COMMENTO ALLE COSTITUZIONI: AMMISSIONE

29 febbraio 1920
Quad. XV, 17, n. 5 (vedi sopra a p. 382)
P. V. Merlo Pich, quad. 83-90
29 Febbraio 1920
Continuiamo a parlare delle nostre Costituzioni. Ecco quel che dice il nuovo Codice al riguardo, al can. 538: «In religionem admitti potest quilibet catholicus qui nullo legitimo detineatur impedimento, rectaque intentione moveatur, et ad religionis onera ferenda sit idoneus».
1) «Admitti potest quilibet catholicus»: ma non ne ha diritto: solo i catto­lici lo possono essere. Infatti al can. 542 dice: «Invalide ad novitiatum admittitur qui sectae acatholicae adaeserunt», anche se è già convertito: occorrereb­be una dispensa particolare della S. Sede.
Una volta è venuto da me un framassone di prima riga; si è convertito, ed aveva fatto tutto proprio bene, e poi mi diceva: «Adesso, se non fossi ammo­gliato, mi farei religioso». Ed io gli ho risposto: «Cominci ad essere buon cri­stiano; e poi ci sarebbe ancor molto da pensarci e delle dispense da chiedere...». Anche se si son convertiti, la Chiesa lascia a costoro come un marchio d'infamia. Non permette che entrino nelle religioni, perché esse sono i giardini della Chiesa. Questo ricorda il fatto di quell'indemoniato che N.S. aveva sanato, e gli diceva: «Sequar te quocumque ieris». Ma il Signore non l'ha voluto...
Vedete con che delicatezza N.S. e la Chiesa tratta i religiosi: vuole che ci sia nessuna ombra neanche passata, vuole che diano buon profumo di sé stes­si.
Questa dev'essere una santa superbia nostra: dobbiamo sentirci santa­mente gloriosi di appartenervi; di esser di quelli non solo che possono essere ammessi (quilibet catholicus) ma di quelli che sono stati effettivamente ammessi.
2) Che non abbia nessun impedimento. Gli impedimenti possono rendere l'ammissione o invalida o solo illecita: ed il codice li mette tutti. Gli impedimenti possono essere di quattro sorta:
1) contro il diritto naturale (come il matrimonio ecc.)
2) di diritto divino
3) di diritto ecclesiastico
4) di diritto dell'Istituto che si deve abbracciare: come da noi sarebbero le ma­lattie di famiglia: pazzia, epilessia, etisia (che sia proprio vero difetto di fami­glia).
3) Sia mosso da retta intenzione. S. Agostino diceva: «Alcuni cercano nel monastero ciò che fuori non possono avere». Per lo più io ho visto che coloro che hanno lasciato una vita meno comoda, sono sempre quelli che si lamenta­no del cibo, di tutto: sono incontentabili! Invece le persone che prima erano nell'abbondanza sono sempre contente di tutto. Questo però non è per il caso vostro: voi mangiate quello che il Signore vi manda e che i superiori vi danno. Contentarci di quel che c'è! Non come quel monastero ch'io ho dovuto andare a visitare: e le converse mi hanno detto: Ci sono sei minestre: favorisca dimi­nuirle. Non parlo dell'infermeria: ma i sani! Ho esaminato bene, e ho stabilito due minestre: una fina ed una un po' più grossolana. E si son messi a posto tanto bene! Erano velleità: e quelle poche converse erano nei pasticci, e poi la povertà ! ?.. .Voglio contarvi alla buona tutti i difetti che avvengono altrove per mettervi in guardia. Non voglio dire i malati, a cui bisogna dare quello che fa bisogno!...
Dunque: retta intenzione. Il fine principale dev'essere la propria santifi­cazione. Il diritto canonico lo dice chiaro: Il fine principale per cui sono isti­tuiti gli istituti religiosi è la santificazione dei membri. E poi ci può essere il fi­ne secondario che per noi è la salute degl'infedeli: e chi qui non si preparasse per questo... vada a farsi Certosino!...
4) In quarto luogo bisogna che «ad religionis onera ferenda sit idoneus». E questo varia secondo gli istituti. Per entrare nella Visitazione p.e. S. Fr. di Sales ha proprio stabilito che fosse per quelle persone deboli che non possono entrare in altri conventi. Ma se uno vuol farsi missionario, bisogna che abbia una costituzione sana. Non è necessario che sia un colosso; ma almeno che non abbia un difetto che lo renderebbe inutile, di peso alla Comunità. Del re­sto, per poco che la costituzione sia sana, colla buona volontà e le grazie che Dio dà, si mette a posto, e poi le fatiche dell'apostolato lo irrobustiscono.
E poi naturalmente non bisogna che sia tabula rasa, aver quel tanto d'in­gegno che è necessario per lo studio per venir sacerdote, o per un coadiutore, per saper fare un po' di catechismo.
Ciò posto, bisogna cominciare subito la nostra vita religiosa. Il Card. Vives, che era Prefetto della Congregazione dei Religiosi (quel sant'uomo!) ha scritto una bellissima lettera, dove dice: «Necesse est ut statim ab initio eorum animum spiritus religionis et ordinis totum pervadat». Vedete come son belle e misurate queste parole! Se uno vuol avere questo spirito, bisogna che cominci subito da principio che entri come carne e sangue, che lo vesta tutto, lo tra­sformi in modo che prima era secolare, e cominciando il postulandato, sia tut­to un altro uomo. Far in modo che si possa applicare le parole di S. Paolo: Vi­vo autem jam non ego, vivit vero in me Christus. S. Paolo era sol più come una maschera. Vedete com'è bello! C'è da fare una meditazione. Dice non so­lo di acquistare lo spirito di religione in generale, ma dell'Istituto particolare in cui uno è entrato: «ordinis», in modo che se prima era puro cattolico, ora è proprio missionario: pare lui, non è più lui.
Ricordo un novizio che prima era parroco ed è andato a farsi frate, e gli dicevo: «Avete tutta un'altra aria». Ed egli mi ha risposto: «Mi hanno trasfor­mato! Da principio era duro (tanto più che era già vecchio) ma mi son messo di buona volontà: non voleva poi mica essere un prete in mezzo ai frati».
L'importante è di studiare noi medesimi. Bisognerebbe che lo spirito reli­gioso prenda talmente possesso dello spirito che uno comparisca sol più reli­gioso. S. Giuseppe da Copertino aveva ottenuto tal possesso del corpo, che dove voleva andar l'anima andava anche il corpo, come quando andava in estasi.
Bisogna che ci rendiamo superiori a noi medesimi, spiritualizzarci, che l'anima abbia il possesso; se non proprio come S. Giuseppe da Copertino, al­meno, non sia d'impedimento, non lasciar comandare al corpo. Bisogna riu­scire religiosi e missionari, secondo lo spirito dell'Istituto, da dire come S. Paolo: Vivo autem... ecc... Questo dobbiamo dirlo nella S. Comunione, ma dirlo anche per lo spirito.
E il Signore che fa; ma bisogna essere pieni di generosità. Costa il primo atto, e poi viene tale abbondanza di grazie e di dolcezze del Signore, che cor­riamo. S. Francesco Saverio provava ripugnanza a servire negli ospedali. Una volta a Venezia vede una piaga orribile. Naturalmente il corpo ripugnava: era delicatino: ma egli: «Voglio vincermi!» e colla lingua si è messo a leccare... E siccome la lingua voleva far in fretta, egli la teneva lì sopra, adagio, per assa­porare tutto il sacrificio. Ha fatto un atto eroico; ma poi non ha mai più senti­to nessuna ripugnanza.
Questo noi dobbiamo farlo sui nostri difetti. Per esempio la collera... La nostra pazienza deve essere eroica: guai se non c'è la pazienza laggiù!
Questo è l'argomento più prezioso che ci sia. «Maiorem hac non habeo gratiam quam ut audiam filios meos carissimos in veritate ambulare».
Non perdere tempo; saranno tanti gradi che mancheranno alla nostra santità, tanto meno bene che faremo in Africa. Il Signore aiuta, non manca; ma noi dobbiamo avere buona volontà. E se non l'ho, chiamo questo: almeno desidero di desiderare.
Non basta essere santi così così. Perché la Chiesa vuol che si aspetti tanti anni? Perché ci prepariamo bene! Non basta desiderare di andare in Africa, bisogna anche essere preparati come quei tre lì (PP. Maletto, Calandri, Albertone). P. Albertone, mi scrive P. Maletto a Napoli, ha passato tutto il giorno dai Sacramentini!... Domanderemo al S. Padre che ci lasci portare il SS. con noi sul bastimento. Lo può tener la Sig.na Possano che è una donna! Son io parroco, e D. Dolza quando può va a dirle Messa... Così sarà anche interessa­to di tener a posto il bastimento, per non andare in bocca ai pesci...
giuseppeallamano.consolata.org