L’ALLAMANO E IL SUO PRIMO BIOGRAFO P. L. SALES

SalesP. LORENZO SALES TESTIMONE QUALIFICATO

DEL PENSIERO DEL FONDATORE


P. Lorenzo Sales (1889-1972) fu uno dei Missionari della Consolata che conobbe più intimamente il pensiero del Fondatore. Entrato nell’Istituto nel 1907, solo 6 anni dopo la fondazione, ebbe la fortuna di respirare l’atmosfera fervorosa delle origini e di essere formato direttamente dall’Allamano, al quale fu sempre legato da sincero affetto e profonda stima. Generoso apostolo nelle missioni del Kenya dal 1914 al 1920, viste le sue doti di brillante scrittore e di facondo oratore, fu richiamato in patria per collaborare alla redazione della rivista “La Consolata” e per l’animazione missionaria. In vista di pubblicare un articolo in occasione del 50° di sacerdozio dell’Allamano, ebbe con lui diversi incontri. L’Allamano, nonostante la sua riservatezza, si lasciò intervistare da questo suo figlio, del quale si fidava. Il contenuto di quelle interviste è una fonte fresca di notizie e soprattutto di spirito. Nel 1936, 10 anni dopo la morte dell’Allamano, P. Sales ne pubblicò la prima biografia, che rimane ancora oggi un’opera di ineguagliabile fascino.

Nel 1948, P. Sales si ritirò come cappellano nella casa delle Missionarie della Consolata a San Mauro Torinese. Durante quegli anni, oltre alle sue molteplici attività apostoliche, divenne maestro di spirito delle missionarie, intrattenendole, con appropriate conferenze, sullo spirito del Fondatore. Anche quelle conferenze di P. Sales, stenografate da Sr. Franca Paola Palieri, Missionaria della Consolata, sono una miniera molto ricca dello spirito del Fondatore.

La stessa Sr. Franca Paola offre questa testimonianza riguardo P. Sales: «Qualunque fosse l’argomento che trattava, non si staccava mai da ciò che aveva visto e udito nell’insegnamento dell’Allamano. A me pare che sia stato letteralmente affascinato dalla sua dottrina e santità. Anche durante la vita, fu come la sua ombra. Per la sua attività aveva modo di avvicinarlo ogni giorno. Sovente lo interrogava e chiedeva spiegazioni e non poche volte l’Allamano si confidava. P. Sales fu come il suo beniamino e questa vicinanza spirituale con l’Allamano gli fu provvidenziale. Anche dopo la sua morte, non poteva non parlare del suo padre e maestro amato».

Senza fare correzioni e conservando le espressioni come sono state colte dalla viva voce, pubblichiamo, in ordine cronologico, alcuni stralci delle conferenze alle missionarie, tenute a S. Mauro e altrove, dove P. Sales parla dell’Allamano. Confidiamo di far risaltare almeno qualche tratto interessante e curioso del ricco profilo spirituale del nostro Fondatore, come emerge da una fonte finora inedita e sicuramente genuina.

 

 

13 agosto 1967: «Mio fratello Giuseppino (…) era al sanatorio e gli avevano già asportato un polmone e gli avevano tolto anche delle costole, ed era in fin di vita. Gli avevo già preso l’ambulanza della Croce Rossa, perché la mamma lo voleva a casa, vivo o morto. Mi venne un’ispirazione; gli dissi: “Guarda, cominciamo ancora una novena all’Allamano”. E il giorno dopo stava bene e poi per 25 anni ha fatto il professore.

(…) Ricordate sempre la risposta del Can. Allamano a quel sacerdote convittore. L’Allamano gli aveva fatto osservare che accarezzava troppo i fanciulli che erano in sacrestia. E lui: “Anche Gesù li accarezzava”. “Ma tu non sei Gesù!”. È una risposta profonda, sapete.”Ma tu non sei Gesù!”».

 

10 ottobre 1968: «Vi dirò due parole alla buona. Ho scelto cinque punti, perché mi pare che racchiudano meglio lo spirito del Fondatore.

Il primo è la santificazione dei Membri dell’Istituto. Mi si domanda: ma l’ha proprio detto il Fondatore? “Prima santi e poi missionari”: cento e cento volte, cento e cento volte, di continuo. E non solo. Notate, diceva ancora: “Prima religiose e poi missionarie”. Non possiamo prescindere da questo. Mi direte: ma non sbagliava? (…) È come dei due comandamenti che formano la Legge: l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Il primo dei due, il massimo: l’amore di Dio. Il secondo, simile al primo, ma secondo, l’amore del prossimo. Ecco che qui non si sbagliava il Fondatore.

Il secondo punto, che è una conseguenza del primo, fondamentale nello spirito del Fondatore, è la preghiera. Preghiera. Intendetela come volete (…). Concretizziamo tutto in una parola: vita interiore. (…) E non sto qui, perché non è il caso, a far passare gli esempi del Fondatore. Ne avete dei capitoli interi nella “vita”. Ma quando penso che fin da chierico (mi stupisco sempre quando ci penso), fin da chierico proponeva di accostare ogni boccone di cibo al costato di Gesù…dico: povero me! Io ho ottant’anni, ottanta, e non sono ancora giunto al punto che il Can. Allamano raggiunse da chierico di vita interiore, di vita unitiva, di vita soprannaturale (…). Era un uomo di preghiera, vera anima di vita interiore, quindi vero sacerdote, sì, e vero apostolo. È qui, non andatelo a cercare altrove, è qui il segreto di tutte le sue opere, di tutti i suoi successi, nonché la spiegazione della sua santità (…).

Il terzo punto è questo: la questione del materiale non deve mai prevalere sulla questione morale del buon nome dell’Istituto, e soprattutto sulla questione spirituale. (…) E per venire al nostro Padre, ricordate la rinuncia all’eredità dell’Abate Robilant; perché non si potesse dire che l’aveva assistito durante la malattia per lucro: ha rinunciato all’eredità. Diceva: l’Istituto ha più bisogno del buon nome che del denaro. (…) L’assillo della sua anima, il tormento quasi della sua anima: lo spirito. Comunicare a noi il suo spirito; che il suo spirito fosse il nostro spirito, che lo assorbissimo, lo vivessimo…(…).

Il quarto punto riguarda il concetto che il nostro Fondatore si è sempre fatto sull’autorità. (…) Il nostro Padre lo aveva assimilato bene. E veramente il faro che illuminò tutti i suoi passi, tutte le sue opere, fu la Volontà di Dio, nella sottomissione ai legittimi superiori. (…) E ricordate anche questo: l’ultima lettera circolare, il nostro Fondatore la scrisse in occasione del Giubileo d’oro della sua Messa e in quella lettera breve, non dubita, con un piede nella fossa, come si dice, non dubita di affermare: non temo di propormi a voi come modello di obbedienza. Ecco il Fondatore, ecco lo spirito del Fondatore. Ricordate tutto questo, se volete essere vere figlie dell’Allamano e apostole (…).

Il quinto ed ultimo punto, collegato a questo, è la totale dedizione dei Membri dell’Istituto alla causa della Chiesa. Quando il Padre, nei suoi viaggi a Roma, metteva il capo sotto il piede sporgente della statua di S. Pietro nella basilica, non era mica solo un atto di umiltà suo personale o di pietà sua personale; oh, ce lo diceva: era tutto l’Istituto, vostro e nostro, erano tutti i membri dei due Istituti, presenti e futuri, che egli intendeva rappresentare. (…) Una fede integra, senza sottintesi, senza riserve, senza quei “ma” e quei “chissà”. Il Can. Allamano diceva: “Anime piene di chissà, ma vuote di pietà”».

 

 

25 maggio 1969: «Il nostro Fondatore non ha mai voluto che lo si chiamasse “fondatore”; non soltanto a voce, ma anche per lettera, quando facevamo gli auguri a S. Giuseppe, al compleanno…Mai…e neppure superiore. E lo chiamavamo “signor Rettore”. Era Rettore della Consolata e del Convitto, e tutti gli altri lo chiamavano “Rettore” Ma quando lo chiamavamo “fondatore” lo vedevamo subito oscurarsi in volto». (N.B.: l’Allamano diceva: «La vera Fondatrice è la Consolata»).

(…) Quando entrava nell’Istituto, specialmente il vostro, l’Allamano diceva: “C’è la carità nella vostra casa? Se c’è la carità c’è tutto!”».

 

 

2 agosto 1970: «Il nostro Fondatore, presentando le Costituzioni corrette, ci diceva che ogni parola era stata studiata ai piedi del Tabernacolo e che quindi ogni regola, nel suo insieme, poteva ritenersi come ispirata. E come non trascurò nessun mezzo di preghiera, così non trascurò nessun altro mezzo per conoscere la Volontà di Dio. Fra i mezzi umani, quello di essere ricorso, oltre ad alcuni Superiori Generali, anche alle loro Costituzioni.

Un giorno andavo a trovare il Can. Allamano (andavo sovente), e aveva sul tavolo un mucchio di librettini. “Sai che cosa sono?”, mi dice. “Sono le Regole di tutti gli Istituti che ho potuto avere” Chiese anche di poter vedere le Costituzioni dei Gesuiti, e il Padre Gesuita rispose: “No, Canonico, non possiamo dare le Costituzioni”. “Ma io me ne servo con prudenza…”. “Mi rincresce, Canonico, non posso dargliele”. E mentre aveva le Costituzioni, le spingeva verso il Canonico Allamano e continuava a dire: “Vede, non posso…”. Il Padre concluse: “Ah! Ho capito, non possono darmele, ma io posso prenderle!”».

 

15 novembre 1970: «Quando eravamo chierici, tutte le settimane facevamo la passeggiata a Rivoli, e giunti alla villa ci mettevamo seduti sulle panche a semicerchio intorno al Can. Allamano che ci intratteneva con pensieri spirituali. Era ricchissimo di pensieri. Quella volta, c’era anche la signora Rosanna, benefattrice dell’Istituto, e il Padre la fece sedere accanto a lui, e noi chierici tutti insieme. Questa signora aveva un bambino come quelli della vostra scuola materna, e il Can. Allamano gli dice: “Senti, fammi un po’ passare tutti e indicami quello che salverà più anime”. E il bambino guarda fisso il primo e tira diritto; ne guarda un altro, scuote la testina e tira diritto. E così facendo ne passa diversi. Poi si ferma davanti a me, mi guarda, e puntando il ditino dice: “Questo!”. È una stupidaggine; lui era un bambino, cosa poteva capire di queste cose! Ma qualche volta ci penso: non posso più fare apostolato e sono alla fine dei miei giorni, perciò mi dico: fatti furbo, ama…».

 

7 febbraio 1971: «Quando l’Allamano percorreva via S. Chiara e poi entrava in Duomo, salutava la Madonna e si domandava: “La Madonna sarà contenta di me, quando mi porteranno morto?”. E quando andava fuori, ad ogni campanile, recitava la preghiera al Santissimo Sacramento: “O Sacrum convivium…”. E quando disse al Canonico Camisassa che piuttosto di consentire ad un pensiero di vana gloria, il Signore bruciasse tutto…E con questa vita interiore quanta pace nel suo spirito! E come sapeva comunicare questa pace, questa gioia! Si usciva trasformati dai suoi colloqui. Fisicamente era quel che era, ma aveva un alone soprannaturale…Si stava così bene vicini a Lui. Ci si sentiva bene. Come S. Paolo che disse “Portate Dio nel vostro corpo”, così Lui lo portava».

 

5 settembre 1971: «Si prega nel nostro Istituto? Il nostro Fondatore (lo sapete e sta scritto) aveva fatto il conto di tutti i minuti che nell’Istituto erano impiegati nella preghiera, contando anche la meditazione; e aveva trovato tre ore di preghiera. Era contento. Ce lo disse in una conferenza: “Quest’oggi ho fatto il calcolo, ed è risultato che ci sono tre ore di preghiera. Sono contento!”».

 

14 novembre 1971: parlando della Sessione generale del Sinodo dei Vescovi sui temi “sacerdote e giustizia”, che raccomandava di non riammettere coloro che avevano abbandonato lo stato sacerdotale per ritornare a quello laicale, P. Sales fece questo commento: «Perché il Can. Allamano era così inflessibile a riaccettare uno chi fosse uscito dall’Istituto? Lo diceva prima: “Pensaci bene, perché se metti il piede fuori dell’Istituto, non ve lo rimetterai più dentro”. Mi ricordo che ero già tornato dall’Africa e, in una conferenza, raccontava che erano usciti due. Ma uno specialmente era sacerdote. C’è venuto il papà e anche l’interessato (che era uscito), alla Consolata, nella camera dell’Allamano. Il papà si è inginocchiato, e con lacrime a pregarlo, a pregarlo, a supplicarlo di riaccettare il figlio. Disse il Can. Allamano: “Internamente soffrivo un martirio, però ho dovuto dirgli no, per non creare un principio. Non è una finestra, qui è una porta che si apre e allora non hanno più quell’idea della vocazione come deve essere, se possono lasciarla e prenderla quando vogliono”».

giuseppeallamano.consolata.org