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Scritto da Beato Giuseppe Allamano
25 gennaio 1920
Quad.XV, 17,
nn. 3, 4 (vedi sopra a p. 381)
P.V. Merlo Pich,quad. 61-71
25 Gennaio
1920
Continuiamo a spiegare le nostre Costituzioni. Abbiamo saltato i
Protettori; dalle Suore li abbiamo messi (Cost. c. II).
Prima di tutti, la Patrona è la SS.
Consolata che dobbiamo onorare in modo particolare, sotto questo titolo perché si è degnata di imprestarci
il nome e ci ha presi sotto il suo manto; quindi onorarla sotto questo titolo di cui ci gloriamo, dobbiamo imitarla e
consolarla col farla amare da tante anime che ancora non La conoscono. Va tanto bene invocarla sotto il titolo
d'Immacolata, di Loreto, ecc. è sempre la stessa Madonna; ma la nostra principale festa ed invocazione
dev'essere sotto questo titolo; sotto questo titolo riceviamo da Lei le grazie particolari.
Poi c'è
S. Giuseppe che tiene subito il primo posto.
Poi S. Francesco Saverio che è il protettore generale
della Propagazione della fede, e come tale dichiarato dalla S. Sede.
Poi S. Pietro Claver, Protettore
particolare delle Missioni d'Africa, degli schiavi, perché, quantunque non sia stato in Africa, tuttavia ha
esercitato il suo ministero attorno agli schiavi che eran trasportati dall'Africa a Cartagena.
Infine
c'è S. Fedele da Sigmaringa, il primo martire di Propaganda di cui noi siamo figli. Per noi poi c'è un
motivo particolare, perché è il giorno della sua festa che cominciò la decisione della nostra
istituzione.
Nella scelta dei Protettori bisogna por mente alle opportunità, ai bisogni
dell'Istituto; e per l'ordine si deve tenere come norma, la precedenza di dignità (come si trovano nelle Litanie
dei Santi). Se pure non v'è una norma più importante, cioè il rapporto che hanno verso di noi.
Come è nel nostro caso.
Nell'Istituto vi son due classi di membri.
Anticamente in
tutte le religioni vi era una sola classe di frati non sacerdoti. Sol nel sec. XI S. Giovanni Gualberto, fondatore
dei Benedittini Vallombrosani, vi istituì due classi: una degli intellettuali che si applicavano
principalmente agli studi ed erano obbligati al Coro, e gli altri impiegati nei lavori materiali e dovevan recitare
altre preghiere. Questo modo durò molto tempo; e la maggior parte delle Congregazioni moderne l'hanno adottato;
così anche in quelle di Suore ci son le Velate e le Converse, ecc. Ma non tutti: sono di una sola classe i Fratelli
delle Scuole Cristiane, i Piccoli Fratelli Maristi, le Figlie della Carità, le Suore di S. Anna, e quelle di S.
Gaetano fondate dal Teol. Boccardo.
Ora è meglio che vi sia una sola classe o due? Dove non son
sacerdoti si disputa. Ma dove son sacerdoti, hanno il Breviario, il ministero ecclesiastico e non possono applicarsi ai
lavori manuali. Dalle Suore c'è una sola classe.
Si vorrebbe con una sola classe ci sia maggiore
unione, perché c'è uguaglianza. Ma questa uguaglianza non può esistere: siam tutti disuguali:
ad uno il Signore dà più ingegno, più sanità, ad un altro meno... e poi bisogna che ci sia un
superiore... L'uguaglianza assoluta dei socialisti è un'utopia: è la carità che deve fare
l'unione: unum in charitate. I primi cristiani che eran tanto fervorosi, che portavano i loro beni ai piedi degli
Apostoli, eran mica tutti uguali. Questi beni non li dividevano mica a tutti uguali; lo dice la S. Scrittura: ne
davano secondo il bisogno di ciascuno: uno che era deboluccio di salute, un vecchio richiedeva maggiore riguardo. Quindi
le specialità che si facessero in comunità per bisogni particolari sono un dovere.
Prima di
tutto si parla di sacerdoti. L'Istituto ha sempre confidato tanto nella venuta dei sacerdoti, e da principio è
cominciato di loro esclusivamente. E questo è un bene: hanno esperienza. Infatti se un sacerdote trova che non
salva abbastanza anime nel nostro paese, ove ci sono abbastanza altri sacerdoti, — sia pieno di amore di Dio e
delle anime — sappia sacrificare la quiete e lasciare la vicecura o anche la parrocchia — sia disposto a
lasciarsi formare (altrimenti sarà un bravo prete, ma non un religioso, un missionario) — sia disposto a
passare qui il suo tempo, a passare la prova del noviziato: costui è un santo sacerdote, e farà del
bene.
Infatti i primi eran tutti sacerdoti, particolarmente Mons. Perlo e il P. Superiore. Quindi si fa gran
caso dei sacerdoti. Mi ricordo che la prima offerta pervenuta per la fondazione fu di un sacerdote di Asti (non so
chi fosse) che inviava L. 100, perché non avendo seguito egli la vocazione allora essendo già d'età,
cercava così di riparare un poco. Ci son dei sacerdoti che si sentono capaci di conseguire una parrocchia, e non
han voglia di passar la vita sol a dir Messa in una cappellania, non tutti han voglia di studiare sempre come Pio X che
studiava S. Tommaso... e si trovano spostati... E qui possono far molto bene...
Perciò si
aprirà sempre volentieri le porte ai sacerdoti, anche se sono un po' maturi, un po' più
d'età.
Poi ci sono i Chierici. Ah! i chierici sono la porzione eletta, le speranze dell'Istituto, e
da qualunque parte siate venuti. Sia che siate venuti dal Piccolo Seminario, sia da fuori, entrati qui siete tutti lo
stesso: qui si deve entrare (dico uno sproposito!) come nelle carceri o come nelle case di correzione, dove non
c'è più nome, si dà solo il numero. E questo lo si fa per delicatezza, perché poi non si
sappia che sono stati là dentro. Con questo voglio dire che qui dentro siete tutti uguali: non est Judaeus, neque
Scita... non che si formino dei partiti, come in certi Seminari. Mi ricordo: nel nostro Seminario c'eran quelli che
venivan da Giaveno, quelli del Cottolengo, quelli dei Salesiani: c'era una vera divisione: parlavan sol sempre tra di
loro di quello che era loro capitato là: e questo durava degli anni.
Così in Convitto una
volta venivano da S. Gaetano e dal Seminario: ed eran sempre divisi: dicevano: quei del Seminario sono Parroci, quei di S.
Gaetano solo Cappellani... era una mania... Invece adesso son contento che vengono tutti dal Seminario e fanno
una cosa sola.
Ma voi non le avete queste scioccherie di divisioni. È vero che non si deve
dimenticare il luogo dove si è stati educati, ma non così da far un partito da noi.
Qui dovete
passare tutta la vita, non è un luogo di passaggio, formate una famiglia, siete tutti fratelli: ognuno può
dir all'altro: forse io assisterò te moribondo, o tu assisterai me... quindi ci deve essere — unum cor.
È così bello vivere in famiglia!
Da qualunque parte si venga è tutto lo stesso, e
non si deve neppure più sapere il paese. I Cappuccini mettono il paese insieme al nome, ma forse lo fanno per
umiliazione, come per dire: Porto il nome d'un Santo, ma sono sol sempre quello là del tal paese... Ma noi no!
Cosa importa il paese?... Quindi i Chierici sono il centro del nostro Istituto. Avete la fortuna di passare qui tanti anni
e potete formarvi lo spirito e prepararvi a fare molto bene. Per fortuna il Signore vi ha mandati in buon numero.
Poi c'è la classe dei Coadiutori. O miei cari Coadiutori!... Se sono utili in tutte le comunità, qui
nelle Missioni sono indispensabili... Ne sono come nelle altre comunità solo destinati al lavoro manuale, ma anche
allo spirituale, e quindi devono avere anche quel tanto di istruzione.
C'è un coadiutore che mi scrive dall'Africa: «La mia parrocchia». È parroco. Ci son
certe stazioni dove non si può mandare uno, allora va un coadiutore la domenica a fare il catechismo e
amministrare i battesimi — come fa Coad. Benedetto.
Soprattutto i coadiutori possono far del bene
perché si trovano a capo dei lavori, sono più a contatto cogli indigeni, e possono far loro molto bene
coll'esempio, colle parole, e col catechismo che fanno loro dopo pranzo e la sera. Un coadiutore può fare
più del bene che un missionario, perché si trovano all'atto pratico; è come le Suore per le
donne. E poi sono anche loro Padri!
I Santi la ambivano questa qualità. S. Valerico abate ha
domandato di far l'ortolano; ma il Signore l'ha ingannato: olera crescebant — nella sua parte di orto, i
legumi venivan su belli!... E poi, entrato nella stanza di S. Colombano mandava un profumo che S. Colombano gli disse:
«Tu jure abbas esto!». Tu devi essere l'abate, non io!
Così pure il B. Alano che
fuggì dal mondo e andò a seppellirsi in un convento, e teneva la pulizia della stalla, e l'ha fatto
per tanto tempo. Quando, essendo andato a Roma ad accompagnare il suo abate in un Concilio, ed entrato anche lui; un
momento c'eran delle difficoltà gravi che non sapevano sciogliere. Allora lui che era sempre stato nascosto,
ispirato dal Signore, si mise a parlare come quando faceva scuola, e sciolse le difficoltà così bene,
che tutti erano meravigliati, e il suo abate disse: «O è il diavolo, o è Alano!». Ed egli
rispose: «Sono Alano!».
Vedete! Non ha creduto di avvilirsi, né di perdere il tempo.
Non credersi necessario: «Se non ci son io, l'Istituto va giù...». Non aver paura di nascondersi
troppo. Tutti siamo necessari nell'Istituto... È vergognoso che certi Istituti, come i Filippini, per
mancanza di coadiutori, abbian dovuto prendere le suore a far cucina, e tutti questi servizi... Invece noi il Signore ci
ha aiutati...
L'essenziale è che ci sia unione e carità, si faccia unum corpus. Ogni
membro dev'essere contento del suo stato: un'unghia è contenta di esser unghia e non vuol esser dito, un
piede è contento di esser piede anche se è zoppo. Ognuno deve dire: Sono contento della mia posizione, aiuto
anch'io a formare il corpo, anche se son solo un dito, perché un corpo senza un dito non è
perfetto... Quindi abbia poco o molto ingegno poco o molta salute: formiamo tutti un corpo; tutti siamo utili, anzi
quello che par meno, è più necessario degli altri.
Per questo bisogna sopportarci a
vicenda. Dei difetti ne abbiamo tutti. Ma bisogna anche star attenti di non essere causa di troppo sopporto da parte degli
altri. Se abbiamo dei difetti toglierli o diminuirli, in modo da far sopportare ai compagni solo il necessario, e non
essere loro di peso...
Soprattutto bisogna praticare l'educazione che è principio ed aiuta la
carità fraterna... pulizia... Diceva quel santo: Né sordidezza, né ricercatezza mi
piacquero.
So che vi amate tra di voi. Mi ha fatto molto piacere vedere quanti si sono interessati per Ch.
Manfredi (ammalato)... Vedrete che da sacerdote verrà robusto... Tanti che da chierici erano finiti, pareva
volessero metter fuori l'anima dalla bocca da un momento all'altro e poi si son rimessi. Anch'io quando ero in
terza teologia dovevo morire. I compagni mi dicevano poi: «Non te lo abbiamo detto, ma ti avevamo salutato come per
l'ultima volta». Era una certa sfinitezza: non si mangia perché non si dirigerisce, si è debole
perché non si mangia... Ebbene, ho tenuto fermo tanti anni, e sono ancora qui... Vedrete che anche lui da sacerdote
sarà un colosso di salute: voglio essere profeta...
I malati si devono amare. Nel processo di
beatificazione una delle domande più forti che fanno è: Come il Venerabile accudiva i malati... I
malati sono la parte principale di una casa.
Giorni fa in Convitto c'è stato un ammalato, ed io mi
sono riservato la cura... ho fatto un po' da medico; e dicevo: D. Cafasso avrebbe fatto così.
Nella fondazione della casa abbiamo posto una cura particolare per l'infermeria: le
abbiamo dato il posto centrale, il posto più bello di tutta la casa con finestre di qua e di là per cambiare
aria. Volevamo anche mettervi un balcone, l'unico in tutta la casa, perché i malati potessero andare a
prendere aria;
ma ci hanno detto che non andava collo stile della casa.
Ogni giorno dobbiamo non solo pregare per quelli che sono morti nella notte, ma anche per i
moribondi che in quella giornata passeranno all'altra vita. È una bella divozione... Conoscete la
preghiera?...
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Pubblicato: Lunedì, 12 Giugno 2006 23:00