LA VIRTÙ DELLA PAZIENZA

24 aprile 1921
Quad. XVI, 11-12
(24 Aprile 1921)
Della virtù della pazienza
Nell'ultima conferenza ho detto che S. Tommaso scrive il vero ri­medio contro la tristezza essere la pazienza. Oggi, 4 Dom. dopo Pa­squa, la S. Chiesa nel divino Officio ci fa considerare questa virtù colle Lezioni di S. Giacomo e di S. Cipriano.
Che cosa è la pazienza? S. Tommaso dice che è una virtù che so­stiene l'anima contro i movimenti della tristezza, cagionata da un male presente (V. Nepveu p. 218).
Il Schouppe (I p. 454) la definisce: Virtus, quae animum confirmat, moderando moerores ex malis percipi solitos.
La pazienza appartiene alla virtù della fortezza, di cui è parte inte­grale: ci è necessaria al pieno officio della fortezza. — I mali che for­mano oggetto della pazienza sono esterni ed interni. Esterni, come la perdita di beni, dei parenti, ecc.; le malattie e gli incomodi del corpo;
— aggiungi i disprezzi, le maldicenze, le calunnie ecc. (V. Nepveu). In­terni, le tenebre dell'intelletto, le aridità, gli abbandoni e le ribellioni della parte inferiore (ivi).
L'eccellenza, l'utilità della virtù della pazienza viene provata da tutta la S. Scrittura. N.S. Gesù Cristo nel Sermone sul monte disse:
Beati qui lugent... Beati qui persecutionem... Beati estis cum maledixerint vobis... gaudete et... S. Paolo agli Ebrei (cap. X): Patientia vobis necessaria est, ut voluntatem Dei facientes, reportetis promissionem. S. Giacomo: Patientia opus perfectum habet, ut sitis perfecti et integri in nullo deficientes. — Ciò pei peccatori, pei tiepidi e pei giusti (Scaram. III, p. 226).
La virtù della pazienza ha tre gradi: 1) sopportare i mali, ma con lamenti, senza ribellarsi; 2) rassegnazione piena alla volontà di Dio; 3) Sopportare i mali non solo con rassegnazione, ma con giubilo, come tanti martiri. S. Paolo: Communicantes Christi passionibus, gaudete (Nepveu).
Mezzi per ottenere la virtù della pazienza sono:
1) Mortificare le passioni
2) Assuefarsi a riguardare i mali di quaggiù come mandati da Dio buono per iscontare i nostri peccati e pei maggiori meriti pel Paradiso.
3) Non riguardare le persone che ci offendono, Es. Davide; e fra­stornare quanto si può il pensiero dagli oggetti dolorosi.
4) Orazione, riguardando il Crocifisso. Gesù factus in agonia pro-lixius orabat.
5) Fare frequenti atti di conformità, di uniformità e di deiformità alla S. Volontà di Dio.
P. V. Merlo Pich, quad. 381-388
Domenica 24 Aprile 1921
L'ultima volta abbiamo parlato della malinconia, della tristezza, che adesso siamo in tempo pasquale e che bisogna sempre stare allegri... ed abbia­mo tirato la conclusione che la malinconia bisogna che sia moderata.
Questa malinconia viene dai mali della vita, che però non bisogna lasciar­si cadere, lasciarsi abbattere.
I mezzi per non lasciarsi prendere dalla malinconia sono tre: 1) Il primo, come abbiamo detto è la preghiera; 2) Il secondo è quello di essere contenti del nostro stato, della nostra posizione. Ci son di quelli che non sono mai conten­ti, han sempre delle idee per la testa, sono incontentabili; e costoro non posso­no mai essere allegri massime in comunità... 3) Il terzo mezzo abbiamo detto che è la pazienza. Questo è il mezzo migliore, il più valido: la pazienza è quella che aggiusta tutto.
Nell'Ufficio di oggi si parla molto bene della pazienza; quelli che hanno detto il Breviario hanno visto come sono belle le lezioni. Nelle lezioni del pri­mo notturno è S. Giacomo che raccomanda a tutti la pazienza. Nel secondo notturno le lezioni sono pure tutte sulla pazienza, tolto da quel bel libro di S. Cipriano «De bono patientiae». Sono così belle! Avrei piacere che le leggeste queste lezioni. S. Cipriano era uno spirito forte, e ne parla così bene! Ve lo traduco in italiano: «La pazienza ci rende cari a Dio, tempera l'ira, frena la lingua, governa la mente, custodisce la pace, regge la disciplina, rompe l'im­peto della libidine...» e così continua facendone le più belle lodi. La pazienza deve moderare tutte le altre virtù, senza la pazienza non vi può essere nessun'altra virtù, non vi può essere perfezione, invece se vi è la pazienza ci sono pure tutte le altre virtù, vi è tutta la perfezione.
La pazienza è definita così dal Schouppe che studiate anche voi: «Virtus quae in malis animum confirmat, moderando moerores ex illis percipi solitos». E S. Tommaso così: «Virtus quae efficit ne difficultate imminentium malorum animus frangatur per tristitiam et decidat a sua magnitudine». Ecco: va contro i movimenti della tristezza cagionata dai mali di questa vita.
Ora ci sono due sorta di mali che ci possono affliggere in questa vita: mali esterni e mali interni. Mali esterni sono per esempio la perdita dei beni, dei pa­renti, le maldicenze fatte contro di noi, il disprezzo degli altri, oppure le ma­lattie, gli incommodi del corpo...: queste sono tutte pene esterne.
I mali interni invece sono per esempio le miserie dell'intelletto, le aridità, gli abbandoni dell'anima, così pure la ribellione della parte inferiore, le tenta­zioni più cattive. Questi sono tutti mali che sono oggetto della pazienza. Sono mali che li proviamo tutti o presto o tardi, ne proviamo tutti i giorni. Perciò ci vuole la pazienza che ci sostenga e ci aiuti a sopportarli.
La virtù della pazienza ha tre gradi: 1) Il primo è di quelli che sopportano i mali con qualche lamento ma non tale da ribellarsi contro N.S. Questo è il minimo che ci possa essere perché se uno si ribella contro N.S. non si può dire che abbia pazienza. Però se uno li sopporta già in questo modo è già virtù.
2) Il secondo è già migliore ed è di coloro che si assoggettano a soffrire prendendoli come disposizione di Dio, e si rassegnano a fare la volontà di Dio.
3) Il terzo invece è di quelli che non solo si rassegnano a soffrire come quelli del secondo grado ma li sopportano con giubilo, con gioia. Non è che non sentano il male ma hanno tanto amore e pensano al Paradiso che si meri­tano soffrendo che quasi non li sentono più. E come i martiri che generalmen­te Dio non toglieva loro i mali; ma avevano tanto amor di Dio, tanto desiderio di uniformarsi a Gesù Crocifisso, che l'amore vinceva il dolore. A pochi il Si­gnore ha fatto in modo che non sentissero i dolori, come a certi fanciulli e fan­ciulle che non avrebbero certamente potuto sopportarli senza una speciale gra­zia di Dio.
Anche noi dobbiamo tirare ad arrivare a questo grado, non è un grado impossibile per noi, e dobbiamo aspirarvi.
La necessità che abbiamo della pazienza ce la dimostra S. Paolo dicendo: «Patientia vobis necessaria est ut... reportetis promissionem». È necessaria per ottenere il premio promesso da N.S. E poi aggiunge: «Communicantes Christi passionibus gaudete». Non bisogna solo sopportarli senza lamentarsi, ma dice proprio: «gaudete». Qualche volta si può fare qualche lamento, è per­messo, è già virtù, ma non troppo; anzi non dobbiamo neppure accontentarci di sopportarli rassegnati alla volontà di Dio; ma bisogna che tiriamo il colpo di godere anche dei mali che il Signore permette. Non godere dei mali in se stessi, ma godere dei beni, del gaudio che ci meritano per il Paradiso. È per questo che i Santi pregavano il Signore che mandasse loro molto da soffrire.
Invece noi non siamo capaci a soffrire un poco senza che tutti lo sappia­no: come dice S. Teresa e così ne perdiamo tutto il merito. Va bene che si dica ai superiori ed a chi fa bisogno ma poi basta.
S. Teresa ha sofferto diciotto anni di aridità continua, eppure non si è mai lamentata. N. Signore nel discorso sul monte ha fatto l'elogio dei dolori sopportati con pazienza: «Beati qui lugent, quia consolabuntur». Qui lugent vuol dire tutti quelli che hanno da soffrire. Poi dice di nuovo: «Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam» che soffrono per la virtù, ossia tutti coloro che fan dei sacrifici per amor di Dio. «Beati eritis cum maledixerint vo­bis, et omne malum loculi fuerint adversum vos: gaudete et exultate quoniam merces vestra copiosa est in coelis».
S. Francesco di Sales è stato due anni sotto una calunnia terribile, eppure non si è mai scolpato, perché diceva: il Signore sa di quanta stima io abbia bi­sogno per fare quello che egli vuole da me, ed Egli mi darà il necessario. E se egli è giunto ad avere tanta mansuetudine è a forza di pazienza che c'è riusci­to.
Ed il B. Enrico Susone diceva:
«Chi ha pazienza in ogni loco
Non fa poco, non fa poco.»
Ecco l'importanza della pazienza; ci fa restare tranquilli in mezzo a tutte le peripezie di questa vita, e ci fa acquistare molti meriti.
La pazienza è utile per tutti: per i peccatori, per i tiepidi e per i giusti.
Ci sono tante volte di quelli che dicono: Che male ho fatto io da meritar­mi questo? Se anche non avessimo fatto dei grandi peccati, tuttavia questo serve a salvarci dal Purgatorio. E se fossimo anche santi serve ad aumentarci il Paradiso.
S. Teresa comparsa ad una religiosa dopo morta le disse che se avesse an­cora potuto desiderare qualche cosa in Paradiso, avrebbe desiderato di scen­dere su questa terra per soffrire ancora un poco e cosi meritarsi un poco più di gloria in Paradiso. Questo è il motivo per cui vediamo nei Santi tanto amore al patire: non abborrivano mica dal patire, anzi lo desideravano.
Ecco dunque: dobbiamo soffrire per scontare le nostre miserie e per fare piacere a N.S. e poi perché questo mondo è un luogo dove dobbiamo soffrire.
In secondo luogo la pazienza è necessaria ai tiepidi, perché costoro hanno bisogno di scuotersi, e questi sacrifìci che devono fare servono a scuoterli e a farli mettere a posto.
In terzo luogo la pazienza è necessaria ai peccatori, perché così ottengono il perdono dei loro peccati, e scontano già in questo mondo la pena che altri­menti dovrebbero poi soffrire nell'altra vita.
Ora come ottenere questa pazienza? Perché è inutile amare una virtù, è inutile desiderarla se non si usano i mezzi per acquistarla.
1) Il primo mezzo è quello di domandarla a N.S. Ma questo non basta perché il Signore dice: Aiutati che io ti aiuto. Bisogna che da parte nostra mo­deriamo le nostre passioni, ed allora il Signore ci aiuterà.
2) Il secondo mezzo è quello di assuefarci a riguardare i mali come prove­nienti dalle mani di Dio. Il Signore è buono e se ci lascia soffrire è perché ci vuole bene; perciò noi non facciamo come fanno nel mondo che mormorano. Quindi quando ci fanno una sgarbatezza, non bisogna star lì a pensarci sopra a meditare, a «magunè». Pensiamo subito che è il Signore che permette che quella persona ci faccia quella sgarbatezza.
Facciamo come il re Davide, che quando fuggiva da Assalonne e ha in­contrato un servo di Saulle, Semei, che si è messo a dirgli delle ingiurie e que­sto e quello, e perfino a tirargli delle pietre. Allora i soldati che erano con lui si son messi a dire a Davide: «Lasciaci andare a tagliargli la testa». Invece lui:
«No, lasciatelo stare, è il Signore!». Immaginatevi un poco se era il Signore che gli tirava delle pietre!
Così noi quando qualcuno ci offende, non diciamo subito: È il tale che mi offende: No, è il Signore. Ditelo pure che il Signore non si offende. Questo sì che è spirito! Dominus est! Se ci fosse anche uno che ci tirasse delle pietre, co­minciamo a non attribuirlo ad altri che al Signore.
Guardiamo il Crocifisso: uno sguardo a Gesù Crocifisso mette a posto tutto: il Signore che era innocente ha sofferto tanto, e noi andiamo dietro a tante storie!... Per un mal di capo! Si offre al Signore e poi si tira diritto. Non stiamo li tanto a pensarci, cerchiamo di distrarci: il male aumenta ancora di più col pensarci.
3) Il terzo mezzo è quello di abituarci a fare frequenti atti di conformità alla volontà di Dio. Il Rodriguez parla molto bene di questa conformità.
Abituarci a prender tutto dalle mani di Dio; avere solo questo di mira: la vo­lontà di Dio. Dire al Signore: Questa cosa la volete voi? Ebbene, la voglio anch'io!
Poi c'è la deiformità, che è una maggiore unione con Dio, colla sua vo­lontà, non solo si vuole quello che egli comanda, ma non si ha neppure più la propria volontà, come diceva S. Paolo: «Vivo autem jam non ego, vivit vero in me Christus». E così se il Signore vuole ch'io abbia la salute o non l'abbia oppure vuole che io non abbia stima, questa è pure la mia volontà. Se ci vuole ammalati, anche noi dobbiamo volere di essere ammalati. Ci sono dei malati con cui è un piacere trattare, mentre ci sono degli altri che sono insoffribili, in­tollerabili. Uh! è pazienza questa? — Si, ma... se soffrisse un po' lei il mio male!... Non lasciamoci andare a questo modo...
Bisogna sempre che cerchiamo di lavorare per l'anima propria.
S. Francesco di Sales da quel tale ricevette tanti improperi, e lui sentì tut­to, ma non disse neppure una parola... Un altro gli avrebbe dato due schiaffi, invece lui niente. Dopo lo hanno interrogato se non aveva sentito niente den­tro di sé. E lui rispose: «Altro che sentito! Se avesse visto nel mio cuore! Ma vuol che perdessi in un momento il frutto di diciotto anni di sforzi per acqui­stare la mansuetudine?».
Sicuro che ci vuole sforzo! «Virtus a vi!».
Questa virtù ci fa gran bene, ne abbiamo tutti bisogno. Sul momento non ci pensiamo, ma dopo diciamo: «Dovevo parlare così...» — si è sempre penti­ti.
4) Il quarto mezzo è quello di pensare al merito che ci facciamo per il Pa­radiso. Pensiamo a quelle parole di S. Paolo: «Momentaneum et leve tribolationis nostrae aeternum gloriae pondus operatur in nobis».
Perciò in questa settimana in cui la Chiesa ci fa leggere queste belle lezio­ni, e poi sempre, domandiamo al Signore di averla anche noi questa pazienza. E cominciamo subito a metterla in pratica fin d'adesso, non facciamo sol dei propositi futuri: Ah, quando sarò là... nel Tonchino, allora praticherò la pa­zienza... bisogna venire all'atto pratico...
«Patientia opus perfectum habet». La pazienza porta con sé la perfezio­ne, tutte le altre virtù; perciò mettiamoci d'impegno ad ottenere questa pa­zienza, a frenare le nostre passioni. In questo modo otterremo la pace con noi e cogli altri, perché la pazienza ci farà sopportare tutto, a lasciare passare tut­to.
Certo che in questo mondo bisogna soffrire, volere o non volere, siamo in una valle di lagrime, «in hac lacrimarum valle. Eja ergo», non diciamolo solo alla Madonna, ma diciamolo anche a noi stessi: Orsù, mettiamoci di buona voglia!...
Chi non è capace a sopportare queste piccole miserie con calma, tanto meno le sopporterà con gaudio.
Preghiamo S. Cipriano che ci aiuti ad innamorarci di questa virtù della pazienza, ed anche il nostro Santo di oggi, S. Fedele da Sigmaringa. Se andate al Monte c'è ancora la sua statua, ed a Madonna di Campagna c'è un quadro nell'orto, che lo rappresenta quando era chierico. È stato un gran santo, il pri­mo Martire di Propaganda; non è andato a convertire gli infedeli ma gli ereti­ci. Raccomandiamoci a lui che ci dia il suo spirito e ci conceda di essere come lui fedeli fino alla morte, come dice il suo Oremus. Fedeli alla nostra vocazio­ne, fedeli alle regole usque ad mortem. Siamo divoti di questo santo non solo oggi, ma sempre: quando in chiesa la testa ci scappa, diamo uno sguardo al ta­bernacolo, ed anche al quadro di questo santo: egli ci aiuterà...
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