P. GIOVANNI CHIOMIO E L'ALLAMANO
P. Giovanni Chiomio (1889-1979), Missionario della Consolata dei primi tempi, originario di Garzigliana (Torino), fu accolto nell'Istituto dallo stesso Fondatore nel 1906 già studente di filosofia. Venne ordinato sacerdote nel 1912. Durante la prima guerra mondiale fu arruolato come cappellano militare.
Nella conferenza del 25 agosto 1916, quando le partenze per il servizio militare si moltiplicavano, l'Allamano disse ai giovani: «Ieri sera non avete più visto il vostro assistente don Chiomio. Eh... Vedete, è partito per dove non sappiamo ... ieri sera mi ha subito mandato una cartolina e stamattina un'altra cartolina in cui mi dice che spera di poter dir Messa al Duomo, in Novara. Ma... bisogna che preghiate in particolare... vedete, in generale pregate già per tutti, tutti i giorni, quando dite il “Veni Creator” e le “Ave Maria”, ma in particolare bisogna che preghiamo per lui, per don Chiomio per debito di riconoscenza, perché è stato vostro assistente, affinchè il Signore lo benedica, lo assista, ritorni presto con tutti gli altri, che ... se continua di questo passo, ma..., andiamo diminuendo sempre più!».
Appena congedato, il p. Chiomio partì per l'Africa, dove ebbe l'incarico di compiere parecchi viaggi esplorativi in Kenya, Etiopia e Mozambico. Rimpatriato, fu eletto consigliere generale. In seguito prestò vari servizi pastorali in diverse nostre comunità in Italia.
Negli ultimi anni di vita si stabilì ad Alpignano (Torino) dove curò carte geografiche aggiornate dei territori di misione e ordinò gli scritti del Fondatore. Meritò molteplici onorificenze dalla Santa Sede, dallo Stato italiano e da Società geografiche per il suo lavoro missionario e per la sua attività cartografica.
Fu definito: «Discepolo appassionato del Fondatore e rappresentante fedele della tradizione dell'Istituto». Sua opera benemerita fu appunto la trascrizione dei manoscritti delle conferenze domenicali dell'Allamano, compiuta nel 1938 direttamente dagli originali autografi. Questo suo lavoro fu poi controllato con scrupolo da altri confratelli, che ne garantirono l’autenticità. Nella prefazione il p. Chiomio, dopo avere esposto i criteri seguiti nella trascrizione, precisò: “Lo scopo volle essere un filiale omaggio al “Padre” della nostra piccola opera, intrapresa e condotta a termine con lo scopo preciso di concorrere a preservare dalla incuria del tempo e dagli altri pericoli, quali incendi, ecc. questo insostituibile Tesoro che racchiude gli insegnamenti della grazia-della-Fondazione “ne pereant scripta Patris” [perché non vadano perduti gli scritti del Padre]».
Qualcuno disse di P. G. Chiomio che era un «missionario della fedeltà e della precisione». Non c'è dubbio che fosse così. A questo riguardo, c'è un aspetto curioso che gli fa onore, anche se qualcuno vi ha scherzato sopra. Quando incontrava un giovane qualsiasi dell'Istituto, quasi sempre p. Chiomio iniziava lui la conversazione con parole come queste: «Il giorno tale e tale - e precisava le date senza sbagliarsi - il Padre ci diceva...» e poi riportava un pensiero del Fondatore. Sembrava che sapesse tutto a memoria. Pensandoci ora, viene il rammarico di non avere approfittato meglio di persone del genere, che davano una certa sicurezza, perché erano in grado di garantire il collegamento genuino e sicuro con la nostra origine.
Le numerose testimonianze sul Fondatore, che P. G. Chiomio ha pure rilasciato, sono molto dettagliate e, in genere, riguardano episodi particolari della vita dell'Allamano. Certe possono sembrare insisgnificanti perché riportano dettagli minuti e di poco conto. Tutte però contengono un messaggio collegato allo spirito del Fondatore. E tutte sono corredate da prove e documentazioni. Sentiamone qualcuna.
Due testimonianze del 17 gennaio 1944. P. G. Chiomio racconta come si svolse la prima volta la così detta “pratica del venerdì”, che consisteva in una breve celebrazione religiosa, durante la quale chi voleva si accusava e chiedeva perdono in pubblico di qualche mancanze esterne di disciplina, compiendo così un gesto di umiltà e un atto di rionciliazione fraterna: «Un anno scolastico, all'inaugurazione della serie di “pratica del venerdì”, […], ricordo che, essendo anch'io presente, il Padre salì sulla predella dell'altare dalla parte dell'ambone e, rivolgendosi a noi suoi figli missionari (sacerdoti, chierici e coadiutori, postulanti e professi), ci illustrò la “pratica dell'umiltà” con toccanti parole.
Poi, sceso in mezzo al presbiterio, si inginocchiò per primo a fare l'accusa pubblica dei suoi difetti, con meraviglia e grande edificazione di tutti».
Un'altra testimonianza di p. Chiomio, alla stessa data, riguarda “La vigilanza dell'Allamano sopra se stesso”: «Un giorno, in conversazione privata al santuario di S. Ignazio (Lanzo Torinese), ove era venuto a trattenersi qualche giorno con la sua famiglia missionaria, egli mi confidò paternamente questo fatto: ogni volta che da Torino veniva a S. Ignazio, salendo il sacro monte recitava il “Veni Creator” [Vieni Spirito Creatore] per ottenere dal Signore la grazia di non dare nessun cattivo esempio ai giovani, anche con semplici azioni involontarie.
Tutti i testimoni ricordano come il suo portamento fosse semplice e nobile ad un tempo, senza alcuna ricercatezza, modi che nella loro semplicità ci edificavano. Parlando in pubblico, talvolta tocccava questo punto, ed era mirabile per i consigli e le direttive sagge che instillava nei nostri cuori».
Testimonianza del 20 gennaio 1944. P. Chiomio riporta alcune parole dell'Allamano pronunciate il 19 marzo 1912, giorno del suo onomastico: «Il sig. Rettore, ricevuti gli auguri, dice: “Accetto di cuore i vostri auguri, e quanto alle cose che avete detto di me le metiamo ai piedi di S. Giuseppe: giudichi lui. Ma non dite mai più fondatore, questo è uno sproposito; Fondatrice è la Consolata”. Questo sentimento lo si sentì manifestare molte volte dalle sue labbra»
Testimonianza del 25 gennaio 1944. P. Chiomio fa memoria di un confratello: «Il p. Giuseppe Aimo-Boot, ricevuto dall'Allamano nell'Istituto nel 1907, partiva per il Kenya nel 1908, confortato dalla parola del Padre, e si fermava fino al 1924 quando divette rientrare in Italia perché eletto consigiere generale. Vi rimase per il resto della sua vita, che coronò la sera del 28 marzo 1939, all'età di 57 anni, con 30 di professione religiosa e 34 di sacerdozio.
Quella sera, verso le ore 19, gli venne portato in forma solenne il Sacramento degli infermi. Dopo aver ricevuto l'Eucaristia, emessa la professione perpetua nelle mani del superiore generale, rivolse parole di ringraziamento ai superiori e ai confratelli. Ricordando questa predizione del Fondatore: “Andrai in Africa, e poi ritornerai, e dopo 30 anni ti verrò a prendere”, prese commiato da tutti noi (stringendo la destra a tutti, pure a me) in perfetta lucidità di mente. Pochi istanti dopo, mentre suonava l'Angelus delle ore 8, spirava». I 30 anni si erano compiuti.
Testimonianza del 26 maggio 1944. P. Chiomio riporta quanto il Fondatore gli disse in un colloquio privato, il 26 marzo 1915: «Quando portò a Roma la prima volta i documenti del processo del Cafasso aveva già in mente la fondazione di un Istituto missionario. Si recò all'Istituto dei SS. Pietro e Paolo, che era missionario, per conferire con il superiore, il quale però non era presente. Vi era invece il P. Bonzano da poco tornato dalle missioni. L'Allamano gli espose il suo disegno di fondare un collegio apostolico a Torino per preparare giovani e poi trasmetterli a quell'Istituto di Roma, che li avrebbe inviati in missione. Il P. Bonzano lo dissuase e gli disse: “No, no! Faccia da sé. Vedrà che riuscirà”». Il p. Chiomio annota: «Ricordo ancora a memoria l'inciso: “Faccia da sé, formando i missionari come voi del clero piemontese sapete formarli”».
Poi la testimonianza riporta la notizia della visita che mons. Giovanni Bonzano fece all'Istituto il 30 marzo 1912: «Stamane alle ore 9 circa arrivò, accompagnato dal Sig. Rettore, mons. Bonzano (già misionario dell'Istituto dei SS. Pietro e Paolo di Roma in Cina, fino a poco tempo fa Rettore del Collegio di Propaganda Fide) eletto ultimamente Delegato Apostolico a Washington e consacrato vescovo».
Dopo avere raccontato l'accoglienza a mons. Bonzano, p. Chiomio continua: «Egli ci esortò ad approfittare della direzione del Sig. Rettore [Allamano], sia per dare i primi passi come per incamminarci alla più alta perfezione. Ci disse di ascoltarlo in tutto, perché verrà tempo che apprezzeremo poi la sua direzione, ma non avremo più tempo; ed aggiunse: “Io professo una profonda venerazione per il Sig. Canonico e se avessi da ricominciare mi metterei sotto la sua guida, tanto ne conosco le doti. Voi forse, e senza forse, le conoscete meglio di me».
Testimonianza del 18 ottobre 1945. P. Chiomio ripotra una breve notizia che ha trovato annotata nelle sue “Memorie e Ricordi” in data 26 maggio 1910: «[L'Allamano] ci diede la triste notizia della morte del papà del P. Cagliero testé ritornato dall'Africa in tempo a vederlo prima che morisse.
“Il Signore, disse l'Allamano, non è tenuto a conservare i parenti al missionario affinché possa assisterli in morte, ma lo può fare. [Al papà di p. Cagliero] io avevo mandato a dire che aspettasse suo figlio e che non morisse prima di vederlo: egli mi ascoltò e la domenica prima che arrivasse suo figlio andò ancora a Messa col bastone. Era già oltre gli ottant'anni. Ve lo raccomando alle preghiere: che continuiate a suffragare l'anima sua benedetta”».
Testimonianza del 14 aprile 1947. P. Chiomio inizia con quanto udito da p. Luigi Perlo, intitolando la testimonianza con un interrogativo: “Un caso di profezia fatta dall'Allamano?”: «Fra uno dei primi gruppi di suore del Cottolengo che, in partenza per l'Africa, erano venute a salutare l'Allamano, si svolse subito un'animata conversazione, che la bontà del Padre incoraggiava, sul futuro campo di missione. Preferito cavallo di battaglia del nostro Fondatore erano sempre i famosi 90 anni di lavoro che egli voleva per ogni missionario, e quindi anche per ogni suora missionaria. Diceva: “un missionario costa troppo”, e credo fosse proprio lui a saperlo bene!
Ma ecco che una delle partenti intervenne: “Oh, se il Signore mi concede di fare 10 anni di missione, io sono già contenta e non domando di più”. Il buon Padre di rimando, con quella finezza con non martificava mai alcuno: “Ebbene sì, ti prendo in parola”. E poi, quasi improvvisamente ispirato: “Facciamo pure 10 anni, ma per tutte quante; quindi tu ne dovrai fare 20: dieci per te e diceci per sr. Giordana”, che era una delle prime Suore del Cottolengo morta appena giunta in Africa».
P. Chiomio aggiunge il risultato di una sua ricerca anagrafica, dalla quale risulta «una media di 10 anni di missione per le suore del Cottolengo; unica eccezzione sr. Opportuna, la nostra protagonista, tra parentesi ottima e instancabile suora, che lasciò l'Africa solamente coll'ultimo rimpatrio, appena poco più di un mese dopo avere compiuto i suoi 20 anni di missione che il nostro Padre le aveva accordato. Casi che capitano ai santi...».