PER LA FESTA DEI SANTI — SANTITÀ

31 ottobre 1920
Quad. XVI, 1-2
(30 (?) Ott. 1920)
Vigilia d'Ognissanti - Santità
Il nostro pensiero ed il nostro cuore deve portarsi al Paradiso, spe­cialmente in tre Feste dell'anno, nel dì dell'Ascensione, in quello dell'Assunta, e domani giorno dei Santi. Nella prima si ricorda la pro­messa di Nostro Signore: Vado parare vobis locum. Ubi ego sum, illic et minister meus erit. Nella seconda ci dà animo la presenza di Maria in Cielo, ut intercedat pro nobis ad Dominum. La solennità dei Santi ci spinge ad imitarli per poterli raggiungere. S. Agostino: Si isti et illae, cur non ego. - Ma per arrivare il paradiso bisogna tenere la via della santità, tendere alla perfezione secondo il nostro stato. Parliamo stassera della nostra perfezione. Vedremo tre cose: 1. Obbligo che abbiamo di tendere alla perfezione: — 2. Di attendervi qui e subito; — alcuni ostacoli che sono in Comunità.
1. 1) Perché Dio l'esige come cristiani, come religiosi, come sacer­doti e come missionarii: Estote perfecti...; haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra; Si vis perfectus esse: Perfectus sit homo Dei; Sancta sancte tractanda sunt... Sanctificabor in his...: — Qui non ardet non incendii...
2) Perché questo è il fine primario dell'istituto...
3) Anche pel nostro benessere in questo mondo (V. Quad. XI. 3).
2 - 3 (Vedi Quad. XI, 3 - 4).
P.V. Merlo Pich, quad. 189- 201
31 Ottobre 1920
Sono 15 giorni che non ci siamo più visti: ma in spirito son sempre stato qui presente... Oh, il mistero di domani! Dobbiamo vedere in Paradiso tanti santi a godere il frutto di pochi anni di vita: tanti missionari, tanti sacerdoti che benedicono i sacrifici della loro vita. Questo pensiero deve formare dei buoni sacerdoti e missionari. Tante volte viene lo scoraggiamento: perché far tanti sacrifici?!... E per avere un Paradiso maggiore, più bello, non solo come quello dei bambini.
S. Pietro d'Alcantara esclamava: «Oh felice penitenza! che mi ha procu­rato tanta gloria!...».
Dobbiamo tenerlo sempre davanti questo punto di vista: procurarci un posto più alto in Paradiso, il che vuol dire che daremo più gloria a N.S.
S. Teresa disse a una sua suora: Se potessi ancor avere dei desideri, desi­dererei di tornare in questa terra per aver la gloria di un'Ave Maria di più. Ah, che non sunt condignae passiones huius temporis ad futuram gloriam... Che cosa sono mai alcuni anni di vita, di sacrifici per osservare la regola, per vivere da religioso; son pochi anni e poi ci guadagnamo un magnifico Paradiso: «propter retributionem». Potremo vedere meglio Dio, con più luce, e goderlo più intimamente.
Anche noi passiamo questa festa col pensiero al Paradiso: «Ibi fixa sint corda ubi vera sunt gaudia»; non possiamo esservi col corpo, siamolo almeno coll'anima, col pensiero.
Dobbiamo vedere che cosa ci consolerà di più nell'altra vita: in punto di morte e nell'eternità... Questo si deve rispondere a chi ci dice: Oh! perché far tanti sacrifici: si può far del bene, si può andar in Paradiso anche restando nel mondo! Oh, quante volte abbiamo sentito questa obbiezione!... Prima di tutto bisogna sapere che se uno ha la vocazione e non corrisponde per lui il sal­varsi è una cosa molto problematica. E poi il pensiero del Paradiso ci deve ani­mare a corrispondere. Guai a chi non corrisponde!... Ora, sia come cristiani, sia come religiosi, sia come missionari, e per chi lo è, come sacerdoti, siete ob­bligati, per ottenere questo premio, di santificarvi; se non d'un colpo, perché la strada lunga, poco per volta, che ci sia il «conatus semper proficiendi».
1) Come cristiani: N.S. ha detto a tutti: «Estote perfecti sicut Pater coelestis...». Non arriveremo mai fino a questo punto: è impossibile uguagliare questo esemplare: ma dobbiamo avvicinarci il più possibile. «Haec est voluntas Dei sanctificatio vestra»; questo è per tutti: S. Paolo lo diceva a tutti i cri­stiani. E noi dobbiamo salvarci in regola: farci santi.
2) Come religiosi: lo stato religioso è una vita di perfezione: «si vis perfectus esse»: se hai intenzione di essere perfetto: e devi averla perché ti sei fatto religioso: ora se ti fai religioso, fa questo: devi tendere alla perfezione, per mezzo dell'osservanza dei voti e della castità. Quindi come religiosi dobbiamo tendere alla perfezione, alla santità. Lo stato religioso non è di perfezione già acquistata, ma di perfezione acquirenda.
3) Come sacerdoti: i sacerdoti devono essere santi. Non è solo per studia­re, ma specialmente per togliere i difetti e acquistare le virtù che la Chiesa ha richiesto tanto tempo prima di dare le ordinazioni, che si dovrebbero dare a 15 anni allora, invece a 25 anni (sic). E sarebbe suo desiderio che si aspettasse an­cora di più. Anni fa si è fatta la questione s'era conveniente aspettare fino a 28 o 30 anni. E le dispense le danno per forza, e bisogna domandarle...
Ci vuol tempo per acquistare le virtù. I Sacerdoti devono essere santi: «Sancta sancte tractanda sunt». Devono trattare cose sante: e perciò bisogna che siano santi anche loro. «Sanctificabor in eis qui appropinquant mihi»... Santi nella condotta, nei modi ... Quindi abbiamo l'obbligo di tendere alla perfezione come sacerdoti.
4) Come missionari. Se non si è santi... eh... non si fa niente!... Qui non ardet non incendii. Si fa ridere il demonio: non ha la santità neppure lui e vuol comandarmi di andar via! Sappiamo le difficoltà che ci saranno: bisogna esse­re forti per sostenerle...
Quindi dobbiamo tendere alla perfezione come cristiani, come religiosi, come missionari.
E quando dobbiamo incominciare? Subito! Hodie si vocem eius audieritis... Subito! qui! perché di regola ciò che non si fa ora qui non lo faremo mai più. Chi non è abbastanza forte qui, da missionario cadrà... Se non ha acqui­stato un certo grado di santità, ah!... Il Dubois nel suo bel libro, parlando dei chierici, dice che fuori del Seminario: se in Seminario era cattivo, diventerà pessimo; se tiepido diventerà cattivo; se buono non so se resisterà; solo chi è veramente buono, chi tende veramente alla perfezione di regola c'è da sperare che continui. È più facile cadere in basso che salire in alto.
Così noi qui dentro: se non si provvede adesso che siete qui, quando sare­te in Africa che cosa si farà? si andrà giù cadendo, discendendo... E l'espe­rienza che ce lo insegna! Invece se avrò raggiunto un certo grado di perfezio­ne, se mi sarò fatto l'abitudine di tendere alla santità, allora speriamo che sa­rete santi come S. Francesco Saverio.
 
 
 
 
hi adesso non si mette d'impegno per progredire, discenderà;... e poi adesso il Signore vi dà le grazie per farvi santi, e quelle grazie lì ve le darà di nuovo domani? quelle grazie lì non le darà mai più. Adesso ci son tutte le oc­casioni; un avviso, una lettura spirituale in cui il Signore ci parla: «Sii più ge­neroso, fa quel sacrificio, sii più obbediente, più semplicità, più umiltà, più carità coi compagni...».
Tutte le grazie che il Signore ci da oggi, non le darà più un'altra volta: speriamo che ne dia ancora delle altre... Perciò dobbiamo stare attenti, come S. Agostino: Timeo Jesum transeuntem: temo che passi coll'abbondanza delle sue grazie, ed io non vi corrisponda, e così resto senza. È un pensiero giusto che ci fa restar più attenti a corrispondere alle grazie del Signore.
Dal mattino alla sera qui siete assaliti dalle grazie del Signore: fate ogni cosa per obbedienza: ogni più piccola cosa è un merito: come dice S. Teresa, val più alzar da terra una pagliuzza per obbedienza che digiunare le intere qua­resime a pane ed acqua. E non è mica esagerato: ma l'obbedienza bisogna far­la bene, con spirito.
Qui è il tempo d'incominciare e di proseguire sul sentiero della perfezio­ne, mai scoraggiarsi, ma mettersi sempre a posto; se si cade risollevarsi sempre e tirar diritto! Bisogna andar avanti: non si può star lì. È come uno che è in un fiume, è impossibile star fermo perché l'acqua lo tira indietro; invece se va contro l'acqua, se è robusto riesce a vincere la corrente. In via perfectionis non progredi regredi est.
Che non venga la tentazione: «ho ancor tempo! prima di partire per l'Africa ho poi tempo a tutto!». Hodie si vocem eius audieritis...hodie! Se non vi fate santi subito adesso qui con tanti mezzi, non vi farete mai più santi: non avrete mai più tutti questi mezzi.
Questi mezzi sono sufficienti: se uno adopera tutti i mezzi che ci son qui, è impossibile che non si faccia santo.
E quali sono gli ostacoli principali che si oppongono alla nostra perfezio­ne? Io li riduco a tre:
Il primo è quello di avere ancora un po' di mondo nella testa: il mondo si è lasciato; ma c'è ancora il cuore un po' attaccato, un po' di polvere... avere il pensiero dietro le cose del mondo, pensare troppo al proprio paese, ai parenti... Pregare sì; ma anche pregare in generale, e lasciare alla Madonna di distribuire le preghiere e i sacrifici: Essa ha riguardo nel distribuirle. Ma dopo aver lasciato il mondo, non bisogna avere il cuore un po' attaccato, aspettare le notizie... Questo è un grande impedimento che non ci lascia far santi: N.S. vuol tutto il cuore.
Se si va in parlatorio, bisogna farlo con un po' di paura di attaccarci alla terra. In parlatorio si sentono solo delle storie, parlano dei loro interessi, di matrimoni, che son morti due vitelli... se han dei fastidi li portano in parlato­rio, alle grate, dove ci sono. Lo dice S. Alfonso, e poi è esperienza... Se son uomini fumano il sigaro... e tutte queste miserie... Se han delle cose belle non vengono a contarle a noi... E noi spasimiamo... poi usciamo di lì, andiamo a scuola e la testa va dietro ai parenti, al paese...: si va a pregare e si pensa a queste cose: si è più fuori che dentro. Lasciamo fare da N.S.; se facciamo bene i nostri doveri, il Signore è obbligato a benedirli... Bisogna essere più generosi e staccare il cuore dal mondo, e non lamentarci di mancare delle cose del mon­do: godiamo le cose dello spirito. Questa è la prima cosa che impedisce il bene nelle comunità: diciamo al Signore: meno ci penso io più pensateci voi; e il Si­gnore benedice. È già capitato che il Signore ha benedetto i parenti perché hanno un figlio missionario.
Quindi distaccarci dal mondo col cuore e colla testa.
Il secondo ostacolo è la mancanza di semplicità nelle cose dell'ubbidien­za. Non dico che si facciano delle critiche esterne, ma quante internamente! Per certuni non c'è mai niente di bello, vogliono sempre avere spiegazioni dell'obbedienza, non son buoni a farla cieca, senza motivi.
Se in tutte le cose si facesse l'obbedienza con semplicità, non voler sapere i motivi, allora si che si camminerebbe con spirito retto!... Sono i superiori che devono rendere conto. Mai far critiche! Le critiche sono la dissoluzione delle Comunità. Ah, lo spirito di critica! Chi ha questo vizio bisognerebbe che gli capitasse ciò che è capitato alla sorella di Mosè, che per aver criticato il fra­tello fu subito coperta dalla lebbra tutta intiera: e non le sarebbe più andata via, se Mosè non pregava il Signore.
Il Signore non può vedere le critiche. Guai a chi si permette in comunità di criticare le disposizioni dei Superiori!... Guai!... E poi lo scandalo che dan­no!...
Ma qui credo che non ci sia, e non ci deve essere. E quando sarete in Mis­sione, oh, il male che farebbe lo spirito di critica!...
Il terzo ostacolo sono quelle piccole simpatie, antipatie ed invidiuzze. Queste cose non ci devono essere in Comunità: siamo tutti fratelli, membri dello stesso corpo, fatti a immagine di N.S.... la bellezza esterna è una storia..., l'ingegno non ci appartiene... e poi dobbiamo essere contenti che tra tutti ci sia almeno qualcuno che possa fare quello che non posso fare io... Pic­cole gelosie perché quel là negli studi se la toglie meglio di me. Aemulamini charismata meliora! Bisogna essere contenti che tra tutti si faccia tutto. Non preferire un compagno ad un altro... Ma quello là ha dei difetti! Ebbene biso­gna avere la carità di correggerlo!... Mai in comunità si devono vedere prefe-
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renze tra compagno e compagno. Queste preferenze sono la rovina delle Co­munità.
Questi sono i difetti più ordinari delle Comunità in generale. Qui io credo che non ci siano; e se ci sono bisogna estirparli...
Quindi ... lasciare il mondo ... semplicità...e lasciare tutte quelle minuzie... Se si hanno dei difetti, bisogna perdonarli, e vedere anche le virtù... «Oh, ma con quel tale non si può parlare!...». Se vogliamo tendere alla perfe­zione, bisogna vincerle queste cosette! Se farete così, allora la nostra sarà una comunità d'oro!...
Anche il Signore cogli Apostoli aveva tanti difetti da sopportare: erano grossolani... eppure li ha trattati sempre bene... e non ha potuto correggerli nemmeno lui; lo ha poi sol fatto lo Spirito Santo...
Quindi diciamo tutti: Voglio avere un paradiso da sacerdote, da missio­nario...; dovete essere tanti soli, tante stelle fisse. Domandiamola questa gra­zia. Domani portiamoci col pensiero sovente in Paradiso, e diciamo come S. Agostino: Si isti et illae cur non ego? Si son ben fatti santi tutti costoro, perché non mi farò anch'io? Non han fatti miracoli, come il nostro S. Gabriele dell'Addolorata!... Dipende tutto da me: quindi voglio farmi santo.
Facciamo come S. Francesco di Sales: Ci sono già tre S. Francesco: e in­tendeva S. Francesco Saverio, S. Francesco d'Assisi e S. Francesco da Paola: ed io voglio essere il quarto! E lo è venuto!...
P. A. Garello, fogli datt., p. 7
Santità
 
Dobbiamo farci santi 1) perché è volontà di Dio. A tutti è detto: «Sancti estote quoniam Ego sanctus sum». Pei Sacerdoti poi... «Sanctificor (sarà esal­tato) in eis qui appropinquant ad me et in conspectu populi glorificabor». 2) Perché è il primo scopo per cui siamo venuti all'Istituto. Se ci domandassero perché siamo venuti qui dovremmo rispondere: 1 per farmi santo; 2 per farmi Missionario. 3 Perché se non ci facciamo santi ora che abbiamo tanti mezzi... Siamo inclinati più ad andare indietro che a progredire. Il Dubois dice che i Chierici buoni in Seminario saranno poi cattivi Sacerdoti; quelli ottimi saran­no buoni. San Giovanni Berchmans diceva: «Se non mi faccio santo ora che sono giovane quando mi farò?». 4 Perché nella Santità troveremo la vera feli­cità: «Pax multa diligentibus legem tuam».
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Gli ostacoli principali sono: 1) La dissipazione. Il mondo corre da sé. Sa­rebbe meglio che fossimo in un eremo, isolati da tutti, come certe suore del Cottolengo che non hanno mai parlatorio. 2) I difetti dei compagni. Dobbia­mo correggere i nostri difetti, e adattarci agli altri, e non pretendere che gli al­tri si correggano e si adattino a noi.
In ogni angolo della casa dovremmo leggervi: «Ricordati che devi farti santo». Ogni confratello dovrebbe ripetercelo come si fa in certi monasteri; anzi dovremmo ripetere ogni momento a noi stessi: «Ricordati che devi farti santo». «Eruntque verba haec in corde tuo...».
Ad quid venisti? A chi ha molto ricevuto sarà richiesto anche molto. La vostra fedeltà, diceva il Curato d'Ars in punto di morte, sarà il più bel ringra­ziamento per tanti benefici ricevuti.
giuseppeallamano.consolata.org