GIUSEPPE ALLAMANO E I PARENTI DEI MISSIONARI

FondatireTricorno3Il rapporto dell’Allamano con i parenti dei missionari e delle missionarie è stato molto spontaneo e intenso. Li considerava i primi benefattori delle missioni e, quindi, in certo senso appartenenti alla famiglia dell’Istituto; li accoglieva con cordialità; quando occorreva e gli era possibile, andava loro incontro nelle necessità; voleva che i missionari dall’Africa scrivessero ai parenti e lui stesso comunicava loro notizie delle famiglie. Però, e questo è un aspetto importante, chiedeva ai suoi missionari di essere interiormente liberi e di non lasciarsi condizionare nella vocazione da indebiti legami di sangue.

 

L’ALLAMANO E LA SUA FAMIGLIA

 

Intenso legame con i famigliari. Per capire come l’Allamano intendeva i rapporti dei suoi missionari con i parenti, iniziamo a vedere il suo rapporto personale con la propria famiglia. Sicuramente era legato ai familiari, specialmente alla mamma, avendo perso il padre quando non aveva ancora tre anni. Mi limito a riportare due testimonianze circa la sua intesa con la mamma.Come prima, questa di mons. G. Nipote, che lo conosceva bene: «Soleva dire, che l’unica forza che lo avrebbe potuto trattenere in casa, era l’affetto intensissimo che nutriva per sua mamma» (mons. G. Nepote ,II, 6991). Come seconda, questa di sr. Chiara, una missionaria dei primi tempi: «Diceva che sua mamma era una santa donna; che il separarsi da lei per andare in Seminario gli era costato moltissimo. E talvolta sorridendo, diceva che egli era il suo “checco” (beniamino). In una conferenza ci disse: “Non tocca a me fare l’elogio di mia madre…dovete però sapere che essa era già ammalata quando le dissi che desideravo farmi missionario – “Non voglio ostacolarti – mi rispose – pensa solo bene se sei chiamato. E poi, quanto a me, non pensarci”». (sr. Chiara II, 793 - 7942).

 

Della mamma l’Allamano parlava spesso e sempre con ammirazione e tenerezza. Ecco che cosa confidò riguardo gli ultimi anni di vita della mamma, affetta ormai da sordità e cecità: «Io facevo il suo interprete nella confessione quando mi trovavo a casa; sembra impossibile: aveva due occhi di Paradiso, eppure non vedeva; ed io mi spiegavo facendo segni sulla mano, e c’intendevamo benissimo» (Conf. MC, I, 236).

 

Libero nel seguire la vocazione. Lo stretto legame con la famiglia non ha impedito all’Allamano di essere libero e generoso nel seguire la propria vocazione sacerdotale. Il suo primo biografo, P. L. Sales, così racconta un suo dialogo con i fratelli, il quali volevano che, prima di entrare in seminario, frequentasse il liceo: «E un giorno gli venne improvvisamente dall’alto la luce che chiedeva, e la grazia di Dio lo investì. […]. Si portò dai fratelli e disse loro in un tono che palesava un’irrevocabile decisione: “Il Signore mi chiama oggi… non so se mi chiamerà ancora fra due o tre anni!» (L. Sales, biografia, ed. 1944, p. 19).

 

La sua forza interiore, fondata sulla fede, è emersa in particolare in occasione della morte della mamma, che avvenne mentre era al terzo anno di teologia, nel 1870. La notizia, per un disguido, gli fu recapitata qualche giorno dopo la morte, per cui non gli fu neppure possibile partecipare ai funerali. Ne soffrì talmente che si ammalò. Dalla semplicità con cui lui stesso racconta il fatto, si comprende sia la sua sofferenza che la sua capacità di vivere la comunione con la mamma in modo soprannaturale: « Vi ho già forse raccontato ciò che mi aveva suggerito un santo sacerdote quando è morta la mia buona mamma. Mi ha detto: “Le suggerisco una santa crudeltà, ma che è utile per lei e per la sua mamma, perché tanto quel pensiero la disturba solo, non può più studiare. Dica così al Signore: Guardate, meno ci penso io, più ci pensate voi, tanto cosa può farci lei? niente. Invece se ci pensa il Signore, se la mamma fosse ancora in Purgatorio, può liberarla subito”» (Conf. IMC, II, 648)..

 

È pure significativo, in rapporto alla sua libertà interiore dai parenti, l’episodio che ha narrato alle suore, raccomandando alle loro preghiere il cognato gravemente ammalato: «Sono stato a vederlo ieri in Castelnuovo; mi fermai solo poche ore; alle due pomeridiane ero ancora a Torino ed alle sette avevo già finito il mio viaggio. Da ben quindici anni non ero più stato in Castelnuovo (Conf. MC, I, 227).

 

Ho insistito su come l’Allamano amava i suoi famigliari e, nello stesso tempo, su come sapeva esserne generosamente distaccato, perché questa sua personalità l’ha trasmessa ai suoi missionari e missionarie.

 

DOBBIAMO AMARLI PIÙ DEGLI ALTRI

 

Direttive sagge. Il primo atteggiamento di un Missionario e di una Missionaria della Consolata verso i famigliari è quello di volere loro molto bene. Sono lo stesso sangue, il naturale punto di riferimento affettivo e concreto. Sentiamo l’Allamano: «E riguardo ai parenti, sì, dobbiamo amarli. Nostro Signore per primo ce ne ha dato l'esempio, ed Egli la Madonna e S. Giuseppe li amava con tutto il cuore (Conf. IMC, II, 482); «Vogliamo bene ai parenti, amiamoli più che tutti gli altri. Certe volte la mia buona mamma mi diceva: “Io sono vecchia, tutti gli altri mi dimenticheranno, ma tu mai, dici messa tutti i giorni, pregherai poi per me”. Ecco che noi vogliamo bene più che tutti gli altri. (Conf. IMC, II, 649). Sono espressioni sicuramente spontanee e indicano lo spirito di famiglia del nostro Istituto, nel quale il Fondatore coinvolge anche i famigliari.

 

Le sue non erano solo parole. L’Allamano trattava i parenti con spontaneità e simpatia, al punto che diversi di loro ci hanno lasciato testimonianze molto belle. Sentiamo quella che riguarda la mamma di p. G. Gallea, che, con il parroco, aveva accompagnato il figlio alla Consolata, con il proposito di convincere l’Allamano a non accettarlo. Ovviamente non vi riuscì. Ecco come il figlio, anni dopo, racconta come la mamma, al ritorno, riferì l’incontro al marito: «Giunti a casa, mio padre l’interrogò sull’esito del suo tentativo. Ed essa: “Che vuoi? Rispondeva in modo che non si poteva più dire niente. Tra gli altri sacerdoti e quello lì c’è una differenza grande”» (Tesoriere, 3, 2005, p. 19).

 

Dall’incontro di questa mamma con l’Allamano, appare anche come il nostro Fondatore non si accontentasse di parole. Quando ella vide che non c’era più nulla da fare, si rivolse al figlio, un po’ stizzita, dicendogli: «Ma allora, se questa era la tua idea, potevi dirlo prima, e non adesso che abbiamo fatto dei debiti». L’Allamano intervenne subito: «Avete fatto dei debiti? E quanto? Ci penserò io». Ed ecco la conclusione: «La mamma non sapeva più che cosa dire e cominciarono a piovere le lacrime». All’Allamano non rimase che consolarla: «Là, si faccia coraggio, vedrà che si troverà contenta». Quella mamma fu poi molto contenta del figlio missionario!

 

 

Riconoscenza alla famiglia che ha donato un figlio o una figlia. L’Allamano, in occasione delle partenze dei missionari o di qualche altra celebrazione alla quale partecipavano anche alcuni parenti, esprimeva sempre simpatia e riconoscenza verso di loro. Il motivo di fondo era che i famigliari sono da considerarsi i primi benefattori in quanto offrono un figlio o una figlia alle missioni e, di conseguenza, vengono coinvolti nell’avventura missionaria dell’Istituto e partecipano al bene che i figli fanno nella vigna del Signore. Per spiegarmi, riporto le lodi che l’Allamano ha rivolto alla mamma di p. Benedetto, in occasione della partenza: «Ogni volta che si rinnovano questi giorni, lasciano sempre il cuore pieno di pena e specialmente il mio... si stacca una parte di me stesso. […]. Ho da dirvi che quest'oggi ho ricevuto una grande consolazione: mi ha consolato molto il vedere una madre veramente cristiana: sono andato per consolarla, ma non ne aveva bisogno, è la madre qui del nostro P. Benedetto. Ella disse: Sono contenta che vada, proceda bene, se il Signore lo chiama!... Ah! non è così facile trovar delle madri così! Capisce che cos'è il prezzo delle anime, madre veramente cristiana, madre che guarda col lume della Fede... Portatene l'esempio quando parlate coi vostri parenti, ... madre secondo il cuore di Dio... […]. Queste sono madri! Devono lasciarli e fanno il sacrificio, ma non li lasciano spiritualmente! ... Parenti cristiani! Che capiscono! È una consolazione che il Signore dà di tanto in tanto nel mio difficile ministero!» (Conf. IMC, I, 500). Da queste parole, che non sono le sole pronunciate con questo tono di profonda partecipazione, emerge bene l’animo dell’Allamano, che si sente solidale con i famigliari. È quasi una partecipazione di paternità verso i giovani missionari.

 

 

Sano realismo e comprensione. L’Allamano era cosciente che distaccarsi dai partenti era una grande sofferenza. Lui stesso, forte com’era, non si vergognava, quando partiva qualcuno per le missioni, di manifestare il proprio dolore, che si univa a quello dei partenti e delle loro famiglie. Diceva: «Ci sono le separazioni... ma siamo sempre lo stesso una cosa sola in tutti i posti, si forma un corpo solo; così il cuore soffre per il distacco dai parenti: ma si amano sempre, anzi l'amore aumenta ... si prega, si lavora pel Signore, e il Signore benedice» (Conf. IMC, III, 499). Per questo era contento che i missionari valorizzassero le occasioni per gustare la gioia dell’intimità familiare. Ecco che cosa scriveva al fr. B. Liberini, tornato in patria dal Kenya, prima di partire per il Mozambico: «Ho ricevuto le tue lettere, e godo di saperti bene, e che la tua venuta abbia fatto piacere ai tuoi parenti, ed abbia specialmente consolata la tua buona mamma; godila pure un po’, prima di separarti forse per sempre» (Lettera del 7 agosto 1924).

 

 

Paterna partecipazione. L’Allamano, nel limite del possibile, condivideva le gioie delle famiglie, come matrimoni, nascite, ecc. Per esempio, del fr. Benedetto Falda, ha detto: « E se il nostro bravo coadiutore ha avuto la fortuna di assistere al 50° anniversario di matrimonio dei suoi genitori (a cui hanno partecipato anche qualcuno di voi,... perché l'Istituto prende parte alle gioie ed ai dolori dei parenti) questo per una parte si deve alla corrispondenza del nostro coadiutore, ai suoi sacrifici ed alle sue preghiere, e dall'altra alla premura di questi bravi genitori che l'hanno generosamente concesso al Signore» (Conf. IMC, III, 499).

 

Sempre, però, partecipava alle circostanze dolorose, specialmente in occasione di lutti in famiglia.

Ecco due esempi. E al chierico M. D. Ferrero, a casa per la grave malattia e morte del padre, scriveva una cordialissima lettera, in cui, tra l’altro, dice: «Fa coraggio alla buona mamma ed a te stesso. […] Fermati in famiglia per quel tempo che ti pare necessario a consolazione della mamma ed a disimpegno di ogni cosa» (Lett., V, 137). Allo stesso, neo-sacerdote, scriveva ancora: «Il buon Dio però aggiunge alle tue rose le spine colla malattia della cara mamma. Falle tanto coraggio, dille che prego e faccio pregare per Lei la nostra Consolata. Intanto opera quanto stimi bene per Lei sia nelle spese, come accompagnandola a Nizza» (Lett., VI, 488).

 

Leggo parte della magnifica lettera scritta dall’Allamano al p. G. Perrachon, in Kenya, per comunicargli la morte del papà. In essa, oltre ad una straordinaria partecipazione paterna, il Fondatore assicura il suo interessamento per risolvere i problemi pratici connessi a questo lutto, specialmente in relazione alla giovane sorella rimasta orfana. Si notino anche le notizie particolareggiate sull’ultima malattia del padre, il che dimostra che l’Allamano è stato coinvolto molto personalmente in questo evento: «Vorrei che leggesse questa mia nella Cappelletta davanti a Gesù Sacramentato. Si tratta di una notizia che non mi pare ancora vera; eppure la realtà si è che il buon padre è partito per il Paradiso nella notte passata. V.S. dica in mezzo al suo dolore il fiat in suffragio di quell’anima benedetta. A soli 52 anni era maturo pel Cielo, dove avrà pure speciale gloria per aver di buon grado acconsentito alla sua vocazione…

Domenica, 26 maggio, venne a trovarmi; si confessò e comunicò nel Santuario, e poi nella giornata l’incolse una congestione cerebrale, che gli tolse parte della memoria. Ritornò tuttavia a Pinerolo, dove parve tranquillo e sano. Martedì venne di nuovo a Torino, dove il male lo incolse più gravemente, e fu necessario ricoverarlo nell’Ospedale Martini che si trova presso l’istituto. Si sperò sempre nella guarigione finché replicati piccoli colpi apoplettici lo ridussero in fin di vita e spirò colla Benedizione del nostro Cardinale e coi Santi Sacramenti..

Comprenderà il dolore della cara sorella in questi giorni. La zia di Torino l’assiste, e noi facciamo ogni nostro possibile. Il Teologo Gunetti (economo del santuario) si occupa del trasporto a Pinerolo, dove domani avrà sepoltura.

Quanto alla sorella e gli interessi stia tranquilla; io le farò da padre, com’essa desidera; farò che i parenti non la inquietino. Essa è forte coi principi della fede, ed il Signore l’aiuterà. Terrò lei al corrente d’ogni cosa anche perché essa è minorenne. La SS. Consolata consoli V.S. e la renda forte come apostolo…Già ho ordinato Messe pel padre; […]. Coraggio in Domino; ed io la benedico» (Lett., VI, 158-159).

 

LEBERTÀ INTERIORE E DISTACCO

 

L’Allamano ha pure trasmesso ai suoi figli e figlie la libertà e la forza interiore che gli era propria. Ha sempre chiesto di sentirsi liberi riguardo alla vocazione e di rimanere distaccati da qualsiasi legame, anche familiare, che potesse impedire di seguire la chiamata del Signore. Le parole dell’Allamano, al riguardo, sono piuttosto forti e seguono la cultura ascetica e la pedagogia del suo tempo. Non le ripeto qui, non per nascondere il pensiero dell’Allamano, ma solo perché richiederebbero tempo per spiegarne il senso nel preciso contesto e ambiente.

 

Sottolineo, invece, la sua forte convinzione di fondo, che è quella dei santi: i parenti non sempre comprendono subito il valore della vocazione, soprattutto di quella missionaria. Lo comprenderanno in seguito, perché il loro amore per il figlio o la figlia che partono per le missioni avrà il sopravvento. Tuttavia, tocca a noi aiutarli e coinvolgerli nel merito della nostra adesione al Signore. Questa libertà nel seguire la propria vocazione, che vale per chi intende sposarsi, deve valere anche per chi vuole essere missionario.

 

Sentiamo questo concetto dall’Allamano, mentre parlava della necessità di non lasciarci condizionare dai legami di sangue: «Se possiamo conciliare l'amore di Dio con l'amore dei parenti, tanto bene, se no, ci vuole una santa crudeltà. Nostro Signore vuole il merito del sacrificio dei parenti e di noi; e in questo ci vuole energia: il distacco. (Conf. IMC, II, 481).

 

Conclusione. Concludo con le parole che l’Allamano ha rivolto ai genitori del p. Peirani, in occasione della sua vestizione clericale: «E voi, o genitori, che non badando ai sacrifici fatti per il figlio, concedeste al medesimo di seguire la voce di Dio che lo chiamava a missionario della Consolata, abbiate l'abbondanza delle benedizioni celesti. Dio più generoso vi compartirà in compenso su questa terra il centuplo dei beni temporali, e vi riserberà parte ai meriti ed al premio promesso a chi si sarà votato e sacrificato nella conversione delle anime infedeli. Ecco l'augurio ch'io depongo per voi a' piedi della Consolata» (Conf. IMC, II, 107-108)..

 

 

1 Non questa frase, ma l’idea di trovare difficile il distacco dalla madre si ha in Conf. IMC, I, 491.

2 Di ritenersi il “checco” della mamma, pur non essendo l’ultimo figlio, si ha in Conf. MC, II, 290.

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