GIUSEPPE ALLAMANO E GIUSEPPE GALLEA

«QUEL TESTARDO LÌ NON CAMBIA PIÙ»SGallea

 

Le parole del titolo sono della mamma di P. Giuseppe Gallea (1891 – 1979), rivolte all’Allamano come sfogo e rassegnazione, quando lo ha accompagnato all’Istituto. E spiegano bene il carattere di questo missionario, deciso e tenace, che è stato sinceramente affezionato al Fondatore, al quale ha saputo offrire una generosa collaborazione.

Ecco l’identikit di P. Gallea tracciato dal P. Merlo Pich, uno dei nostri primi missionari che lo ha conosciuto bene: «Il concetto che il Padre Gallea ha lasciato di sé in coloro che lo hanno conosciuto più a lungo è proprio quello del servo buono, dell’amministratore evangelico dei talenti affidatigli da Dio, con una vita lunga integra e operosa […], sulla via tracciata dal nostro Padre Fondatore il Servo di Dio Giuseppe Allamano. Il P. Fondatore e i suoi successori gli affidarono importanti incarichi e gravi responsabilità nell’Istituto Missioni Consolata […]: la fedeltà e la capacità con le quali disimpegnò quei compiti ben gli meritano di essere considerato uno dei membri più benemeriti, una colonna portante del nostro Istituto» (Qui Nos Praecesserunt, Brevi profili di missionari, XIII,33).

 

 

PRIMO INCONTRO

 

Ecco come il P. Gallea racconta il primo incontro con il Fondatore: «Nell’anno scolastico 1910, avevo fatto domanda per l’accettazione nell’Istituto. La domanda, inviata tramite il Rettore del seminario di Chieri, era stata accolta e stabilito il giorno 6 agosto per l’ingresso. La mamma, messa al corrente di tutto ciò, non voleva saperne a nessun costo, e, visto di non potermi smuovere, tentò l’ultimo mezzo. Il giorno stabilito per presentarmi al can. Allamano volle accompagnarmi. Fummo introdotti in uno dei parlatori del Convitto Ecclesiastico, e dopo qualche minuto d’attesa, ecco apparire tutto sorridente il canonico Allamano. C’invitò a sedere e incominciò la conversazione. Non parlai gran che quel giorno; parlava la mamma che incominciò a dare sfogo a tutto quanto aveva nel cuore, e a portare tutti quegli argomenti che si era preparata per la circostanza. Il can. Allamano lasciava dire, poi con poche buone parole rispondeva in modo che la mamma doveva ricorrere ad altri argomenti […]. Verso la fine della conversazione, la mamma, vista l’insussistenza dei suoi argomenti, si rivolse a me stizzita: “Ma allora, se questa era la tua intenzione, potevi dirlo prima, e non adesso che abbiamo fatto dei debiti”. Abbassai il viso arrossendo. Il Canonico intervenne subito: “avete fatto dei debiti? E quanto?”. Mi pare rimanessero 150 lire di pensione da pagare al seminario. “Ci penserò io”, dichiarò l’Allamano. La mamma non sapeva più che dire e cominciarono a piovere le lacrime. Allora il Canonico, per consolarla: “Là, si faccia coraggio, vedrà che si troverà contenta. D’altra parte, il figlio deve ancora sperimentare la vita ed è sempre libero di tornare in famiglia. “Ah - interruppe la mamma – quel testardo lì!? Non cambia più, non cambia più! A quell’uscita l’Allamano rise di cuore, poi dopo altre buone parole, le concesse di darmi solo quel tanto di corredo di cui poteva disporre. Giunti a casa, mio padre l’interrogò sull’esito del suo tentativo. Ed essa: “Che vuoi? Rispondeva in modo che non si poteva più dire niente. Tra gli altri sacerdoti e quello lì c’è una differenza grande”» (secondo il racconto di L:SALES, Guseppe Allamano…, pp. 240 – 241.

 

Il P. Merlo Pich così commenta questo episodio: «Quel testone non cambia più! – Da allora in poi, in 70 anni di vita Padre Gallea non cambiò più: non ebbe mai un momento di titubanza, […] mai uno sguardo indietro da quando pose mano all’aratro […]. Questa tenacia nelle sue idee, tuttavia, assieme ad un abituale fare serio e austero, costituì sempre per lui un argomento di esame di coscienza e di lotta con se stesso» (ID. o.c., 36).

 

 

COLLABORATORE FIDATO

 

L’Allamano ha visto in quel ragazzo la stoffa di un missionario che stava crescendo secondo il suo spirito. Ecco perché lo ha ben presto valorizzato come aiutante nella formazione degli allievi e soprattutto nell’amministrazione economica. Dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1915, il P. Gallea si è visto promosso economo della casa madre. Dal 1917 al 1921, è stato nominato direttore del piccolo seminario e, dopo la morte del P. U. Costa (gennaio 1918), fino al rimpatrio del P. T. Gays (ottobre 1919), ha pure ricevuto l’incarico di prefetto (superiore) della casa madre.

 

L’Allamano ha tenuto una buona corrispondenza con P. Gallea, dalla quale appare la loro intesa e l’ottimo livello di collaborazione, nonostante la differenza di età. Come esempio di ciò, ecco qualche frase spulciata dalle lettere del Fondatore: «Prima di partire da Torino ebbi un dolore che ti espongo» (2 luglio 1919); «Viene il giovane Sperta (che poi fu un ottimo missionario) con la madre, piange, domanda perdono, promette…Abbiamo ancora da provare? La Consolata m’ispira di fare ancora una prova…ultima. Riaccettalo» (30 settembre 1919); «Qui non manca il lavoro e la continua sollecitudine, specialmente perché non ho gente pratica con me. Ma Dio mi aiuta e ho ancora forza da bastare a tutto. Deo gratias! Dì ai giovani che li benedico, che siano di buon spirito, e che li aspetto» (5 luglio 1921); «Ti ringrazio delle buone notizie dei nostri cari quanto agli studi e alla disciplina. Nulla mi sta tanto a cuore quanto che Dio sia contento dell’Istituto, che deve essere un semenzaio di perfezione e di apostoli […]. Coraggio a tutti» (3 luglio 1922).

 

C’è una magnifica lettera che l’Allamano scrive a P. Gallea, il 10 luglio 1919, dal santuario di S. Ignazio, mentre dirige un corso di esercizi spirituali. Dalle sue parole emerge quanto il Fondatore si confidasse con questo figlio cui aveva affidato il compito di dirigere a nome suo la comunità della casa madre: «Ho ricevuto la tua lettera, e mi consola il buon spirito dei sacerdoti, dei chierici, dei coadiutori e dei cari giovani. Su questo S. Monte durante i S. Esercizi si sente il bisogno di formarsi santi sacerdoti e veri missionari. Questa è la mia continua preghiera ai piedi di S. Ignazio. A questo unico fine siete entrati in cotesta casa; a ciò costì devono gli sforzi comuni ed individuali essere unicamente diretti: le intenzioni, i lavori e gli studi. Guai a chi si lascia prendere dalla tiepidezza, o scoraggiare per certe miseriette proprie, o dei compagni, inevitabili alla natura umana. Per corrispondere alla santa vocazione vi ripeterò sempre che ci vuole energia in noi e sopra di noi; la grazia di Dio farà il resto ed il più. Coraggio. […] Dirai a tutti che stiano allegri in Domino, e che amino tanto N. S. Gesù Cristo e la cara Madre Maria SS. Vi benedico» (Lett., VIII, 408 – 409).

 

Durante il primo Capitolo generale del 1922, quello che ha confermato l’Allamano, ormai anziano e nonostante che desiderasse farsi da parte, come Superiore Generale, il P. Gallea è stato nominato economo generale, carica che esercitò fino al 1939. Ultima e molto significativa espressione di fiducia è il fatto che l’Allamano, nel testamento, ha designato il P. Gallea suo erede per l’Istituto, assieme al can. G. Cappella per il santuario della Consolata.

 

 

TESTIMONE TENACE

 

P. Gallea ha sentito il bisogno di impegnarsi con tenacia perché la figura dell’Allamano fosse tramandata in tutto il suo valore, senza alterazioni. Vissuto a fianco del Fondatore per ben 15 anni, nel 1948 fu chiamato a deporre al processo informativo diocesano. Durante 39 sedute, P. Gallea ha reso una corposa e dettagliata testimonianza, rispondendo al questionario del tribunale, arricchendolo di tanti particolari di cui era testimone diretto.

 

Non contento di ciò, P. Gallea ha valorizzato i tempi liberi delle sue giornate, fino si può dire agli ultimi anni della sua dinamica vita, per scrivere sul Fondatore. Il suo obiettivo, da come si esprime, appare evidente: vuole dare una garanzia alla conoscenza del Fondatore ed della storia dell’Istituto, con il peso delle sua qualifica di testimone diretto. A questo riguardo meritano di essere notificate, in particolare, due poderose opere. La prima consiste in 8 volumi dattiloscritti, formato protocollo, intitolata «Ricostruzione delle Conferenze spirituali del Servo di Dio Giuseppe Allamano», portata a termine con la collaborazione di P. A. Cecchin. P. Gallea ci tiene definire questa raccolta delle conferenze domenicali dell’Allamano: «Edizione sicura», precisazione che indica bene il suo intendimento.

 

La seconda opera monumentale porta il titolo «Istituto Missioni Consolata, Fondazione e Primi Sviluppi», promanoscritto in 3 volumi, di 1750 pagine complessive, Torino 1973 – 1974. È una storia dell’Istituto dal 1880 al 1939. Non sono infondati i dubbi sul valore scientifico e oggettivo di certe parti di questa fatica, perché P. Gallea, pur avvalendosi di un archivio proprio di 971 documenti, in molti punti scrive come testimone e, talvolta, anche come protagonista (cf. l’articolo di P. Merlo Pich, p. 40, che si riferisce al volume “Nell’occhio del ciclone; Lett., V, 709, n. 19). Tuttavia, anche qui emerge l’amore del Gallea per il Fondatore e l’Istituto, come pure il suo carattere tenace che vuole dire una verità, di cui pensa di essere testimone autentico. Quel famoso “testardo” presentato dalla mamma al Fondatore, è rimasto tale sino alla fine, ma quanto caro anche per questo!

 

Si può concludere con alcuni stralci della sua testimonianza rilasciata durante il processo di beatificazione, nei quali si vede bene il concetto che P. Gallea si era fatto del Padre Fondatore: «Posso asserire che nei dodici anni e più che ebbi cariche sotto la sua direzione non sono solo centinaia, ma migliaia di casi di ogni genere che presentai a lui per una soluzione. Ed egli li sciolse tutti solo da un punto di vista: i dettami della fede e la gloria di Dio. Nei casi più rilevanti mi diceva: “Va a casa, preghiamo, e poi vedremo quello che ispirerà il Signore”. Non una volta che mi abbia suggerito di ricorrere a quegli espedienti che suggerisce la prudenza del mondo […] (Processus Informativus, III, 74 – 75).

 

Avendo esercitato per dieci anni sotto di lui incarichi amministrativi, mi trovai forse più di altri nelle circostanze di constatare giorno per giorno il grado della sua fiducia nella Divina Provvidenza, e contemporaneamente come questa compensava la fiducia del suo Servo […].

 

Quello che è poi ammirabile, è che i fondi gli affluirono sempre nella misura che gli occorrevano […] Ci raccontò in diverse occasioni fatti commoventi che avvicinano la storia dell’Istituto delle Missioni della Consolata a quella del Cottolengo e di S. Giovanni Bosco.

 

Ne riferisco alcuni di cui fui testimone oculare. Alla fine di ogni mese mi presentavo al Can. Camisassa, con l’elenco delle fatture da pagare. Egli le esaminava, e poi mi accompagnava dal Servo di Dio, per prelevare la somma. Una di queste volte, il Can. Allamano era quasi completamente sprovvisto di denari. Mi esortò a pregare, a confidare nella Provvidenza, e mi rimandò dicendomi che mi avrebbe poi fatto chiamare. Il giorno dopo una telefonata mi chiamava già alla Consolata. Il Servo di Dio, mentre si recava in Duomo, si era incontrato con una persona di servizio, che gli aveva consegnato tutti i suoi averi, perché ne disponesse per i bisogni dell’Istituto. Era la somma quasi esatta che occorreva per il saldo della distinta presentata […].

 

Un’altra volta, aveva quasi nulla in cassa. Era passato poco prima di me l’economo del Convitto, ed aveva prelevato non solo quanto egli teneva in cassa, ma aveva dovuto far eseguire con anticipo il prelievo delle bussole (per le offerte) del Santuario per avere a sufficienza con che soddisfare alla sua richiesta: Mi invitò ad andare con lui nel coretto del Santuario della Consolata. Prima che tornassi a casa, mi fece chiamare per consegnarmi la somma di cui abbisognavo; avendola ricevuta in quel frattempo […].

 

Una terza volta abbisognavo per il giorno dopo di trentamila lire per pagare il molo marittimo per i missionari che partivano per il Kaffa. In cassa non vi erano che duemila lire. Dieci minuti dopo si presentava agli uffici della Consolata una benefattrice che consegnava trentamila lire» (Processus Informativus, III, 112 – 113).

 

Fin dal primo incontro mi impressionò il fatto (che non si smentì mai in seguito) che i suoi ragionamenti partivano da principi che non erano dettati da prudenza umana. Viveva in un’altra sfera: quella della Fede» (Processus Informativus, III, 74).

 

 

 

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