che il Signore ha proprio pensato a far un uccello in un modo, e non come l'altro, e neppure un uccello ambisce di cantare come canta un'altro. Così nelle creature razionali, uno lo ha destinato a far il medico, un'altro il contadino e a ognuno ha dato i mezzi per far la sua strada, e se il contadino volesse far il medico, ed il medico far il contadino sconvolgono le cose, e non fan le cose bene.
Questo per le cose naturali, ed è tanto più per le cose soprannaturali: per il sacerdozio, per lo stato religioso.
Ora la vocazione in parte dipende da N.S. in parte da noi, dalla nostra corrispondenza ai mezzi che Dio ci ha dato per farci santi. Prima dipende da Dio, e quindi tutti quelli che devono essere religiosi, sono determinati da uno speciale decreto di Dio.
Parrebbe che possano farsi religiosi tutti quelli che vogliono. Il Signore a quel giovane ha detto: si vis perfectus esse ... vade... Invece no! S. Tommaso dice: Consilium adolescenti a D.no datum excipe ac si omnibus ex ore D.ni proponeretur. Infatti a quell’indemoniato che voleva seguirlo « sequar te, quocumque ieris» il Signore ha detto di no; non aveva la vocazione. Questa chiamata generale, dice il Suarez, non dà potestà a seguire i consigli evangelici, è necessaria una vocazione speciale.
Ora noi dobbiamo cercare d'indovinare questo decreto di Dio. Quali so­no i segni da cui si conosce questa vocazione speciale? Sono tre: non bisogna aspettare che il Signore ci manifesti la sua volontà con dei miracoli, come ha fatto con S. Paolo e tanti altri santi. Ci sono tre segni coi quali la vocazione è moralmente certa:
1) un'inclinazione costante, spontanea, abituale allo stato religioso e particolarmente a quell'Istituto a cui aspiriamo. Non parlo di quei momenti di dubbio, di noia, di ripugnanza che possono venire, specialmente nella scelta di uno stato che è pieno di sacrifizi.
2) Bisogna avere l'attitudine sia dal lato fisico come dal lato morale. P.e. le nostre Costituzioni parlano di coloro che hanno dei debiti. Così sarebbe per quelli che hanno i parenti nel bisogno, ma proprio quello di cui parla la Teolo­gia.
3) [Terzo] segno è il retto fine: cioè la santificazione propria ed il bene del prossimo: quelli di vita claustrale colle preghiere, gli altri col loro ministero. S. Tommaso dice che per questo retto fine s'intende queste cose: «Magis se conjungendi Deo, — lapsus emendandi anteactae vitae (S. Alfonso però dice di far prima la prova fuori) — pericula mundi vitandi». S. Alfonso dice invece che non è retto fine se uno si fa religioso per star meglio — per liberarsi da uno stato più umile — per far piacere ai parenti — per non saper far altro (questo può avvenire, specialmente in certi posti, non da noi). Questi fini non sono retti, son fini mondani.
E se qualcuno è venuto con un fine storto? Deve raddrizzarlo! Se il Signo­re si è servito di un fine umano per farmi entrare nell'Istituto, adesso bisogna che lo rettifichi. Io conosco un santo sacerdote che era già alla vigilia delle nozze, e poi tutto è andato in aria. Allora ha detto: «Ah, sì?! è così il mondo? ». Si è fatto chierico, sacerdote, e adesso è un bravo parroco. Si è fat­to sacerdote per forza. Il Signore certe volte si serve di fini umani per eseguire i suoi disegni...
Oltre a queste tre cose è anche necessario domandar consiglio. Non parlo di pregare che è la prima cosa, affinchè il Signore ci dia lume, e aspettare finche c'è dubbio grave, e allora bisogna domandar consiglio. Questo consiglio è necessario, quando si è in dubbio grave, perché se è sol leggero, bisogna .di­sprezzarlo.
E allora a chi si deve chiamare? Ai parenti? I parenti non son buoni con­siglieri. Si deve domandare ad una persona disinteressata — che abbia spirito di Dio — e il dono del consiglio — pratica della materia: può essere un santo, ma se non se ne intende non può dar un consiglio. Quand'io ero in Seminario avevamo direttore il Can. Soldati, che andò a domandar consiglio al suo Con­fessore, e quello che era un sant'uomo, ma non pratico, gli ha detto: «Io non sono mai stato superiore, ne direttore di Seminario, e quindi non posso darti di questi consigli, va da un'altro». Bisognerà andare da un religioso in regola, che abbia spirito di Dio, non perché è cappuccino, voglia far tutti cappuccini: ma che sappia esaminare la volontà di Dio.
Quindi chi ha questi tre segni, tiri dritto; è moralmente sicuro. Chi ha dubbio grave domandi consiglio ad un religioso che abbia tutte queste qualità.
Ora, uno che ha questi tre segni, che si sente chiamato e non va, fa pecca­to? Per sé no, perché è solo un consiglio: «Si vis...». In pratica però, dice S. Alfonso con quasi tutti i Teologi, è molto difficile che si salvi. Il Signore gli ha preparato tante grazie sulla sua strada, e se egli ne prende un'altra potrà arri­vare, ma chissà quando! Quindi, prima si priva di tanti aiuti, e poi si trova in mezzo ai pericoli del mondo senza la grazia del Signore per scansarli; ha sol la grazia sufficiente che Dio non nega a nessuno; ma si dice. : «A gratia sufficien­ti libera nos, Domine!». E quindi di quel galantuomo del Vangelo che non ha voluto ascoltare N.S. «quia habebat multas possessiones» i Teologi dicono che c'è molto da temere della sua salute eterna. È un disprezzare la grazia di Dio.
Ma non bastano i segni: è necessaria la corrispondenza da parte nostra. S. Alfonso dice prima di tutto che bisogna tener d'occhio la disciplina dell'Istitu­to dove si vuol entrare, vedere se c'è spirito, che non sia uno di quegli ordini dove lo spirito diu viguit. Nel Breviario leggiamo queste parole per l'ordine di S. Bernardo; e vuol dire che vige anche adesso. Ma bisogna vedere: una volta vigeva, ma e adesso?... Piuttosto di andare lì era meglio nel secolo!...
Per corrispondere poi bisogna entrarvi; e prima di entrare ci vogliono tre cose: 1) segretezza; non che tutti lo sappiano, perché allora tutti si credono in dovere di venirci a dissuadere.
2) non bisogna differire, quando dipende da noi: Hodie si vocem eius audieritis nolite obdurare corda vestra.
3) superare le difficoltà che nascono sia per malizia degli altri e per volon­tà di Dio. Fare come la Chantal che è stata un vero esempio di fortezza. In queste circostanze, uh! i parenti sono fuori di loro. Quando i parenti vengono da me indiavolati, vanno via più che persuasi; mi pare di dover persuadere del­la gente già persuasa...
Un nostro missionario avea tante difficoltà per partire, da parte del pa­dre... non voleva salutarlo... e via ... Venuto in punto di morte, che suo figlio missionario gli era vicino, non finiva di domandargli perdono di essersi oppo­sto alla sua vocazione... (P. Aimo?)
E dopo entrati, che cosa bisogna fare?
1) studiarne lo spirito, imbeversi dello spirito dell'Istituto, e osservare con animo, con tutto il cuore tutte le pratiche della Comunità anche le mini­me, che sono quelle che formano il bello. Avere una volontà forte e costante di formarsi, non essere un giorno fervoroso e poi, lasciar andare.
2) darsi intieramente e con costanza alla propria santificazione: non un giorno essere fervoroso, e domani per terra. Quando si è scoraggiati domandar­ci come S. Bernardo: «Ad quid venisti?» eccitarci così: dopo tanti sacrifici fat­ti, aver lasciato tutto stai lì...
3) Ci vuole apertura dell'anima coi superiori. Non avrete mai da pentirvi di esservi confidati. Tutti quelli che si sono confidati con me son stati tutti contenti, ed anche cogli altri superiori. C'è stato uno che è stato qui degli anni interi deciso di andarsene, e non si è mai manifestato. Ieri sera è venuto a tro­varmi uno che è stato qui tanti anni, ed è andato via perché non si è aperto coi superiori. E stamattina un chierico mi ha accompagnato fino al Duomo: ades­so gli ho cercato un posto; ed è pentito di non essersi confidato. Nessuno si è mai pentito di essersi confidato; non andare a dire i peccati: per questo c'è il confessore, ma per la direzione dell'anima. Senza di questa apertura non si può andare avanti.
S. Francesco di Sales diceva alle sue Suore che quando in una comunità non c'è più apertura coi superiori, non può andar avanti bene; e quindi racco­manda a tutte le sue suore di aprirsi colla superiora. Ora se dice questo per una superiora, che cosa sarà con un sacerdote? Ci possono essere degli abusi nelle donne e nei laici; ma con un sacerdote... C'è il segreto sacramentale della con­fessione...
Certe volte non basta il Signore là nel tabernacolo per consolarci; non ci consola; dice: «Hai Mosè ed Elia» — vuole che facciamo quell'atto di umiltà di andar ad aprirci ai superiori. Per il superiore è un bel fastidio sentir tutte queste cose... ma lo fa per aiutarvi!...
Quindi è necessario che nell'Istituto si vada con cuore aperto col superio­re; andare a sentire una parola d'incoraggiamento, quell'avvertimento...
So che c'è buona volontà, come dice il P. Superiore; e quando c'è questo il Signore benedice; ma bisogna fortificarla, rinnovarla. Bisogna fare come S. Andrea Avellino, di cui facciamo la festa domani; leggete l'oremus, è così bel­lo! «... per quotidie proficiendi votum, ... ascensiones disposuisti...». E que­sto voto l'han fatto tanti santi: far sempre il più perfetto. Noi non dobbiamo far il voto; ma praticarlo: ogni giorno ci sia un aumento di virtù.
Mons. Bertagna diceva del Ven. Cafasso: Non giuro che abbia fatto il vo­to; ma da quello che ho visto in lui nei sette anni che gli [sono] stato assieme, a vedere che cercava sempre di fare il più perfetto in ogni cosa, non dubito a cre­dere che abbia fatto il voto; certamente lo praticava. Così dobbiamo far noi: cercare sempre il più perfetto, senza far il voto, praticarlo...
P.G. Richetta, quad. 15
9 novembre 1919
Vocazione allo stato religioso
Dipende:
1) da Dio - ab aeterno stabilisce la via ad ognuno.
2) da noi.
Segni di vocazione:
1) inclinazione a tale stato - seria, spontanea.
2) attitudine - sia fisiche, sia morali (provv. ai parenti).
3) retto fine - maggior perfezione.
Domandare consiglio a persona:
1) disinteressata.
2) che abbia spirito di Dio e il dono del Consiglio.
3) pratica in materia (Un ottimo Sacerdote aveva mandato ad altri il Can. Sol­dati, perché egli era mai stato Superiore di Seminar!).
Chi è veramente chiamato per sé non commette peccato a non abbraccia­re lo stato religioso, ma avrà da Dio le sole grazie sufficienti -ahi!
Prima di entrare si deve:
1) tener secretezza
2) non differire
3) superare le difficoltà.
Dopo entrati bisogna
1) studiare lo spirito e le pratiche dell'Istituto
2) aver costanza nella santificazione propria
3) aver apertura coi superiori.
Quando non avrete più apertura colle vostre Superiore, la Comunità an­drà in rovina (S. Francesco di Sales).
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