P. U. VILINO UNO CHE LO HA APPENA CONOSCIUTO

Viglino4P. UGO VIGLINO AMMIRATORE DELL’ALLAMANO

 

P. Ugo Viglino (1913-1990) è uno di quei Missionari della Consolata che è stato ancora accettato dall’Allamano. Tuttavia si può dire che lo ha appena visto, perché è entrato nell’Istituto da ragazzino solo nell’autunno del 1923. Eppure è stato capace di maturarne una buona conoscenza e una grande ammirazione. Suo fratello p. Ferdinando, lui pure Missionario della Consolata, di undici anni più anziano, ha rilasciato questo ricordo scritto: «In occasione dell’accettazione di mio fratello P. Ugo nel Piccolo Seminario, vennero i genitori a presentarlo. Ricordo le espressioni di ammirazione e di venerazione quasi stupita della mamma, dopo l’incontro e il colloquio del Sig. Rettore».

P. Ugo nacque a Bosia d’Alba l’11 giugno 1913. Ricevette l’ordinazione sacerdotale il 21 dicembre 1935. A Roma conseguì le lauree in filosofia e teologia. Trascorse quasi tutta la vita come docente di filosofia nella Pont. Università Urbaniana di Propaganda Fide, a Roma. Pubblicò diversi volumi di filosofia e quattro libri di poesie. Partecipò attivamente a convegni filosofici nazionali e internazionali. Fu missionario dall’intelligenza brillante, amante della vita, dei rapporti umani, della libertà; dotato di un’accentuata sensibilità artistica; ricercatore amoroso mai sazio del mistero di Dio, della Chiesa e della storia. Fu un grande estimatore dell’Allamano, un suo figlio sinceramente affezionato e di lui scrisse cose bellissime.

Durante il “Congresso Teologico Internazionale di Pneumatologia”, svoltosi in Vaticano nei giorni 22-26 marzo 1983, in occasione del 1600° anniversario del I Concilio di Costantinopoli e del 1550° anniversario del Concilio di Efeso, presentò una magnifica Comunicazione dal titolo: “Lo Spirito Santo e la vita religiosa missionaria in Giuseppe Allamano”. In questa Comunicazione riportò, in modo organico, il pensiero dell’Allamano su questi diversi aspetti: l’evangelizzazione opera dello Spirito Santo; i Missionari della Consolata “figli” dello Spirito Santo; il grande dimenticato; la conoscenza sapienziale-pratica dello Spirito Santo; i doni e i frutti dello Spirito Santo; perennità e totalità dell’azione dello Spirito Santo; ricupero delle forme devozionali.

Non potendo riportare tutto questo ricco contenuto, ci limitiamo a proporre qualche parte di quanto p. Ugo scrisse sul tema: “Doni e frutti dello Spirito Santo: vigore e bellezza della vita spirituale”, facendo notare che l’intera Comunicazione è già stata pubblicata su questa rivista nel numero 4/1983, pp. 5-19.

 

 

La presenza e l’azione dello Spirito Santo si traducono in concretezza e ricchezza di vita mediante i “doni” e i “frutti”, o, se si preferisce, si rivelano nella linea della loro multiforme esplicazione. L’Allamano sa che la vita religiosa missionaria è una difficile scelta di perfezione. È anche persuaso che una vita interiore di colloquio permanente con lo Spirito è come una corrente continua ad alta tensione, da cui sprigionano energie di fortezza e di coraggio, di ottimismo, di operosità serena, di grazia e bellezza nel far le cose - «nel fare bene il bene» come egli amava esprimersi, richiamando con l’originalità della formula a un’attenzione particolarmente consapevole su tutto il proprio comportamento.

 

Rivolgendosi idealmente all’intero Istituto, diceva: «Io voglio dei sacerdoti ottimi: che cosa ne faccio di roba “imbastita”? Così che cosa facciamo di voi quando avete il velo, se non siete suore di spirito?... Tanti secolari sono migliori di noi…, e noi ci crediamo tanto…, perché abbiamo un po’ di abito: è lo spirito che fa».

 

È dallo Spirito Santo che viene la perfezione, la compiutezza e bellezza nel fare le cose: «Lo Spirito Santo vi darà un cuore nuovo; pregatelo che ve lo dia. Invocatelo sempre, non solo nello studio, ma anche nel lavoro. Io spero che qualunque lavoro lo facciate con spirito di ubbidienza Ma quante lo faranno con perfezione? […]. Guardate, per esempio, quelli che vanno ad imparare un mestiere, come stanno attenti! Bisogna chiedere alla Spirito Santo di approfondirci in tutte le cose, perché sapete che tutto viene utile. Se non si sta attente a tutto, viene poi che quando siete in Africa direte: “questo non lo so fare; questo non l’ho mai imparato”; e allora che cosa si fa? Bisogna saper fare di tutto… e che vi distinguiate». […].

 

Contenuto e stile della citazione mostrano l’accuratezza, la sollecitudine anche minuta con cui l’Allamano si sforzava di attrezzare i suoi per i multiformi compiti dell’apostolato. La tradizionale dottrina teologica sui “doni” e sui “frutti” dello Spirito Santo, che l’Allamano sapeva applicare con aderenza alle situazioni vicine e lontane, presenti e future, gli veniva particolarmente a proposito.

 

I “doni” «sono abiti permanenti, per i quali l’uomo è reso docile e pronto a seguire gli impulsi dello Spirito Santo». […]. Nelle “Conferenze alle suore” c’è sui “doni” una pagina assai bella. È ridondante di senso di Dio, di fervore spirituale, di simpatici riferimenti umani.

 

«La “sapienza”: che cos’è? È quando uno contempla i beni eterni e disprezza i temporali… Quando fanno schifo le cose terrene… Questa è vera sapienza; quando si è attratti verso le cose spirituali; ci si distacca da tutto».

 

«La “scienza”: quando dalla considerazione delle cose temporali ci solleviamo alle eterne, a Nostro Signore. Così, come diceva S. Agostino: “Ogni cosa creata mi è scala a Dio”. […]. Per esempio, vedete quel caffè, ebbene, riflettete: quanto lavoro prima di venir qui… quanti atti di amor di Dio, quante intenzioni chi l’avrà lavorato… Ora andrà in tante bocche; Oh! Signore, date a quelli che gusteranno questo caffè un po’ di gusto delle cose celesti, ecc. […]».

 

«”Intelletto”: intus-legere = leggere dentro. È penetrare i misteri, non capirli, ma avere una luce più chiara. Sentire certa gente come godono di Nostro Signore; ne parlano come se l’avessero presente. Anche persone rozze che non hanno studiato. [… ]. Nessun dubbio sulle verità eterne, le sentono come se le vedessero. Tante volte si va davanti al SS. Sacramento e si gode come se si vedesse. Io non voglio vederlo; si sente lo stesso e c’è più merito».

 

«”Consiglio” è sempre dirigere noi e gli altri al fine eterno. Per ottenere questo bisogna dire: “Signore, fa che io veda”. Quando si è nel dubbio, diciamoglielo: “Signore, rischiara le mie tenebre”».

 

«”Fortezza”: è forse l’energia naturale? No! È quell’energia soprannaturale, è ciò che ci sostiene per vincere tutte le difficoltà, fino al sacrificio. Senza il dono della fortezza, i martiri non avrebbero potuto resistere. È sommamente necessaria a voi missionarie, massime in Africa».

 

«”Pietà”: consiste nel trattare col Signore come con un Padre. Vuol dire voler tanto bene a Dio e al prossimo. Si sta davanti a Dio e si gusta di stare con Dio, e si è in pace e tranquillità. L’anima tratta con Dio come con un papà e una mamma».

 

«”Timore”: non timore pauroso, ma timore figliale; si sta tranquilli alla presenza di Dio. Se cade non si sgomenta perché Dio è padre e fa un atto d’amor di Dio». […].

 

Con lo stesso stile, sapido e terso, anche se più in breve, parla dei “frutti”. «I frutti dello Spirito Santo, secondo S. Paolo (cfr. Gal 5,22-23) sono dodici: l’amore, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la longanimità, la mitezza, la fede, la moderazione, la continenza, la castità. Perché si chiamano frutti? Lo spiega S. Ambrogio: perché ristorano l’anima di sincero amore… e perché contengono una grande dolcezza e soavità. Ciò che i frutti naturali sono per il corpo, i frutti dello Spirito Santo sono per l’anima. Sono così belle queste cose! Chi gode di questi frutti vive dello Spirito Santo. Bisogna gustarli». […].

 

L’Allamano non suole entrare nella dimensione filosofica della realtà e dei problemi che essa pone o implica. L’avverte tuttavia […] e la traduce in vivacità di immagini, immediatamente significative. Utilizza anzitutto, penetrandola, la metafora paolina “Voi siete il tempio di Dio e lo Spirito abita in voi” (cfr. 1Cor 3,16; 2Cor 6,16). […]. Ed ecco perché “tempio” può suggerire l’idea un po’ lontana e solenne della grande chiesa, della cattedrale - l’altra immagine più gentile e intima dell’Allamano: «Ognuno di noi è come una cappelletta dove lo Spirito Santo si compiace di abitare»; «Se fossimo proprio persuasi che lo Spirito Santo abita in noi, gli parleremmo sempre».

 

“Parlare con lo Spirito Santo” vuol dire la vita diventata tutta quanta preghiera. […]. Egli stupisce e quasi santamente si irrita, che la sensibilità cristiana comune e la preghiera-culto alla spirito Santo restino pressoché confinati al tempo della celebrazione liturgica di Pentecoste. E ha, in proposito, una frase tagliente, con intonazione di protesta: «Nessuno ha fissato la data della venuta dello Spirito Santo». Cioè: la presenza e l’azione dello Spirito Santo sono, e hanno a essere, perenni: nel mondo e nel cuore dell’uomo. Di qui la sua esortazione tante volte ripetuta: «Continuate ad invocarlo… tutto l’anno». […].

 

Non poteva mancare, nell’innamorato della Consolata, il richiamo a Maria: «Maria aiutò molto gli Apostoli e ottenne loro l’abbondanza dello Spirito Santo. Ella aiuterà anche voi. Domandiamo che ci ottenga i doni e le grazie dello Spirito Santo».

 

giuseppeallamano.consolata.org