18. LA SPERANZA

Necessità ed eccellenza

Secondo S. Agostino, l'edificio della nostra santificazione si erige colla speranza. Domus Dei... sperando erigitur (261). Notate la parte principale ch'egli assegna alla speranza. Come è necessario il fondamento nella costruzione della casa, così è necessaria la speranza nell'opera della nostra santificazione.

Eppure, generalmente parlando, non da tutti si ha tale stima della speranza. Si sente l'obbligo di credere, né si ammetterebbero pensieri contrari a questa virtù; invece non solo dai cattivi ma anche dai buoni, e più da questi che da quelli, si teme di aver troppa speranza e si ammettono scoraggiamenti, pene contrarie a tale virtù, sotto specie di bene e di timor di Dio.

Non così S. G. Cafasso che fu l'uomo della speranza, allo stesso modo che il Cottolengo fu l'uomo della fede. La speranza fu la sua virtù caratteristica, e l'ho deposto io pure nei processi di beatificazione. Il Signore voleva per mezzo suo cancellare gli ultimi residui del giansenismo. Egli perciò possedeva questa virtù in grado eccellente; ne aveva tanta da infonderla anche negli altri. Quando gli si diceva che la porta del Paradiso è stretta, rispondeva: "Ebbene, passerem uno alla volta!". L'infondeva anche nei disperati e li faceva andar dritti al Paradiso. Perciò dava ai condannati a morte le commissioni per la Madonna e, dopo l'esecuzione, esclamava: "Un Santo di più!". E non esagerava, ché, accettando la morte violenta del condannato con cristiana e perfetta rassegnazione, essi espiavano compiutamente tutti i loro peccati, allo stesso modo del buon ladrone sulla croce. Perciò soggiungeva: "Quei birbanti ci rubano il Paradiso!". Come vedete, egli sapeva cambiare la disperazione nella più bella confidenza. No, non bisogna mai disperare di nessuno. Mi venne un giorno riferito di un capitano che, prima di recarsi in guerra, fece un testamento perfido. E sì che era stato allevato piamente! Ebbene, morì sul campo di battaglia, ma possiamo sperare che i buoni principi ricevuti si siano fatti vivi nella sua ora estrema. La misericordia di Dio è infinita!

Allarghiamo dunque il cuore ad una viva speranza. E non solo sperare, ma super sperare, ma sperare contra spem. Quando si spera poco, si fa torto a Nostro Signore, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino (262). S. G. Cafasso diceva che certa gente pensa a salvarsi come a giocare al lotto. "Chi sa se vinco al lotto?". E così taluni cristiani: "Chi sa se mi salverò?". No, non così. Si deve andare avanti con la certezza che il Signore compatisce le nostre miserie, purché noi mettiamo un po' di buona volontà. Non dobbiamo aver paura di sperare troppo. Un'ammalata mi diceva un giorno: "Chi sa se mi salverò" - "Ma ha servito Maometto?" - "Oh, no!" - "Ebbene, perché temere?". Così infatti S. Ilarione incoraggiava se stesso in punto di morte: "Hai servito il Signore per settant'anni e temi la morte?".

Non dire dunque: "Chi sa se mi salverò?", ma dire: "Voglio salvarmi e quindi voglio emendarmi dei miei difetti e non scoraggiarmi". Il timore di non salvarsi proviene per lo più da pigrizia. Fa d'uopo scuoterci, lavorare, come facevano i Santi. Taluni vorrebbero che il Signore li portasse per forza! Né ci debbono scoraggiare i peccati della vita passata. Non è male ricordarli per umiliarci sempre più, ma non star sempre a pensarci sopra, come se il Signore non li avesse perdonati. Al Signore piace tanto che noi crediamo alla sua bontà, alla sua misericordia! Dunque sperare, fortemente sperare! In Te, o Signore, ho sperato, non sarò confuso in eterno!

Lo sguardo al Paradiso

Il pensiero del Paradiso dev'essere vivo nella nostra mente. E' un tale pensiero che ha fatto i Santi, i quali l'avevano abitualmente presente. Ed è pure l'esortazione che ci rivolge la Chiesa, nell'Oremus per la festa dell'Ascensione: Ut... mente in coelestibus habitemus. Fin da questa terra abitare con la mente in Paradiso: il che vuol dire pensarci continuamente.

Vedete, questo pensiero opera in noi grandi effetti. Anzitutto ci distacca da questa terra. S. G. Cafasso diceva: "Ogni cosa di quaggiù la considero in vista del premio di lassù; e se è brutta e mi fa pena, penso che in Paradiso non l'avrò più". S. Filippo esclamava: "Paradiso, Paradiso!" e con questo pensiero aborriva onori e dignità. S. Ignazio ripeteva: "Quanto sordida mi appare la terra, allorché miro il Paradiso!" e con questo pensiero disprezzava i beni terreni. E' il pensiero del Paradiso che popolò i deserti di eremiti, le case Religiose di anime consacrate a Dio e i paesi di Missione di ferventi missionari.

Inoltre, il pensiero del Paradiso ci fa vincere tutti gli ostacoli, le pene, le tribolazioni di questa vita. Quando la noia, il tedio e l'indolenza vorrebbero farci passare delle ore e delle giornate nere, ripetiamo con S. Francesco d'Assisi: "Tanto è il bene che m'aspetto che ogni pena mi è diletto!". Che se per noi la pena non è ancora diletto, almeno diventa sopportabile. Voi conoscete il fatto dei sette figli Maccabei, martiri tutti per la legge di Dio. Il tiranno sperava di poter vincere almeno il più giovane, ma la madre, che aveva ottenuto di essere l'ultima, l'andava incoraggiando appunto col pensiero del Paradiso: Ti prego, figlio mio guarda il Cielo! (263). Così noi: nei momenti di lotta, di dolore, facciamoci coraggio col pensiero del Paradiso, dove, come dice S. Paolo: semper cum Domino erimus! (264). Saremo sempre col Signore! Che bella espressione! Quale viva speranza! Ai tempi di S. Benedetto, v'erano nel suo monastero più di ottocento monaci, tutti dediti ad una vita di penitenza e di sacrificio. Avrebbero potuto godersela in questo mondo, invece no, perché miravano al Paradiso. La sofferenza dura poco, il premio invece è eterno. S. Paolo dice: La momentanea e leggera tribolazione nostra procura a noi, assolutamente al di sopra di ogni misura, un peso di gloria eterna (265).

Non ci sembri dunque di fare una carità a Nostro Signore, facendo quel poco che possiamo per emendarci dei nostri difetti. Costa, è vero, la disciplina, costa l'applicarci di buona voglia allo studio, costa il silenzio, costa il pregare con attenzione, costa il sopportare quel compagno; ma il Paradiso non si paga mai abbastanza. E' ciò che dice S. Paolo: Poiché io ritengo che le sofferenze del tempo presente non han nulla a che fare con la gloria che dev'essere manifestata in noi (266). Sant'Arsenio anacoreta, richiesto dai suoi discepoli di un ultimo ricordo, disse loro queste semplici parole: lbi... ubi! Non le intesero dapprima, ma poi ricordando le parole della Chiesa: Ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia (267) compresero quanto importi tener sempre la mente e il cuore rivolti al Paradiso.

Il pensiero del Paradiso serve ancora a facilitarci l'acquisto di tutte le virtù, a corrispondere più fedelmente e più generosamente alla nostra vocazione: che è di essere santi, grandi santi, più santi che è possibile. Si narra che S. Teresa, comparsa dopo morte ad una consorella, le abbia detto che se un desiderio avesse ancora potuto avere in Cielo, quest'era di ritornare sulla terra per acquistare il merito di un'Ave Maria. Una sola Ave Maria! E questo dev'essere di sprone a noi che abbiamo ancora tempo a lavorare per il Signore.

Grande pensiero dunque questo del Paradiso, che ci sprona a farci santi. Gli anni passano rapidamente e noi fortunati se, in fin di vita, potremo ripetere con S. Paolo: Ho combattuto il buon combattimento, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ormai è in serbo per me la corona di giustizia, che il Signore, giusto giudice, mi darà in compenso quel giorno (268). Don Bosco aveva scritto sopra una porta: "Il Paradiso non è fatto per i poltroni!". Io direi che non solo non è fatto per i poltroni, ma neppure per coloro che son solo per metà del Signore.

Il "nostro" Paradiso

Quando pensate al Paradiso, non pensateci in astratto, non pensate al Paradiso degli altri, bensì al Paradiso del buon missionario, fedele alla sua vocazione; al Paradiso pronto per ciascuno di noi. Nostro Signore disse: Vado a prepararvi il posto (269). E dove? e quale? Voglio, Padre, che dove son Io, anch'essi siano meco! (270). E altra volta: Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove, e Io vi preparo un regno, come il Padre mio l'ha preparato a me, affinché mangiate e beviate alla mia mensa, nel mio regno, e sediate sopra un trono a giudicare (271). Che cosa significano tutte queste promesse? Il Paradiso speciale riservato ai Sacerdoti, agli uomini apostolici, a coloro che hanno seguito più da vicino Nostro Signore, abbracciando i consigli evangelici. Non darà ad essi un luogo ordinario, ma un posto distinto, presso il suo stesso trono, fra i commensali intimi della tavola d'onore, seduti a lui d'attorno per giudicare il mondo.

Se riflettessimo sovente a ciò, come stimeremmo meglio il dono della vocazione e quanto più faremmo per corrispondervi pienamente! Oh, il Paradiso di un Missionario che non si perda in quisquilie, che sia vivo, che si scuota! Tutti i Santi, se avessero potuto, si sarebbero fatti missionari. Vedete, non avendo potuto io essere missionario, voglio che non siano impedite quelle anime che desiderano abbracciare questo stato. Ogni Missionario rifulgerà in Cielo come una stella fissa, con tutte attorno le anime salvate per mezzo del suo apostolato. Se si sapesse, se si capisse che cosa vuol dire essere missionario, tutti vorrebbero esserlo! E questo Paradiso, questo posto distinto è proprio per ciascuno di voi, solo che ne abbia il desiderio.

Non dimenticate però che, come le stelle differiscono l'una dall'altra in splendore, così il premio in Paradiso non sarà uguale per tutti, ma in proporzione del bene che avremo fatto, dello sforzo che ci saremo imposto. Non basta aver tutto lasciato, bisogna ancora esercitare tutte le virtù proprie del nostro stato. Un Religioso di mezza volontà o tiepido non gode certamente un paradiso in questo mondo; mentre colui che è generoso, gode negli stessi sacrifici, ha già un pregustamento del Paradiso, in attesa di possederlo poi eternamente.

Dite dunque a voi stessi: "Voglio farmi santo missionario, per avere il Paradiso riservato ai santi Missionari!". Ci dev'essere fra di voi una santa invidia o, meglio, una santa emulazione di andar più su che sia possibile. Ma per questo bisogna lavorare e lavorare molto. Eh, sarebbe troppo comodo avere il Paradiso adesso, così presto! No, no; lavorare quaranta, cinquant'anni e anche più. Io guarderò poi dal Paradiso, che non vi aprano le porte tanto presto!

Fa pena vedere tanti che si ritraggono da sì felice sorte o non si danno con tutto l'animo a seguire l'invito di Gesù, attratti dall'idea di maggior libertà, dal l'affetto alle cose del mondo; e mentre s'ingannano su questa falsa libertà, perdono quel particolare Paradiso promesso ai fedeli ministri di Nostro Signore! Ah, che sono quaranta, cinquant'anni di lavoro, in confronto dell'eternità? Ecco la molla che ha fatto i Santi, ed ecco ciò che deve invogliarci a lavorare e a salvare anime, come veri e fedeli ministri di Gesù! Mi pare che questo pensiero del Paradiso debba sollevarci. La nostra mercede è là, magna nimis!... Pensiamoci sovente.

La confidenza in Dio

La speranza più esimia, più robusta si chiama confidenza. La confidenza è come la quintessenza della speranza. Essa ci è necessaria per coprire la sproporzione che passa tra il nostro nulla e l'altezza della nostra vocazione religiosa, sacerdotale, apostolica.

Senza confidenza in Dio, non si può far nulla; mentre d'altra parte facciamo un torto a Dio diffidando. Di confidenza bisogna averne un magazzino, per poterla infondere nelle anime. Nel ministero delle confessioni bisogna portare le anime alla confidenza. S. G. Cafasso chiamava la mancanza di confidenza il peccato dei folli. Costa così poco confidare in Dio! Perché dunque non confidare?

La confidenza è necessaria a tutti. E' necessaria ai cattivi per sorgere dai vizi e mettersi con coraggio nella via della virtù: Mi alzerò e andrò dal Padre mio (272). E' necessaria ai tiepidi per scuotersi e infervorarsi: Buono è il Signore verso chi lo cerca (273) Ma più, direi, è necessaria ai fervorosi. Lo è per non scoraggiarsi davanti alle chiamate di Dio, come per non perdersi d'animo nelle frequenti cadute, nei difetti e peccati che si commettono. Alla sera, facendo l'esame, uno si trova sempre con le medesime imperfezioni e sarebbe tentato di pensare o dire: "Tutto è inutile, tanto non mi emendo mai!". Ma perché, dico io, perché ti trovi sempre coi medesimi difetti? Perché sei fiacco! Fa quel che puoi e il Signore ti aiuterà! E' un punto importante questo. Bisogna far attenzione a non ammettere pensieri di diffidenza; bisogna che ci rinnoviamo di continuo, altrimenti facciamo come le foglie d'autunno che cadono una dopo l'altra.

Siam proprio folli quando manchiamo di confidenza! Sovente confidiamo a parole, ma quando giunge il momento di provare la nostra confidenza, ecco che vien meno! "Può succedermi - diceva il Beato Claudio de la Colombière - qualunque cosa, anche peccare mortalmente, ma non perderò mai la confidenza". Dopo ogni caduta umiliarci, sì, ma poi rialzarci più generosi, senza mai perderci di coraggio. Stiamo saldi, non disanimiamoci mai, pensando che il tutto è erba del nostro giardino, è frutto di questo fango di cui siamo impastati.

L'essenziale è ricavare del bene da tutto. S. Paolo ci assicura che tutto coopera a bene per chi ama Iddio (274). Sì, tutto, anche i peccati, quando c'è la buona volontà. Da tutto, anche dal peccato, si può ricavare del bene, quando siamo umili. Il peccato è motivo di umiliazione. S. Agostino divenne così grande perché non dimenticava di essere stato un grande peccatore; ma intanto confidava. Non è che uno debba fare dei peccati, no; ma se per disgrazia ne facciamo, procuriamo di ricavarne del bene. Imitiamo i Santi. In Cielo vi sarà pure un Santo che avrà avuto le mie debolezze, le mie miserie. Raccomandiamoci in modo particolare a questi Santi che dovettero combattere contro gli stessi difetti che riscontriamo in noi, ed in modo più speciale ancora a quelli che in Purgatorio dovettero scontare quelle debolezze che tanto ci affliggono. Il Beato Antonio Neyrot, dopo aver per debolezza, rinnegato la fede di fronte al tiranno, si offrì poi spontaneamente al martirio. Questo fatto ci deve confortare. Quelli che hanno perduto la testa qualche momento e dopo si mettono a posto, a me piacciono tanto, perché spesso fanno meglio degli altri.

Confidenza, confidenza. Dopo la confessione, pensiamo alle virtù e non più ai peccati. Noi teste piccole crediamo che il Signore stia sempre a pensare a quel difetto, a quella bugia, a quella malignità... Ma su! un po' d'amor di Dio aggiusta tutto! Se Nostro Signore non ci lasciasse dei difetti - ripeto - non avremmo più nulla da fare! Diffidiamo di noi medesimi e confidiamo totalmente in Dio. Mai perderci d'animo, sempre ricominciare. Nunc coepi! Direi che questo è lo stemma del nostro Istituto.

Se abbiamo questa confidenza, eviteremo lo scoglio del turbamento e degli scrupoli. Nei turbamenti ed incertezze d'animo, atteniamoci sempre alla voce che genera tranquillità. S. G. Cafasso diceva "che non dobbiamo tutti i momenti chiedere perdono; come fra amici intimi non si chiede scusa per ogni piccolezza, così deve essere nei nostri rapporti con Dio. L'amor di Dio lava tutto!". Diceva egli: "Signore, voi lo sapete che non vi voglio offendere, che vi voglio bene; quindi se mi sfugge qualche cosa, non vi voglio neppur chiedere perdono" (275). Se si dovesse star dietro ad ogni minima parola, si finirebbe di non parlar più. Bisogna lasciare nelle mani di Dio quanto si è detto e non pensarci più per non causare inquietudini inutili, anzi nocive. Bisogna andare alla buona con Dio, cioè con amore e confidenza. Lo spirito vivifica, la lettera uccide. La paura e la diffidenza impediscono l'avanzamento nelle vie dello spirito. Per lo più è la superbia che ci fa inquietare, è il voler vedere troppo in fondo.

L'inclinazione al male l'abbiamo tutti: chi più e chi meno, chi in questo e chi in quello; ma in ciò non c'è peccato. Per il peccato ci vuole il consenso. Bisogna star attenti che talora in confessione ci accusiamo di cose che non abbiam fatto, che non sono peccati. Nel dubbio la presunzione sta nella vita che si conduce. Se uno conduce una vita buona, se ha buona volontà, se fa tutto quello che può da parte sua, nel dubbio può star certo di non aver commesso peccato. Non bisogna inquietarci, perché ciò fa perdere la confidenza in Dio.

Taluni, invece di pensare a tendere alla santità, si lasciano impigliare in queste miserie e si accostano alla Comunione sempre con timore. Ma se non si è sicuri di essere in disgrazia, si è in grazia! Tra il peccato mortale e il veniale non vi fosse che lo spazio rappresentato dallo spessore di un foglio di carta, tuttavia c'è e basta!

Lo scrupolo non è una virtù, ma un difetto. Bisogna fare l'esame chiaro e netto. Se hai fatto una mancanza contro la carità, esarninati e domanda a te stesso: "L'ho fatto apposta?". Se no, sta tranquillo! Un Missionario deve avere il cuore grande; se no, farà più niente. Non bisogna perdersi in tante piccinerie, ma essere sciolti. Se non si fa così, c'è pericolo di perdere la testa. Conosco un Sacerdote tanto buono, d'ingegno straordinario, ma pieno di scrupoli. Per deciderlo a dir Messa, bisogna tirarlo sino all'altare. Diciamo al Signore: "Dagli scrupoli, libera nos Domine!". Gesù è il Dio della pace, non del turbamento. Chiediamogli la pace anche per noi, per non lasciarci prendere dagli scrupoli, pur essendo delicati di coscienza.

Scrupoli no! Dubbi no! Tutta roba chiara e netta. Andare avanti con quella tranquillità di spirito che allontana dagli scrupoli. E' questo lo spirito che voglio!

Questa confidenza vi è necessaria anche per l'avvenire, quando sarete nelle Missioni. Verranno scoraggiamenti per le vostre miserie, pel poco frutto, per la solitudine, ecc. Su, su, coraggio. Chi confida nel Signore come il monte di Sion non vacillerà in eterno (276). Se di confidenza non ne avrete un sacco, un deposito, in Missione sarete poi tristi. Un Missionario scrupoloso o anche solo diffidente, non può far del bene, anzi è di tormento a sé e agli altri.

Quali sono i mezzi per avere questa confidenza? Il primo è di chiederla a Dio. Il secondo - dice lo Scupoli - è di "considerare e vedere con l'occhio della fede l'onnipotenza e sapienza infinita di Dio, al quale niente è impossibile o difficile; e che essendo la sua bontà senza misura, con indicibile voglia sta pronto a dare, d'ora in ora, di momento in momento, tutto quello che c'è di bisogno per la nostra vita spirituale e totale vittoria di noi medesimi, ricorrendo a lui con confidenza". Il terzo mezzo è di riandare con la mente alle verità della S. Scrittura che, in tanti luoghi, ci mostra chiaramente che non fu mai confuso chi confidò nel Signore.

Fiducia in Dio

La fiducia è una confidenza amorosa nella Divina Provvidenza, che ci accompagna in ogni passo della nostra vita. I Teologi definiscono la Divina Provvidenza: "l'atto con cui Dio conserva le cose da Lui create, le governa e dirige tutte ad un fine comune e ciascuna ad un fine particolare". Fine comune è la gloria di Dio, la manifestazione dei suoi attributi: omnia propter seipsum operatus est Deus (277). Iddio ha fatto tutte le cose per la propria gloria. Questo fine si consegue sempre. Non sempre invece si ottiene il fine particolare stabilito per ciascuna creatura. La Divina Provvidenza si manifesta sia in ciò che riguarda la conservazione, come in ciò che riguarda la direzione e governo delle creature.

Noi dobbiamo avere una grande fiducia nella Divina Provvidenza. Non preoccupatevi di quello che mangerete né di che vi vestirete (278). La Chiesa ci fa leggere questo bel tratto di Vangelo nella festa di San Gaetano Thiene, che fu tutto della Provvidenza. Egli si propose e impose alla sua nuova Congregazione di vivere delle pure elemosine offerte dai fedeli, senza neppur chiederle. Dice il Breviario che non gli mancò mai nulla del necessario. Così sarà per noi. Il Signore che procura il becchime agli uccelli, procurerà tanto più il sostentamento ai suoi apostoli. Io non ho mai potuto vedere quegli Istituti dove si fa miseria vivendo di pane e minestra. Posto che sia volontà di Dio che accettiamo molti individui e che questi corrispondano, Iddio deve far miracoli, come li fa alla Piccola Casa della Divina Provvidenza. Là sono i poveri corpi che vengono sollevati; per noi si tratta di salvare povere anime. Il Signore è padrone di tutto. Se mandava ogni giorno un corvo a S. Antonio Abate con un pane, manderà anche a noi il pane per mezzo dei benefattori.

Bisogna perciò fidarsi di Lui e corrispondere. Qual'è la nostra corrispondenza, tale l'aiuto che il Signore ci dà. Quanto costa mantenere un Missionario! Ma se noi lo meritiamo, il Signore fa uscire ed entrare; altrimenti fa solo uscire. Il mio fastidio non è che entrino denari, ma che meritiate che entrino. Se venisse a mancare il necessario per andare avanti, andrei dal Signore, o dalla Madonna che ne tiene la borsa, e direi: "O quelli che sono in Missione non fanno il loro dovere, o qui da noi c'è un Amalecita". Certo bisogna aspettarsi delle prove, ma se venisse a mancare quant'è necessario al vostro sostentamento, penserei che qui c'è un Amalecita, e allora verremo e lo scacceremo. Procuriamo da parte nostra di compiere il nostro dovere e di conservare lo spirito, poi stiamo tranquilli: il Signore penserà al resto, anche a costo di far piovere le pagnotte dal cielo, se ciò fosse necessario. Io non dubito della Provvidenza.

Senza questa fiducia nella Divina Provvidenza ci sarebbe da perdere la testa. Alle volte avviene che non c'è danaro per una nota che scade; si arriva a sera che i danari mancano. Però vi assicuro che non ho mai lasciato di dormire tranquillamente per fastidio di danaro. Ebbene, il giorno dopo i danari arrivano e si salda il debito. I danari non vado a cercarli, ma il Signore li manda a tempo; quantunque, se fosse necessario, non mi vergognerei di andar a chiedere l'elemosina per voi. Durante la guerra ero in dubbio se prendere nuovi alunni; ma poi pensai che sarebbe stato mancare di fiducia nella Provvidenza. Quando in un giardino non si mettono le piantine a tempo, non si avranno poi le piante. Mi rallegro del numero e non mi spaventano le spese. Talora l'economo mi porta delle cifre rilevanti, ma non mi spaventano. L'Istituto è sorto per volontà di Dio ed Egli ci penserà. Talora il Signore vuole provarci un pochino e ci fa attendere; vuole con ciò ricordarci che siamo poveri, che il nostro Padrone è Lui. Ma se corrispondiamo, ci benedirà sempre.

La fiducia nella Divina Provvidenza non esclude però il pensare e provvedere all' avvenire. Gesù nel Vangelo proibisce quel troppo affanno che nasce dalla diffidenza in Dio e dall'attacco smoderato alle cose della terra. Nella stessa Piccola Casa della Divina Provvidenza non si sta con le mani in mano. Iddio dice: aiutati, che Io ti aiuto. Nelle comunità mi sembra che, in generale, si vada al difetto opposto. Osservando che quando è tempo di andare a tavola c'è sempre il necessario, provvisto talora con spese ingenti dai Superiori, quasi non si pensa alla Provvidenza di Dio e a ringraziarlo, ma si prende il tutto come cosa dovuta, e talora guai se manca qualcosa! Non così nel mondo, dove ognuno s'industria per tirare avanti.

Sia dunque impegno di voi tutti cooperare al bene comune, avendo cura della roba di comunità, accontentandovi del necessario; e soprattutto, con la vita fervorosa, meritarvi le benedizioni di Dio anche temporali. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in più (279). Così voi, chiedendo ogni dì il pane quotidiano, chiedete in primo luogo la santa Comunione e la parola di Dio, ma poi anche il pane materiale.

Che se Dio provvede con tanta larghezza per le cose materiali, quanto più per le spirituali! Si deve aver fiducia riguardo a tutte le disposizioni di Dio, che in qualche modo ci toccano da vicino. E ciò in due modi: riconoscere anzitutto praticamente che Dio interviene in tutte le cose, anche minime, e le governa e le dirige a nostro bene; poi sottomettersi alle sue disposizioni o dirette o permesse. Sì, o Padre, perché così ti è piaciuto! (280). Il nostro Istituto deve tirar dritto per la sua via, qualsiasi ostacolo venga a disturbarlo. Da parte nostra far le cose con maggior perfezione, ma non turbarsi per quello che succederà. Se il Signore permette il male, è per ricavarne il bene. Abbandoniamoci in Dio; lasciamo tutto nelle sue mani. Egli è padre e fa tutto per il nostro meglio.

Come dell'Istituto, così di ciascuno in particolare. Non si deve temere mai; ma in tutto, anche nelle più piccole cose, sollevarsi a Dio e confidare in Lui solo, qualunque sia il corso degli avvenimenti. Santa Giovanna di Chantal era stata data per spedita dai medici; S. Francesco di Sales, che in lei aveva riposto tante speranze per la fondazione della Congregazione, calmo e tranquillo la preparò alla morte, pensando che se il Signore gli toglieva quell'aiuto, gliene avrebbe dato un altro.

Confidare in Dio, in Lui solo; non poggiare la nostra confidenza nei mezzi umani che sono in noi: talento, forze, virtù, ecc.; o che sono negli altri. San Vincenzo de' Paoli, visitando una Casa della sua Congregazione, in una città della Francia, fu pregato dal Prefetto di quella Città di ottenergli un favore presso la Corte, promettendogli che avrebbe sempre favorito i suoi Religiosi. Rispose il Santo: "Il favore ve lo otterrò; quanto poi alle vostre promesse ne faccio senza, perché voglio che i miei Religiosi ripongano la loro fiducia in Dio solo!".

Applicate la cosa a voi, a tutto ciò che vi può riguardare. Vi sono individui che temono sempre, sono sempre pieni di paure. Certe volte è timidità, ma non va; dovete andare avanti fidando nel Signore. Facciamo sempre quello che possiamo da parte nostra, poi lasciamo tutto nelle mani del Signore, senza timore; Egli lascia mai l'opera a metà.

Vorrei proprio che l'Istituto in genere, e tutti in articolare aveste sempre questa grande fiducia in Dio. Chi in lui confida, non avrà danno (281).

giuseppeallamano.consolata.org