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Scritto da Beato Giuseppe Allamano
8 maggio
1921
Quad. XVI, 13-14
(8 Maggio 1921)
Sull'unione
fraterna
Nella Epistola della S. Messa si legge
un tratto della prima lettera di S. Pietro (cap. IV), che tratta della carità ed unione. Dice: Ante
omnia autem mutuam in vobismetipsis charitatem continuam habentes. Il Santo Apostolo dopo avere raccomandato la
prudenza, e la preghiera, soggiunge: ma prima di ogni altra cosa abbiate la carità, una
carità mutua, vicendevole, e non per una sola parte, ma reciproca; e questa non sia a salti,
secondo il buon umore..., ma continua. Aggiunge per la pratica di essere ospitali, e facili a comunicare dei nostri beni,
perché non ne siamo che ministri di Dio, e dobbiamo farne parte ai fratelli. Ed il tutto sine mormoratione
(sic), come per forza, ma di cuore e con tutti. Ecco la comunione e l'unione che deve esistere fra i cristiani, e
più tra noi religiosi. Bella e santa cosa quest'Unione che è il primo bene delle
Comunità (Semeria p. 86). Guai a chi guasta questa unione. S. Bernardo: Vae illi per quem unitatis vinculum
jucundum turbatur. Senza questa carità ed unione coenobia sunt tartara, habitatores sunt daemones;
cum hac vero sunt paradisus in terris et in eis degentes sunt Angeli. I primitivi cristiani erano ben uniti fra
loro, sebbene di diverso paese, di varia età..., per cui sta scritto negli Atti degli Apostoli: Multi-tudinis
credentium erat cor unum et anima una. Solo il Signore e la Sua grazia possono fare vincere ogni
disparità ed unire intimamente gli uomini di una casa da renderli eguali e quasi dello stesso umore e gusto,
come dice la S. Scrittura: Deus qui inhabitare facit unius moris in domo. Esempi di tali
Comunità, e altre contrarie.
L'unione fa d'una Comunità
un esercito ben ordinato ed agguerrito da vincere il demonio: terribilis ut castrorum acies ordinata. Invece la
disunione, secondo S. Paolo distrugge una comunità: Si invicem mordemini, videte ne ab invicem
consummemini.
Vi dirò di alcuni mezzi per custodire e perfezionare questa
unione:
1) S. Bernardo dice: Cavenda sunt et levia. Tutte anche le piccole cose contro la
carità e la delicatezza devono evitarsi. Le parole pungenti, le piccole offese non subito aggiustate; le
mormorazioni, i lamenti contro i superiori ed il regolamento; le mancanze di civiltà e di rispetto
vicendevole — L'unione deve apparire: a) nella comunanza delle azioni pel bene comune, come
tante membra dello stesso corpo, b) nel parlare, come dice S. Pietro: qui loquitur, quasi sermones Dei.
Via le dispute anche teologiche troppo ardenti, né alcuno si creda essere lui solo in possesso della
verità, che è superbia, e potrebbe indurlo a combattere anche nel torto, c) specialmente nei
pensieri... Un autore (Semeria p. 106) si domanda se è bene che ogni Comunità abbia un proprio modo di
pensare; e risponde di sì, perché ogni istituto ha uno scopo speciale, che non può conseguirsi che
colla concorrenza di tutti i soggetti. Così fanno le religioni bene ordinate, le quali senza credersi superiori ad
altre, preferiscono la propria, e si animano a renderla sempre migliore. Il Ven. Olier ai confessori che esercitavano
questo ministero nella sua parrocchia pretendeva che fossero tutti d'accordo anche nelle opinioni
disputabili.
2) L'osservanza esatta e cordiale da tutti
dell'obbedienza e dell'affetto alla perfezione.
3) Il
Rodriguez aggiunge le frequenti e mutue corrispondenze tra i fratelli assenti e lontani.
(V. Semeria: La vita religiosa) (Rodriguez: La perf. tratt. IV).
P. V. Merlo Pich, quad. 310-318
Conferenza 7 (sic) Maggio
1921
E la novena la fate bene? Guardate di ricevere i doni dello Spirito
S., tutti sette!... Stamattina nella S. Messa nell'Epistola si legge un tratto della prima Epistola di S. Pietro, nella
quale si parla molto bene della carità vicendevole. Direte già: «Il Sig. Rettore oramai viene vecchio,
e come S. Giovanni Evangelista pare non abbia più altre cose da dirci, altro ricordo da lasciarci! ». Ma
stavolta non voglio parlarvi della carità, piuttosto della unione che produce e nello stesso tempo
è effetto della carità.
Unione vicendevole in una comunità
è una gran bella cosa! Tante volte noi ci inganniamo dicendo: «Ah, io voglio bene a tutti!...».
Sì, ma siete proprio uniti? Fate proprio un cuor solo ed un'anima sola? Tante volte si dice:
«A quel là non voglio nessun male, ma stia lontano!». Quelle lì sono goffaggini!
— «Gli ho perdonato, ma non voglio vederlo».
Noi non giungiamo fino a questo punto,
tuttavia c'è questa unione?... L'altro giorno facendomi la barba mi son tagliato un poco questo dito, e le
altre parti del corpo potevan dirgli: «Sta da te, se ti sei fatto male tientilo...». Invece i piedi si
son subito mossi, la mano si è subito occupata ad andare a prendere qualche cosa per fermare il sangue, tutto il
corpo si è occupato.
Dunque c'è fra noi questa unione di opere e di pensieri? Questo è
ciò che manca sovente in una comunità.
Questo tratto dell'Epistola di S. Pietro lo spiega
molto bene. Dice prima:
... Siate prudenti, pregate gli uni per gli altri... «Ante omnia autem mutuam
in vobismetispsis charitatem continuam habentes», prima di ogni altra cosa abbiate fra di voi una carità
continua: non che capiti che oggi voglia bene a tutti perché son di buon umore, e domani che sia di cattivo umore,
rigetti tutti. Bisogna che questa carità sia continua.
E poi continua: «Hospitales invicem
sine murmuratione». Adesso della ospitalità non ce n'è più bisogno; ed allora la possiamo
esercitare con un piacere fatto ad un compagno, col trattarlo bene, coll'andare insieme ad uno che non mi va a
genio.
Ci son di quelli che quando viene un forestiero, prima cosa è dire: «Uh, che
seccatore!...» poi a lui dicono: «Oh, che fortuna, che regalo!...», invece han mormorato e borbottato
ben bene, che forse l'altro ha perfino sentito di fuori.
Invece no, bisogna fare il bene «sine
murmuratione», per amor di Dio, non borbottando: il bene bisogna farlo bene.
Se uno ha qualche cosa di
bene, ne faccia parte per amor di Dio; uno che ha più ingegno, insegni volentieri a chi ne ha meno, — ut
accepit gratiam administrantes —, non sia astemio, aiuti quel compagno, comunichi il bene, affinchè si
dia gloria a N.S.: ut glorificetur D. nus N.J.C.
Ora per essere così, bisogna che ci sia unione di
abitudini, di testa, di cuore, di tutto...
Dei primi cristiani si dice che: «Multitudo credentium
erat cor unum et anima una». Così qui, coloro che vengono da fuori, siano vecchi o giovani, non si conoscono
neppure, eppure devono subito far una cosa sola: «cor unum et anima una».
Questo in una
Comunità è il più necessario. Tutti devono sentire i sentimenti e gli affetti che sente quel
compagno.
S. Bernardo dice così: «Vae illi per quem unitatis vinculum jucundum turbatur».
Quam jucundum habitare fratres in unum! Come è bello se c'è questa unione di tutto, si fa una cosa sola!
E S. Gerolamo dice che senza questa unione: «Coenobia sunt tartara, habitatores sunt daemones»;
I cenobii sono tanti inferni, e gli abitatori son tanti demoni! Invece: «Cum hac vero sunt paradisus in terris, et
in eis degentes sunt Angeli». Vedete che bella espressione di S. Gerolamo. La S. Scrittura commenta così
bene questo: «Deus qui inhabitare facit unius moris in domo», fa che ci sia un sol costume, un sol modo di
vedere; è una grazia di Dio quando uno non si cura d'altro che di aiutare gli altri.
Dunque
ricordiamoci: con questa unione le Comunità son tanti paradisi, senza di essa son tanti inferni.
Ci
va unione di azioni, di parole, di pensieri.
1) di azioni. Qui dentro chi fa una cosa, chi un'altra, non si
fa tutti una cosa sola; ma si fa tutti un corpo solo, tutti abbiamo uno scopo solo, a cui tendono tutti; e tutti i
membri devono operare per questo scopo: ora se non c'è questa unione, non si ottiene questo scopo della
Comunità.
In Comunità bisogna che ci interessiamo tutti. Se io vedo un ragno, lo tolgo; e non
bisogna dire: «non tocca a me!». Se fosse una cosa tanto grossa! Ma per un ragno! Se prendo qualche cosa e la
tolgo, quel tale non si offende, anzi è contento. Tocca a tutti star attenti che tutto vada avanti bene, il
prevenire i guasti. Se tutto il corpo va avanti bene, tutto va bene; ma se uno non fa la sua parte, non va più
avanti bene. Si può far tutto senza intrigarsi negli affari altrui: caso mai si può avvertire colui a
cui tocca. Del resto per certe cosette, raccogliere da terra un pezzo di carta, nessuno si offende.
Dunque
ci vuole unità di azioni, far ciò che si deve fare. Non immischiarsi e disturbare in quello che non ci
spetta; ma queste cosette si va già, si fanno da tutti... e se no si avverte chi tocca. Bisogna essere tutti
interessati.
2) Unione di parole. S. Pietro dice: «Si quis loquitur, quasi sermones Dei», chi
parla ricordi che deve parlare come se parlasse N.S. Tutte le parole, tutti i discorsi che facciamo si devono fare come se
fossimo alla presenza di Dio.
Non bisogna quindi parlare con superbia. Ci son di quelli con cui non si
può disputare. Si può disputare, son cosa buona le questioni teologiche e filosofiche,ma non disputar
troppo; ci sono di quelli che disputerebbero sempre... e poi bisogna cedere anche un poco. Bisogna disputare per amor
della verità. Ci sono di quelli che la ragione l'han sol sempre loro, sol loro vedono la verità, gli
altri non la vedono... allora lui è persuaso, gli altri anche, ed allora si disputa tenacemente,
dimodoché certe volte, anche se si vede la verità, si vuole aver ragione lo stesso. Con quei lì non
si può parlare, la ragione la voglion sempre loro, non si può disputare lealmente! Invece bisogna parlare
alla buona, senza attacco al proprio giudizio. Se no queste dispute portano la disunione, e danno scandalo agli
altri; ed allora per cose da niente si perde l'unità. È superbia questa.
3) È
necessaria unione di pensieri. Questo è ancora più difficile: conciliare le varie opinioni...
Prima di tutto in certe cose bisogna pensare, come è di obbligo, e non figurarci diverso: sopra la
regola e gli ordini dei superiori. Cosa sei? E se sei qualche cosa, quid habes quod non accepisti? Ah, i pensieri! Non ci
esaminiamo, non li osserviamo abbastanza! Cosa pensi dei tuoi compagni?... certo i pensieri è più
difficile sorprenderli.
Poi vediamo un po': va bene che ci sia un modo particolare di pensare in una
comunità?... Certe comunità... ci son sol loro, e gli altri son tutti in via damnationis! Questo non va,
sono eccessi...Ma c'è l'altra stima che è utile e anche necessaria. Perché se non si stima la
propria comunità, si va via... non si può star in un posto che non si stima, che non si ama. Se uno non
contento sta bene nelle carceri, ma non in congregazione. Ma non come certe Comunità che sol loro hanno dei
professori... son sciocchezze. Ma quando si è moderati, è necessario sentirsi contenti della propria
comunità... non andar contar i malcontenti agli altri, andar a farsi compatire... in modo che tutti sanno che
in quella Comunità non si voglion bene. Se ci sono dei difetti si aggiustano tra di noi, coi superiori... ma non
bisogna andarli a pubblicare ai quattro venti... Bisogna stimare nei pensieri la propria vocazione, il proprio
Istituto... per me è il miglior di tutti. Non dobbiamo essere invidiosi degli altri: «Utinam omnes
prophetent!». Ma per me l'Istituto è il migliore di tutti, quantunque non siamo che quattro gatti... Se
qualcuno non è contento dell'Istituto, vada pure a farsi Cappuccino o Certosino, nessuno glielo impedisce.
Che non capiti poi come a quei là della casa della Pace di Chieri...
Quali sono i mezzi per
fomentare questa unione?
1) Il primo è questo che dice S. Bernardo: «Cavenda sunt et
levia», si deve stare attenti alle cose, alle risposte... alle cose anche leggere. Per conservare questa
unione bisogna evitare tanti difettucci, mormorazioni, motti pungenti, satire... e se scappano, aggiustar subito
tutto... queste son mancanze di stima vicendevole... Pensiamo che ogni nostro compagno è stato da Dio
destinato a far tanto bene, tutti tendono alla perfezione, e perciò dobbiamo avere per ciascuno il rispetto e
la stima che si merita. Queste cose esterne aiutano... bisogna risparmiare tutte queste cose etsi levia...
2) Il secondo mezzo è quello di essere tutti uniti e d'accordo nell'ottenere la perfezione
dell'obbedienza: questo ha molta importanza, il tendere alla perfezione. Aver tutti buona volontà di obbedire
perfettamente, e di aver desiderio della perfezione. Se in una comunità uno vuol farsi più santo
dell'altro, necessariamente si fa una cosa sola.
E se siamo anche lontani uno dall'altro, la lontananza
non deve portar via quest'unione: si scriva frequentemente: gli scritti servono a cementare questa unione... si
comunicano le proprie idee... specialmente se si scrive di cose di perfezione.
Quindi è bene che
voialtri scriviate a quelli che sono in Africa, e quelli di laggiù scrivano a voi... siamo tutti fratelli, facciamo
una cosa sola ... siamo divisi dallo spazio, ma facciamo una cosa sola...
Conchiudiamo. Una comunità
in cui ci sia questa unione si può paragonare... «ut castrorum acies ordinata», è come un
esercito ben ordinato, e riuscirà a far molto bene...
Se non c'è questa unione,
capiterà quel che dice S. Paolo: «Si invicem mordemini, videte ne invicem consummemini...».
Quindi stiamo attenti a questa unione... Essa è la sostanza, il fiore della carità... Perciò
bisogna cercare di fomentarla... qualunque cosa impedisca questa unione, via!... costi quello che vuole...
P. A. Garello, fogli datt. pp. 15-17
Sulla carità
Direte già: il Signor Rettore ormai viene vecchio, e come S. Giovanni Ev. pare non abbia altro ricordo da
lasciarci. Ma stavolta voglio parlarvi dell'unione che essa produce e nello stesso tempo dell'effetto della
carità. Una unione vicendevole in una comunità è una gran bella cosa! Tante volte noi ci inganniamo
dicendo: «Ah! io voglio bene a tutti! Sì... ma siete proprio uniti? fate proprio un cuor solo ed un'anima
sola? Tante volte si dice: «a quello là non voglio nessun male, ma stia lontano!». Quelle lì
sono goffaggini! C'è questa unione?
L'altro giorno facendomi la barba mi son tagliato un poco
questo dito, e le altre parti del corpo potevano dirgli: «Sta da te, se ti sei fatto male tientelo». Invece i
piedi si son subito mossi, la mano si è subito occupata a prendere qualche cosa per fermare il sangue: tutto il
corpo si è occupato.
Dunque c'è fra di noi quest'unione di opere e
di pensieri? Il tratto dell'Epistola di San Paolo dice: «Siate prudenti, pregate gli uni per gli altri». Ante
omnia autem mutuam in vobismetipsis Charitatem continuam habentes. Il bene bisogna farlo sine murmuratione, per amor di
Dio. Se uno ha qualche cosa di bene ne faccia parte per amor di Dio: chi ha più ingegno insegni volentieri a
chi ne ha meno: «Ut accepit gratiam administrantes» non sia astemio, aiuti quel compagno, comunichi il bene
affinchè si dia gloria a nostro Signore:
ut glorificeturD.J.C.
Ora per essere così, bisogna che ci sia unione di abitudine, di testa, di cuore... di tutto. Dei primi
cristiani si dice: Multitudo credentium erat cor unum et anima una. Così qui, coloro che vengono da fuori, siano
vecchi o giovani, non si conoscano neppure, devono subito fare una cosa sola: cor unum et anima una. S. Girolamo
dice: che senza questa unione — coenobia sunt tartara, abitatores sunt daemones. Invece: Cum hac sunt paradisus
in terris, et in eis degentes sunt angeli. Ci va unione di parole, di azione, di pensieri.
a) di azioni: Qui
dentro chi fa una cosa, chi un'altra; ma si fa tutti un corpo solo, e tutti i membri devono operare per questo
scopo. In Comunità bisogna che ci interessiamo tutti. Se io vedo un ragno, lo tolgo: e non bisogna dire non
tocca a me. Se prendo qualche cosa, e lo tolgo quel tale non si offende anzi è contento. Tocca a tutti star
attenti che tutto vada bene: il prevenire i guasti; se tutto il corpo va avanti bene, tutto va bene; ma se uno non fa
la sua parte non va più avanti bene. Si può far tutto senza intrigarsi negli affari altrui: caso mai si
può avvertire colui al quale tocca. Del resto per certe cosette, raccogliere un pezzo di carta, nessuno si
offende.
b) Unione di parole: S. Pietro dice: si quis loquitur, quasi sermones Dei loquitur: chi parla si
ricordi che deve parlare come se parlasse N. Signore.
Tutte le parole, tutti i discorsi che facciamo si
devono fare come se fossimo alla presenza di Dio. Non bisogna quindi parlare con superbia. Si può
disputare, sono cosa buona le questioni teologiche e filosofiche, ma non disputare troppo: ci son di quelli che
disputerebbero sempre... e poi bisogna cedere anche un poco. Bisogna disputare per amore della verità. Ci son di
quelli che la ragione l'han sempre loro, solo loro vedono la verità, gli altri non la vedono... allora uno
è persuaso, gli altri anche, si disputa tenacemente.
Bisogna parlare alla buona, senza attacco al
proprio giudizio, se no queste dispute portano la discussione e danno scandalo agli altri, ed allora per cosa da
niente si perde l'unità: è superbia questa.
c) È necessaria l'unione di pensieri:
Questo è ancora più difficile: conciliare le varie opinioni... Di certe cose bisogna pensare come
è di obbligo: così sopra la regola e gli ordini dei Superiori. — Cosa sei? Se sei qualche cosa, quid
habes quod non accepisti? — Ah! i pensieri. Non li esaminiamo, non li osserviamo abbastanza. Cosa pensi dei
tuoi compagni?
Certe Comunità... ci sono solo loro, le altre son tutte in via damnationis: Questo non
va, sono eccessi... Ma c'è l'altra stima che è utile ed anche necessaria. Perché se non si
stima la propria Comunità, si va via... non si può stare in un posto che non si stima. Bisogna stimare nei
pensieri il proprio Istituto... per me è il migliore di tutti. Non dobbiamo essere invidiosi degli altri: utinam
omnes prophetent.
I mezzi per fomentare questa unione sono:
a)
Cavenda sunt et levia (S. BERNARDO). Bisogna evitare tutti i diffettucci, mormorazioni, motti pungenti, satire... e se
scappano aggiustare subito tutto. Pensiamo che ogni nostro compagno è stato destinato da Dio a far tanto bene,
tutti tendono alla perfezione, e perché dobbiamo avere per ciascuno la stima ed il rispetto che si merita.
b) Essere tutti uniti e d'accordo nell'ottenere la perfezione nell'obbedienza. Se in
una Comunità uno vuol farsi più santo dell'altro necessariamente si fa una cosa sola. E se siamo lontani
uno dall'altro, la lontananza non deve portare via questa unione: si scriva frequentemente: gli scritti servono a
cementare questa unione.
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Pubblicato: Martedì, 13 Giugno 2006 23:00