P. G. PIOVANO COSÌ RICORDA L'ALLAMANO

PiovanoP. Giovanni Piovano (1902 – 1984), nato a Cambiano (Torino), fu accolto nell’Istituto dal Fondatore nel 1919. Ordinato sacerdote nel 1925, svolse tante attività nelle comunità in Italia. Fu Consigliere Generale ancora molto giovane. Fu anche Segretario Generale, compito che svolse per circa 40 anni, fino al 1969. Uomo della memoria ferrea e dal cuore grande. Esperto cultore di scienze naturali, soprattutto di botanica, e di studi ecclesiastici, in particolare di Diritto Canonico, di cui fu docente nel seminario teologico dell’Istituto. Fu collaboratore di molte riviste scientifiche. Ricevette diversi incarichi e onorificenze da parte di Società, Associazioni e Commissioni italiane e internazionali. Testimoniò il Vangelo con la cultura e con la bontà del cuore sparsa a piene mani. Lasciò una lunga serie di vivaci ricordi sul Fondatore. Tra di essi, ne presentiamo alcuni, scelti tra quelli più curiosi o che presentano momenti semplici e belli della vita del Fondatore.

 

Riconoscente e commosso. «Un anno, nell’anniversario della sua nascita, parlando di essa, il Padre Fondatore, dopo avere reso grazie a Dio, ci disse tante cose soavi sulla nostra filiazione divina, ed era commosso. Mi colpirono queste parole che riferiva a se stesso: “Iddio da tutta l’eternità pensò a me con amore”. Nel pronunciare queste parole si sentiva che la commozione più tenera e filiale aveva fatto presa sul suo cuore pieno di riconoscenza per Dio» (Testimonianza del 19: XI. 1943).

 

Cuore paterno. «Ricordo che quando partirono per le Missioni i Padri Maletto, Calandri e Alberatone, questi, a nome dei confratelli parlò a noi, radunati attorno al Padre, che avevamo letto alcuni indirizzi di augurio per il loro apostolato. Si era appena terminata la funzione della partenza con la consegna dei Crocifissi.

 

Il Padre Alberatone disse che era contentissimo di partire, ma che gli rincresceva di lasciare due cose a Torino: la venerata effigie della SS. Vergine, nel Santuario, e il venerato Padre, che, data la inoltrata età, egli non avrebbe più rivisto su questa terra. Gli accenti di P. Alberatone toccarono talmente il cuore del Padre, che piegando il capo, si faceva violenza per non lasciar scorgere il suo stato d’animo; ma non poté impedire che alcune lacrime gli uscissero dagli occhi, cadendogli sulla mantellina» (Testimonianza del 19. XI. 1943).

 

 

Pregare per tutti. «Il Padre Fondatore pregava non solo per quelli per i quali doveva pregare, che si raccomandavano alle sue preghiere. Pregava, e quanto, per quelli che non pregavano, e che vivevano lontani dal Signore. Credo che per lui la preghiera fosse un bisogno dell’anima: era un uomo di preghiera, in tutto il senso della parola. Si sollevava a Dio e sollevava a Dio. Egli insitllava questo suo spirito nei figli, e voleva che si pregasse per tutti, non limitandoci a questo o a quello: “pregate per il prossimo – ci ripeteva – non pensate che vada sprecata la preghiera che fate per il prossimo”» (Testimonianza del 10. XI. 1943).

 

Legare le mani a Dio. Per avvalorare la confidenza che il Padre aveva nella preghiera, attesto che era sua questa frase: “Chi sa pregare bene lega le mani a Dio”. Questa frase, anche se l’avesse desunta da qualche pio autore, la faceva sua dal modo con cui la pronunciava, facendoci capire che egli se ne serviva» (Testimonianza del 19. XI. 1943).

 

Nessun rimorso. «Parole del Fondatore: “Dopo 50 anni di Messa, sono contento. Ho nessun rimorso (regret) d’averla etta male, e questo non lo dico per superbia, perché questa sarebbe santa superbia. Le cerimonie lo ha sempre compiute bene, e se per caso me ne sfuggisse una, me ne accorgerei. E questo mi conosla. Ho tante miserie, ma la Messa ho sempre certato di dirla bene. Prima impiegavo 27 minuti, ora ne impiego 20-30, e nella genuflessione voglio andare fino a terra, proprio come faceva S. Alfonso. La prima genuflessione mi costa, perché sento che le gambe sono dure, poi le altre mi riescono più facilmente”» (Testimonianza del 23. XI. 1943).

 

 

Paternità spirituale. Al Padre Fondatore piaceva tanto quello che si legge in Giobbe, quando pregava per la sua famiglia e per essa faceva i suoi sacrifici a Dio e per essa espiava. Questo, secondo lui, era il programma di un responsabile: dal mattino alla sera pregare e supplicare il Signore per i suoi figli, e domandare ogni sera perdono per essi, caso mai l’avessero offeso, per ristabilire subito la pace nella famiglia. Questa era la sua ultima preghiera per i suoi figli e per le sue figlie, e che chiudeva col mandare loro la sua benedizione» (Testimonianza del 23. XI. 1943: in Arch. Post.).

 

 

Sacra Scrittura. Un giorno il Padre mi diceva che sentendo leggere i viaggi di Livingstone era stato colpito dal fatto che egli ogni giorno leggeva e meditava la Sacra Scrittura, e mai ne aveva trascurata la lettura durante i suoi lunghissimi viaggi. Se quel missionario protestante trovava la sua consolazione nel leggere la Sacra Scrittura, che cosa non dobbiamo fare noi che abbiamo questi libri proprio per nostra edificazione e per nostra consolazione?» (Testimonianza del 25. XI. 1943).

 

Regali importanti. «Ricordo che il Padre aveva regalato un Breviario al sacerdote Domenico Ponzo, e da questi seppi che ne aveva regalato altri a diversi sacerdoti. Ricordo pure che distribuiva ai seminaristi e ai sacerdoti non poche copie dell’Imitazione di Cristo; però non distribuì mai ad alcuno la copia che aveva da seminarista, copia che ancora possedeva nel 1924 e che teneva a portata di mano sul suo tavolino. Il Padre aveva fatto un compendio dell’Imitazione di Cristo durante il tempo in cui era addetto alla direzione del seminario, mettendovi quanto maggiormente lo interessava. Egli se ne serviva ogni giorno, come ci diceva, e nell’inverno del 1923 lo aveva presso di sé nel Santuario della Consolata, e lo teneva ancora» (Testimonianza del 25. XI. 1943).

 

Fortezza d’animo. «Il dono della fortezza mi pare che fosse ben radicato nell’anima del Padre Fondatore. Il pensiero della morte gli era sempre presente, e non lo spaventava. […]. Il Padre considerava la morte non tanto come “stipendio del peccato”, ma come un mezzo a sua disposizione per poter pagare la ribellione del peccato per sé e per gli altri, come il mezzo che gli avrebbe spalancato il Paradiso, ponendolo faccia a faccia con Dio, che quaggiù contemplava per mezzo della fede. Egli non aveva paura di morire improvvisamente, anzi viveva in modo tale da dimostrare che il Signore era padrone assoluto di presentarsi quando meglio gradiva. Difatti un giorno nel 1923, quando andammo a visitarlo alla Consolata, ed egli non si trovava bene in salute, ci disse testualmente: “Se la morte mi cogliesse all’improvviso, spero di risvegliarmi in un posto migliore”» (Testimonianza del 10. XI. 1943).

 

 

Una delicatezza. «Nell’agosto del 1919, entrato da pochi giorni nell’Istituto, mi trovavo al Santuario di S. Ignazio per il periodo di ferie estive. Il Padre era venuto pr festeggiare con noi la solennità dell’Assunzione di Maria SS. E rimase una decina di giorni. Vedevo che ogni giorno riceveva qualcuno, e una volta mi recai pure io a trovarlo. Era verso sera ed egli si preparava per il passeggio. Mi accolse benevolmente, s’informò della mia vita e delle cose mie; […]. Mi diede pure alcuni consigli.

 

Egli se ne stava in piedi, accanto al tavolino, su cui si trovavano una trentina di volumi degli esercizi spirituali del Beato Cafasso, che egli aveva fatto radunare colà , perché l’edizione era esaurita. Teneva tra le mani un bastoncino comune, intagliato nella corteccia con arte montanara. Visto che tenevo gli occhi fissi sul bastoncino, mi narrò che ogni volta che andava a passeggio per il monte, doveva portarlo per far contento un vecchietto che glielo aveva donato. “Un giorno – mi disse – camminavo lungo il sentiero e, per aiutarmi a salire, usavo un bastone che avevo trovato per via. Alla sera venne a trovarmi un vecchietto, che mi aveva visto in quel giorno salire al Santuario, e mi regalò questo bastone, dicendomi che quello che avevo usato non era fatto per me: A l’è nen da chièl!”. E così, per far contento il donatore, usciva sempre col suo bastone nel salire l’erto sentiero al Santuario» (Testimonianza del 3. XI. 1943:).

 

 

Buon senso. Durante gli esercizi spirituali ai sacerdoti a S. Ignazio, il Cardinal Richelmy, un anno, predicava le Istruzioni, mentre le meditazioni erano dettate da un Cappuccino. Trattando il Cardinale della brevità della predicazione, forse volendo dare agli uditori un esempio del fastidio che recano al popolo quelle prediche che non finiscono mai, protrasse la sua istruzione oltre il tempo fissato, in modo che il termine coincideva quasi con l’inizio della meditazione. Il Padre Fondatore, che dirigeva gli esercizi, aveva dato un po’ di tempo agli esercitandi perché prendessero un po’ di sollievo.

 

Il predicatore, visto che il suo tempo veniva ridotto, andò a protestare, forse perché non si stava all’orario fissato. Il Fondatore lasciò che quel Cappuccino dicesse tutto quello che doveva dire, e poi gli rispose: “Bisogna bene che ci mattiamo d’accordo; altrimenti come faranno gli esercitandi ad ascoltare due prediche, una di seguito all’altra, senza prendersi un po’ di sollievo!”» (Testimonianza del 10. XI. 1943).

 

 

Deo gratias. «Nel 1922, avevamo domandato l’elemosina alla porta del Santuario della Consolata in favore delle missioni; ma quella sera, a causa di una solennità che ricorreva in quel giorno altrove, il Santuario non fu tanto frequentato. Ognuno aveva portato il suo ricavato al Padre, ma le borse era assai modeste a paragone dell’anno precedente. Pensavamo che il Fondatore dimostrasse il suo disappunto; invece, come al solito, ripeté forte “Deo gratias!”, cavandosi il berretto, non dimostrando nulla, né di essere scontento, né di godere. Poi ci disse: “ Se il Signore non li manda [i denari] per la finestra, vuol dire che li manda per la porta!”.

 

Difatti, mentre diceva queste cose, venne il domestico e recò la posta della sera giunta allora. Il Padre comincia a svolgerla. In una lettera vi è un assegna per alcuni Battesimi; in un’altra vi sono intenzioni di SS. Messe; in altra dei denari. Noi restiamo stupiti. Il Padre, dopo aver aperto alcune lettere, ci ripeté quello che tante volte diceva: che il Signore, in un modo o in un altro, deve pensare a provvederci il necessario» (Testimonianza del 2. XI. 1943).

 

Fiducia nella Provvidenza. Un anno, mi pare nell’inverno del 1921, quando ero novizio, il Ven.mo Fondatore doveva pagare una fattura di dieci o quindici mila lire e non aveva il necessario. Si trovava presente l’economo della Casa Madre, p. G. Gallea, per ricevere l’importo, essendo urgente il pagamento. La cassa era vuota. Il Sig. Rettore chiama l’economo e lo porta con sé al Santuario della Consolata, per vedere se nella cassetta delle elemosine riservate alle missioni, ci fosse qualche cosa. Entrati, dopo aver pregato presso l’altar maggiore, si recano alla cassetta: anche questa à vuota.

 

Il Fondatore, senza scomporsi, chiama l’economo con sé e lo porta nuovamente innanzi alla SS. Vergine, all’altar maggiore, e colà rimane assorto brevemente in preghiera. Terminata (il Fondatore disse di avere recitato un’Ave Maria) si riporta deciso alla cassetta visitata poco prima. L’apre e vi trova un involto. In esso vi erano tutti i soldi necessari pr pagare la fattura; nessuno in più e nessuno in meno.

 

Il Ven. Fondatore, commentando il fatto, ci disse che la SS. Vergine non ci lascerà mai mancare il pane, se noi compiremo il nostro dovere, e se mancherà la farina ci avrebbe mandato il pane già fatto» (Testimonianza del 20. X. 1943).

 

Saper vedere il bene. «Nella vita del Padre Fondatore si deve porre molta attenzione ad un punto importantissimo. Egli raccomandava di frequente di stare attenti al prossimo per non vedere che il bene. Esortava di prendere da tutti quello che trovavamo di buono. Da uno una data cosa, una pratica, una virtù; da un altro un’altra cosa. Egli praticava questo metodo, e da tutte le persone che avvicinava sapeva trarne vantaggio per il profitto della sua anima, per avanzare nella virtù» (Testimonianza del 23: XI. 1943).

 

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