IL “MESE DI MARIA”CON L’ALLAMANO

IL “MESE DI MARIA”CON L’ALLAMANOConsVoltoVetr

«Mancherei al mio dovere...»

 

L’Allamano sentiva intensamente il mese di maggio e lo animava non solo nel santuario della Consolata, ma anche presso le comunità dei missionari e delle missionarie. Difficile che non fosse lui ad iniziare il mese di Maria ed a concluderlo. La sua pietà mariana, specialmente incentrata sulla “Consolata”, poggiava su solide basi bibliche e teologiche. In lui, tuttavia, era presente anche e molto il “cuore”. In queste riflessioni non riporto tanto i suggerimenti ascetici che l’Allamano dava per trascorrere con fervore il mese di Maria e neppure riferisco le pratiche che erano in uso in quel periodo. Preferisco ricordare la spiritualità mariana dell’Allamano, soprattutto il suo fervore, che sta alla base e dà un senso a tutte le pratiche spirituali, a partire dal mese di Meria.

 

1. «Mancherei al mio dovere…». Le parole con le quali incominciava o concludeva la conferenza o il fervorino nel mese di maggio appaiono ripetitive, ma sono caratteristiche e indicano bene il suo rapporto personale con la Madonna. Si vede che gli sgorgano spontanee dal cuore. Sentiamone alcune: «Mancherei al mio dovere ed al bisogno del mio cuore se lasciassi passare il mese di Maria senza dirvi qualche parola, per eccitarvi a sempre più stimare ed amare sì buona madre»;1 «Mancherei al mio dovere se non prendessi tutte le occasioni propizie per parlarvi della cara Madonna»;2 «Crederei di mancare al mio dovere, ed al mio speciale affetto alla SS. Vergine se finisse questo mese senza parlarvi di proposito della nostra cara Madre».3

 

2. Il suo cuore. Non dimentichiamo che l’Allamano, sia per carattere che per formazione, più che al sentimento, mirava all’impegno coerente della vita. Ecco una sua nota manoscritta per la conferenza sull’Immacolata, il 30 novembre 1920: «La vera devozione non consiste nel sentimento, ma nella volontà pronta di praticare ciò che appartiene al servizio di Dio, all’onore della SS. Vergine, ecc. La tenerezza è un’aggiunta non necessaria, che neppure ebbero sempre tutti i Santi»4

Tuttavia la sua pietà mariana era delicata. Conosciamo molte sue espressioni che indicano l’intensità del suo amore verso Maria, fino alla tenerezza più profonda, come queste: «Quando andai a Loreto e vidi la Santa Casa colla scritta: Qui il Verbo si è fatto carne…ah, che cosa ho provato…»;5 «Questo amore (alla Madonna) è di essenza tenero, bisogna ricorrere lungo la giornata a lei, proprio come ad una madre»;6 «Se la Madonna mi dicesse: Vuoi sentirla la mia voce? – No, no, direi, la sentirò poi in Paradiso: Se vuol venire ad assistermi in punto di morte, bene; questo lo desidero, ma per sentire la sua voce, no, no, la sentirò poi in Paradiso»;7«Io dico sempre la Messa della Consolata, quando non è proibita. Quando io dico che voglio bene alla Consolata, cosa devo dire…dirò sempre quello».8 «La nostra Consolata è delicata e vuole che i suoi figli siano delicati».9

Ascoltiamo anche questo sfogo del cuore del nostro Padre, quando da anziano non poteva più recarsi, come avrebbe desiderato, ad incontrare i suoi figli in casa madre: «È un pezzo che non posso più venirvi a trovarvi e parlarvi, ma vi mando le mie preghiere e la mia benedizione. […] Tante volte mi sono lamentato colla Madonna, dicendole che mi ha messo in un imbarazzo…e che se le cose non andavano come dovevano mi togliesse perché io non avevo tempo…Ma Ella mi ha sempre risposto di continuare ed io ho abbassato il capo e sento sulle mie spalle il peso della grande responsabilità che ho dinnanzi al Signore di tutti voi»: 10

 

3. La “cara” Consolata. La tenerezza del Fondatore verso la Consolata si manifesta, in modo spontaneo, quando, quasi senza accorgersene, si riferisce a lei con il delicato e affettuoso aggettivo di “cara”. Per lui la Consolata è “cara”. Lo notiamo particolarmente quando conclude le sue lettere ai missionari e alle missionarie. A P. U. Costa prefetto della casa madre, il 20 agosto 1914: «Il Signore vi benedica, come io prego per tutti ai piedi della cara Consolata».11 A Sr. Maria degli Angeli, superiora delle suore, mentre era in convalescenza, il 14 febbraio 1917: «Prego la cara Consolata di compiere presto la tua guarigione».12 A Sr, Giuseppina Battaglia, in famiglia per ragioni di salute, il 22 novembre 1918: «Ti benedico ai piedi della cara Consolata».13

L’Allamano, vivo in cielo, ripete certamente a quanti gli sono spiritualmente vicino le consolanti parole scritte alle suore missionarie della prefettura apostolica di Iringa, Tanzania, il 10 novembre 1924: «Non vi dimentico mai presso la cara Consolata, e La prego che vi assista, consoli e renda fruttuose le vostra fatiche».14

 

4. Se fai bella figura, sei tu. Il rapporto, per così dire operativo e di collaborazione, tra l’Allamano e la Consolata non si è mai alterato, neppure nei momenti difficili. Appare evidente che l’intesa era profonda e l’Allamano non dubitava mai della Madonna. Si fidava più di lei che di quando lui stesso riusciva a comprendere. Illustro questo aspetto con alcuni esempi.

Il primo risale all’inizio dell’Istituto, quando, partiti i primi missionari, i rimasti, chi per un motivo e chi per un altro, se ne sono andati, lasciando la casa vuota. Le testimonianze dei suoi collaboratori sono unanimi nell’attestare la sua fortezza d’animo e lo spirito di fede dimostrato in quella occasione. Sentiamo quella del Can. Cappella: «Ricordo al riguardo, che dopo la prima spedizione missionaria, avvenuta nel giorno dell’Ascensione del 1902, l’Istituto ebbe a perdere tutti i suoi soggetti che ancora si trovavano nella Casa Madre, i quali tutti se ne andarono. La prova era certamente grave, ma il Servo di Dio seppe superarla da forte. […] Fatto sta ed è che il Servo di Dio fu costretto a chiudere la Casa, si pose la chiave in tasca, e ritornato al Santuario della Consolata, e prostrandosi ai suoi piedi, le confidò il suo dolore e le sue pene, terminando: “SS. Vergine della Consolata l’Istituto delle Missioni è opera vostra: pensateci Voi!”. E dopo qualche tempo venne a tavola con noi, senza dimostrare neppure l’ombra di accasciamento».15

Sentiamo anche il suo commento, che suona come una cordiale confidenza ai suoi figli. Incoraggiando gli allievi ad impegnarsi con serietà, il 17 gennaio 1917, così concludeva: «Il numero non mi ha mai dato pensiero. Vedete, quando sono partiti per l’Africa i primi Missionari, dopo la casa è stata vuota. Mi sono spaventato? Niente affatto; ha pregato la Madonna: “questa è tutta opera vostra, pensateci voi” – ed ecco che otto nuovi sacerdoti sono entrati in questo Istituto, incominciando dal Signor Prefetto».16 È molto bella pure la testimonianza di P. C. Saroglia rilasciata il 12 giugno 1948, che riporta queste parole del Fondatore: «Partiti i primi Missionari per l’Africa, partirono anche subito per le loro case i pochi rimasti…così la piccola Casa-Madre rimase vuota; dopo alcuni giorni io ho chiuso la porta, mi sono messo le chiavi in tasca, le presentai alla Madonna alla Consolata, e pregando ogni giorno ai suoi piedi, Le dissi che l’Opera era sua, le chiavi erano sue, le Missioni era state da Lei volute, che pensasse Lei ad ispirare vocazioni missionarie, a riaprire la Casa. Così nella preghiera io passavo tranquillamente i miei giorni aspettando di vedere ciò che la SS. Consolata avrebbe fatto per le sue Missioni…Però avendo anche un po’ di trepidazione per i cari Missionari partiti, e temevo di non potere poi presto aiutarli con altro personale […]. Per più di un mese la Consolatina [la prima casa madre] rimase chiusa e vuota».17

Un secondo esempio lo troviamo in occasione della requisizione della casa madre durante la prima guerra mondiale. Sappiamo quanto il Fondatore ha fatto per impedire la requisizione di un edificio costato tante preoccupazioni e denaro, terminato da poco. Ha fatto i passi dovuti, ma soprattutto ha affidato la questione alla Consolata. Ecco il suo commento, quando ormai non c’era più nulla da fare e parte della casa era stata destinata ad ospedale militare: «Siamo stati costretti a cedere una parte della casa ai soldati; con ciò non è detto che siamo contenti: non volevo […] Io il miracolo non l’ho chiesto alla Madonna, ma ho lasciato tutto nelle sue mani e la Madre sa quello che fa…Se ha permesso così, il suo giudizio è retto».18

Il terzo esempio lo desumo dalla sua confidenza nella protezione della Consolata per tutte le necessità, comprese quelle di carattere economico. Risentiamo il testo più famoso, desunto dalla conferenza del 10 giugno 1915: «La Consolata ha fatto per questo Istituto dei miracoli quotidiani; ha fatto parlare le pietre, non avete visto ha fatto nevicare denari, non avete visto, voi dormivate. Nei momenti dolorosi la Madonna interveniva in modo straordinario, ho visto molto molto […]. Il non aver mai lasciato accadere nessuna disgrazia, il pane quotidiano…e…anche per questo vedete, lascio l’incarico alla Madonna, per le spese ingenti per la Casa, e per le Missioni, vedete, non ho mica mai perduto il sonno o l’appetito, glielo dico, pensaci, se fai bella figura sei tu, io me ne vado».19

 

5. Il segreto di una visione. C’è un momento particolare nella vita dell’Allamano, che rimane come avvolto da un velo di mistero. Si tratta della prodigiosa guarigione dalla grave malattia che lo ha colpito nel 1900. Anche lui cadde nell’epidemia influenzale, che ben presto si cambiò in polmonite doppia. Giunse in punto di morte, causando in tutta Torino una grande apprensione, come appare anche dai giornali dell’epoca e da varie testimonianze.20

Ho detto che attorno alla guarigione da questa grave malattia c’è un velo di mistero, che tocca proprio il rapporto personale tra il Fondatore e la Consolata. Per l’Allamano sembra di no. Secondo lui, la sua guarigione era semplicemente collegata al progetto della fondazione dell’Istituto, che Dio gli aveva affidato e che toccava proprio a lui realizzare.21 Ma per coloro che gli erano vicini il mistero rimaneva. Si pensava che l’Allamano fosse guarito dopo aver avuto una visione della Madonna Consolata. Tra le suore questo discorso circolava, probabilmente incoraggiato dal Confondatore stesso, il canonico G. Camisassa. Ci sono varie testimonianze al riguardo.

Una interessante è di Sr. Teresa Grosso, resa l’11 febbraio 1944: «Verso la fine del 1910 il Can. Camisassa avrebbe detto: “La Madonna il P. Fondatore l’ha vista e l’ha guarito, d’altro non interrogatemi più perché non posso parlare di più, perché non posso rompere il segreto”, e ciò diceva con un senso di mestizia, perché non poteva accontentarci; “Provate voi a domandare a lui [all’Allamano], voi che siete le beniamine e chissà che ve lo dica; tutto è scritto e in ordine; un giorno si saprà tutto, tutto”. Io penso che il Vice Rettore, avesse scritto ciò che riguardava questa visione […] e che poi l’avrebbe potuto dire dopo la morte del Fondatore, ma essendo morto prima il Vice Rettore questi scritti sono capitati in mano del Padre e lui per la sua umiltà li abbia distrutti»22:

Sono particolarmente toccanti le parole del Can. Cappella dette in un memorabile indirizzo rivolto al Fondatore nel 10° anniversario della guarigione: «Sì la Consolata aveva operato il miracolo […].Viene il momento della S. Comunione ed egli riprende nuova vita, i suoi occhi si illuminano, il volto quasi si accende, il cuore si agita e ricevuto il suo Dio si ricompone dolcemente in calma, lo si crede assopito…Che cosa sia successo durante quell’abbastanza prolungato assopimento o sonno che lo si voglia chiamare, egli solo forse potrebbe dircelo…fin ora appena solo qualche sprazzo di luce ha rotto quelle sacre tenebre; e nessuno forse saprà mai nettamente che cosa sia in quel momento prezioso passato tra lui, il suo Dio e la Vergine Consolata. Quello fu un sonno operativo di grandi cose».23

 

Conclusione. Come conclusione, rileggiamo una delicata e curiosa preghiera di ringraziamento del nostro Fondatore, riportata al termine della conferenza alle suore24 del 10 giugno 1915: «(Preghiera del Ven.mo Padre) Vi ringrazio, mio Dio, di avermi creato, fatto nascere da parenti buoni e cristiani, di avermi fatto ricevere il Battesimo, una buona educazione. Vi ringrazio di avermi lasciato passare l’infanzia in questi tempi burrascosi senza vedere tanto male; vi ringrazio dei Sacramenti, delle tante grazie ricevute, dell’Ordinazione sacerdotale. Ringrazio più voi, o Maria, che il Signore di essere già da 35 anni vostro custode. Che cosa ho fatto in questi 35 anni? Se fosse stato un altro al mio posto, che cosa avrebbe fatto? Ma non voglio investigare; se fossi tanto cattivo,non mi avreste tenuto per tanti anni: è questo certamente un segno di predilezione. Se ho fatto male, pensateci, aggiustate voi, e che sia finita; accettate tutto come se l’avessi fatto perfettamente. Non voglio sofisticare, prendete le cose come sono; mi avete tenuto, dunque dovete essere contenta. – E mi pare che la Madonna abbia sorriso».25

 

1 Conf. IMC, I, 289.

2 Conf. IMC, II, 553; Conf. MC, I, 344.

3 Conf. IMC, III, 303 ; Conf. MC, II, 592.

4 Conf. IMC, III, 492; cf. anche 574.

5 Conf. MC, II, 50 e 51.

6 Conf. IMC, II, 308.

7 Conf. MC, III, 405.

8 Conf. MC, II, 360.

9 Conf. IMC, III, 414.

10 Conf. IMC, 706; queste parole sono state pronunciate nel suo studio alla Consolata, il 18 marzo 1924.

11 Lett.VI, 617.

12 Lett., VII, 511.

13 Lett. VIII, 236.

14 Lett., X, 156.

15 Processus Informativus, I, 284.

16 Conf. IMC, III, 29-30.

17 Arch. IMC; TUBALDO I., o.c., II, 619.

18 Conf. MC, II, 24-25.

19 Conf. IMC, II, 308.

20 Il Can. N. Baravalle depone: «Dal Seminario di S. Gaetano sentii parlare dell’Allamano, in occasione di una sua malattia che fece trepidare tutta l’Archidiocesi, essendo egli ritenuto una personalità di massima importanza del Clero torinese»: Processus Informativus, IV, 29. Il P. G. Panelatti, nella commemorazione tenuta a Sanfrè il 16 febbraio 1946 dice: «Di Lui avevo già sentito parlare anni addietro. E precisamente ricordo di aver pregato per lui nel 1900, quando mi trovavo studente nell’Istituto Salesiano al Martinetto. Rammento con precisione che una sera il Sacerdote che dava la buona notte, ci disse che il Cardinale di Torino invitava caldamente a pregare per un distinto Sacerdote, nipote di un altro santo Sacerdote, mezzo gobbo, morto a Torino da poco tempo […] tutta la città s’era commossa e aveva pregato per la sua guarigione»: in ‘Tesoriere’, n.1, gennaio-febbraio 1970, 1.

P. Sales, nella biografia, dopo aver detto che alcuni sacerdoti avevano già celebrato la S. Messa in suffragio dell’Allamano, in nota afferma: «Raccontandoci questo particolare, l’Allamano soggiungeva sorridendo di averli già ricompensati quasi tutti celebrando la Messa in suffragio delle loro anime»: o.c., 156, n. 28.

21 Nella conferenza del 24 aprile 1910 ebbe a dire: «Dieci anni fa avevo incorso una gravissima malattia che mi portò fino alle porte del Paradiso, d’onde fui ricacciato qui in terra, poiché non era ancora degno; il nostro Card. Arcivescovo veniva a trovarmi quasi tutte le sere, e siccome avevo già parlato di questa istituzione, gli dissi: “Sicché ormai all’Istituto penserà un altro”, e lo dicevo contento; forse per pigrizia per non sobbarcarmi ad un tal peso. Egli però mi rispose: “No, guarirai e lo farai tu”, - E sono guarito»: Conf. IMC, I, 332 – 333. Rispondendo agli auguri per il suo compleanno, nella conferenza del 19 gennaio 1913, raccontando i principali avvenimenti della sua vita, ad un certo punto commenta: «Voglio che lo sappiate, non c’è niente da gloriarsi! È per colpa vostra ch’io sono qui e sono guarito, dovrei già essere morto, e là in Paradiso! Fu un miracolo perché il sangue era già decomposto»: Conf. IMC, I, 492.

22 Arch. IMC; TUBALDO, o.c., 467. Il P. Sales, in una testimonianza del 1944, dice che, dovendo scrivere l’articolo per il 50° di ordinazione del Fondatore, gli chiese esplicitamente se avesse visto la Madonna: «Egli negò»: Arch. IMC; Tubaldo I., o.c., II, 470. Nella biografia, il Sales scrive: «Nel caso nostro, poi, tenuto conto della costituzione fisica della persona colpita, non si può a meno di riconoscere una grazia specialissima della SS. Vergine Consolata. […] In riferimento a questa guarigione diceva: “Non c’è da pensare che vi siano state visioni; né le cerco né le desidero. Quand’ero presso a morire feci promessa, se fossi guarito, di fondare l’Istituto. Guarii e si fece la fondazione. Ecco tutto”»: o.c., 156.

23 Lett., V, 335-336.

24 Nella corrispondente conferenza ai missionari non è riportata: cf. Conf. IMC, II, 310.

25 Conf. MC, I, 136.

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