L'ALLAMANO E P. G. BARLASSINA

BarlassinaUN SUCCESSORE DI “PRIMA CLASSE”

 

P. Gaudenzio Barlassina, entrato nell'Istituto dopo l'ordinazione diaconale il 6 luglio 1903, partito per il Kenya il 24 dicembre 1903, non visse molto tempo con il Fondatore e, di conseguenza, non potè conoscerlo direttamente come fecero altri confratelli dopo di lui. Tuttavia, tra i primi collaboratori dell'Allamano, egli occupa un meritato posto di rilievo.

 

L'Allamano, forte della propria capacità di conoscere con facilità le persone, ha concepito presto progetti di responsabilità per questo suo figlio, il quale lo ha ricambiato con un impegno missionario coerente e fedele, e con un affetto sincero, direi quasi una venerazione.

 

Dopo un servizio missionario di 10 anni in Kenya, p. Barlassina nel 1913 è stato nominato Prefetto Apostolico del Kaffa e, nel nel 1933, a conclusione della Visita Apostolica, la Santa Sede lo ha chiamato alla responsabilità di Superiore Generale dell'Istituto, compito che ha svolto fino al 1949. Dopo avere concluso il suo servizio missionario a Roma come Procuratore dell'Istituto presso la Santa Sede, si è ritirato a Torino, dove è morto il 27 aprile 1966.

 

Il rapporto di collaborazione tra l'Allamano e p. Barlassina lo definirei sia “a distanza” che “postumo”, nel senso che i due si sono intesi e hanno avviato a sviluppato la missione in Etiopia d'accordo, pur vivendo lontano l'uno dall'altro; e poi, durante gli anni del suo servizio di Superiore Generale, il Barlassina ha operato in totale e dichiarata sintonia con lo spirito e le direttive dell'Allamano.

 

P. Barlassina stimato dall'Allamano. Ecco come il Fondatore presenta il giovane missionario Barlassina a p. F. Perlo, allora superiore del gruppo in Kenya: «Don Barlassina è soggetto di prima classe in tutto, equilibrato, che l'aiuterà molto. In qualsiasi posto farà bene, ma mi pare indicato a coltivare il seminario dei catechisti. Se Vostra Signoria ne abbisogna a Limuru [che fungeva di procura per le missioni], lo fermi qui anche come capo di tale opera. La gioventù negli oratori di Torino fu il suo ideale, e faceva molto bene».

 

Più tardi, volendo affiancare un aiutante a mons. Perlo, nominato nel frattempo Vicario Apostolico, specialmente per la cura spirituale dei missionari, l'Allamano ha pensato a p. Barlassina. Probabilmente dietro informazioni ricevute, al Fondatore è sorto il dubbio che il Barlassina, personalmente ineccepibile, fosse troppo tollerante verso gli altri. Ecco come si è confidato con il Camisassa, che in quel tempo stava visitando le missioni del Kenya: «Se non mi sbaglio […], io preferisco p. Barlassina [….]. Ma Vostra Signoria vedrà meglio se indovino, temendo che il medesimo sia buono per sé, ma debole per gli altri. Prego la SS. Consolata di illuminarla e di aiutarla a riuscire in qualche cosa». Questo progetto non è andato in porto, non perché nell'Allamano fosse diminuita la stima verso p. Barlassina, piuttosto perché lo ha proposto per un altro ufficio molto importante.

 

P. Barlassina scelto per realizzare “il sogno”. Tutti conosciamo che “il sogno” dell'Allamano nel fondare l'Istituto era quello di continuare l'opera, purtroppo interrotta per forze maggiori, del grande missionario cappuccino Guglielmo Massaia nel Kaffa. Conosciamo anche l'insistenza con cui il Fondatore ha presentato, a più riprese, la richiesta a Propaganda Fide per ottenere il Kaffa come territorio in cui inviare i propri missionari. Finalmente, dopo lunghe e dolorose trattative, quella sospirata e nuova missione gli è stata affidata. Si era nel 1913.

 

Come responsabile per avviare questa missione così significativa per lui e per l'Istituto, all'Allamano è subito venuto in mente il nome di p. Barlassina, che ha proposto a Propaganda Fide come il soggetto più idoneo per essere nominato Prefetto Apostolico: «Io ritengo, per la Prefettura del Kaffa, assai preferibile il Padre Barlassina, soprattutto per la mitezza e bontà di carattere – e della stessa presenza – che spero gioverà a concilliargli la benevolenza degli Abissini».

 

Rispondendo ad un apposito questionario, ecco come l'Allamano ha formulato alcuni giudizi più in particolare: «[Il p. Barlassina, in Kenya] mostrò molta prudenza a pratica nel trattare gli indigeni, per cui mandato dal suo Vicario Apostolico Mons. Perlo in missione speciale presso i Capi Kikuiu, riuscì a vincere la loro diffidenza e riluttanza che avevano a mandar i loro figli nel Collegio di Fort Hall, aperto appositamnte per educare i figli dei Capi. È di costituzione sana e abbastanza robusto: di carattere mite e spirito conciliante. È paziente, assiduo nei lavori di missione e perseverante […]. È puntuale negli esercizi di pietà, osservante delle Sacre Cerimonie, come delle Regole di Comunità. Il suo contegno è edificante, e dal suo aspetto traspare la mitezza e bontà del suo animo».

 

A nessuno sfugge come il Fondatore abbia trovato il modo di conoscere bene p. Barlassina, convinto di potere collaborare con lui a questo alto livello. Si tenga presente che la Prefettura Apostolica era affidata alla responsabilità dell'Istituto, nella persona dell'Allamano, ma il p. Barlassina, come Prefetto Apostolico, operava a nome del Sommo Pomtefice. Quindi tra l'Allamano e il p. Barlassina si è instaurato un rapporto di collaborazione missionaria di prim'ordine, come, del resto, era già iniziato prima ancora con mons. F. Perlo per il Vicariato in Kenya.

 

Che l'Allamano, oltre ad apprezzare, volesse molto bene a questo suo figlio missionario lo dimostra anche la libertà con cui lo trattava. Nei loro rapporti non si nota nessun formalismo, ma solo spontaneità, ovviamente nel rispetto vicendevole e nella chiarezza. Quando giudicava opportuno, l'Allamano non dubitava di far notare a p. Barlassina certi sbagli, nonostante che svolgesse un compito ecclesiastico, di cui per altro doveva rendere conto alla Santa Sede. Credo che si debba ammirare, per esempio, la schiettezza paterna di questo dolce rimprovero che che troviamo in una lettera dell'Allamano al Barlassina del 1918: «Mi scrivi che ti senti ispirato in quel che fai, e quasi ti appelli al tribunale di Dio. Mio caro, la via icura della volontà di Dio è l'obbedienza.[...]. In ogni caso non avrai mai da pentirti di aver anche ritardato un progresso non voluto dai superiori. Sta a cuore anche a noi il progredire, ma con prudenza e secondo le direttive di Propaganda». Questa limpidezza di rapporto è stata la base della loro intesa in vita, che nel Barlassina è durata immutata anche dopo la morte dell'Allamano.

 

 

P. Barlassina discepolo fedele. Il pensiero di p. Barlassina sull'Alamano risulta chiaro dall'inizio della sua deposizione al processo canonico di beatificazione, mentre era Superiore Generale: «L'impressione che ebbi fin nel primo incontro [con l'Allamano] fu una piena conferma dell'opinione di uomo veramente superiore, e di uomo di Dio, che già mi ero fatto. […]. Dopo il mio ingresso nell'Istituto […], la mia opinione non solo si confermò maggiormente in me, ma andò continuamente crescendo, non solo per quella impressione esterna che ne avevo ricevuto, ma per la conoscenza più intima che potei avere del Servo di Dio, il quale mi si rivelava quale era davvero, uomo di alta intelligenza, di profondissima pietà, di zelo ardentissimo, e determinato unicamente dal desiderio della maggior gloria di Dio».

 

Conserviamo la prima lettera che p. Barlassina ha scritto da Nyeri all'Allamano, il 4 settembre 1904, alcuni mesi dopo il suo arrivo in Kenya. Da essa traspare evidente lo spirito missionario del Barlassina e il suo atteggiamento nei confronti dell'Allamano: «Mi fu graditissima la sua lettera [andata perduta], e le prometto di cuore che mi farò primo studio di interpretare ogni cosa secondo la volontà dei Superiori per fare l'obbedienza, sapendo di indovinare soltanto con questa». Dopo avere dato notizie del proprio lavoro, conclude: «Se Lei sapesse ch'io manchi in qualche cosa, o nello scrivere a casa od altro, riceverò volentieri qualsiasi avvertenza non intendendo mancare. Ringrazio delle Sue benedizioni e nelle stesse sempre confido».

 

Il primo atto che p. Barlassina ha compiuto come Superiore Generale fu di riconfermare, a nome suo e di tutti i confratelli, la piena adesione all'Allamano. Tra le righe di quanto scrive si legge che vuole ricollegare, in modo esplicito ed evidente per tutti, un rapporto sereno e totale tra il Fondatore e l'Istituto, senza che possano insorgere equivoci, tanto meno deviazioni. L'intesa e la fedeltà devono essere complete. Nella prima sua lettera circolare del 30 giugno 1933, dopo avere affermato che l'Istituto «deve immortalare il nome di Giuseppe Allamano, umile quanto fervente Servo di Dio», continua: «Soltanto condotti dallo Spirito Santo […], noi potremo pervenire a vedere il nostro Istituto rinnovato nello spirito del primo fervore, quale aveva profuso abbondante il Venerato Fondatore nei nostri cuori». E nella seconda lettera circolare, scritta l'8 settembre successivo, continua nella stessa direzione: «Lungi da me l'idea di portarvi qualche cosa di nuovo, una mia impronta, un'aggiunta! Tutti gli insegnamenti, le direttive, le raccomandazioni ripetuteci dal nostro Padre Fondatore ed i suoi scritti specialmente, saranno quella Regola fissa dalla quale noi potremo mai derogare e non ci allontaneremo né punto né poco».

 

Quanti hanno conosciuto p. Barlassina più da vicino sono concordi nel testimoniare questa sua piena sintonia con il Fondatore, non solo nello svolgere il compito di Sueriore Generale, ma anche nella vita individuale. In lui non si era mai interrotta la profonda comunione che aveva instaurato con il proprio Padre fin dal suo ingresso nell'Istituto. Ovviamente, la collaborazione tra lui e l'Allamano, in seguito, si è posta su di un piano totalmente diverso, superiore. Tuttavia, si può sempre parlare di “collaborazione” perché p. Barlassina, in qualità di Superiore Generale, ha guidato l'Istituto spiritualmente “assieme” al Fondatore. Grazie a Dio, questa stessa comunione p. Barlassina ha saputo conservare, anzi sviluppare nella nostra comunità.

 

La conclusione di queste idee ce la offre lo stesso p. Barlassina nella testimonianza processuale già ricordata: «Nutro viva devozione al Servo di Dio, che prego ogni giorno, onde mi ottenga dal Signore la grazia insigne di conservare – quale suo successore – quello spirito che egli con tanta e così alta saggezza impresse nell'Istituto da lui fondato, onde continui e perseveri nelle sue sante finalità».

giuseppeallamano.consolata.org