17. LA FEDE

Necessità della fede

La volontà di Dio a nostro riguardo è che ci facciamo santi, ed è questo altresì il fine primario del nostro Istituto. Il mezzo per conseguire la santità comune a tutti, anche ai semplici cristiani, è l'esercizio delle virtù. Cominciamo dalle virtù teologali.

S. Agostino paragona la santità ad un edificio che, per essere innalzato, richiede buone fondamenta: sulle quali poi con materiale ben ordinato si costruiscono diversi piani, finché si giunge al tetto; allora si copre e si perfeziona l'edificio dal basso all'alto. Così della nostra santità: essa si fonda sulla fede, si erige colla speranza e si perfeziona colla carità. Domus Dei credendo fundatur, sperando erigitur, diligendo solidatur (233).

La fede è dunque il fondamento della santità e quindi di ogni virtù. Anche dell'umiltà si dice che è il fondamento delle virtù, ma in altro senso. L'umiltà è fondamento negativo: per modum removentis; la fede è fondamento positivo: per quod scilicet primum ad Deum acceditur. Quando si costruisce una casa, prima si scava: è il fondamento negativo rappresentato dall'umiltà; invece la fede rappresenta il materiale solido positivo, le pietre fondamentali su cui poggia l'edificio.

La fede è necessaria a tutti i cristiani per salvarsi. Senza la fede è impossibile piacere a Dio (234). Questa fede, senza alcun nostro merito, la ricevemmo nel santo battesimo, che ci ricostituì nell'ordine soprannaturale in cui erano i nostri progenitori prima del peccato originale. Bisogna tuttavia distinguere tra la fede che possono avere i semplici cristiani e la fede di un sacerdote o aspirante al sacerdozio. Voi poi, come missionari, dovrete infonderla in tanti milioni di pagani. Se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno dei cieli (235). Vedete preziosità della fede per noi e per gli altri! E voi fortunati per questa sublime missione!

Ma specialmente per noi stessi è necessaria la fede; e non solo come abito ricevuto nel santo battesimo, ma perfezionata con gli atti che rendono ognor più formata la virtù. S. Paolo raccomandava la fede al suo Timoteo: Tu, o uomo di Dio, segui... la fede (236), cioè che la mantenesse e la perfezionasse. Come possiamo fare ciò? Con due mezzi:

1. - Essendo la fede un dono di Dio, dobbiamo chiederla a Lui frequentemente. Nostro Signore, prima di scacciare il demonio da un povero figliuolo, volle dal padre di lui una professione di fede. Questi, che ne aveva poca, pregò Gesù che gliela aumentasse: Io credo, Signore, aiuta la mia incredulità (237). Così anche noi dobbiamo dire sovente al Signore: Signore, aiutaci a credere! Altre volte si può dire: Accresci a noi la fede (238); e anche ripetere con la Chiesa: Da nobis fidei augmentum! Sant'Agostino esorta a recitare sovente e bene il Credo, che contiene le verità della fede come tante perle preziose. S. Antonio morendo, ai suoi discepoli che si aspettavano chissà quali ricordi, raccomandò di star fermi nella fede. Dobbiamo averne tanta fede, essere disposti a professarla pubblicamente, disposti anche a farci bruciare vivi, come i martiri dell'Uganda.

2. - Amare le verità della fede, studiarne la bellezza, la ragionevolezza, i benefizi che ne derivano pel tempo e per l'eternità.

Fede umile e semplice

Tuttavia questo studio non vuol essere fatto comunque, bensì con umiltà e con semplicità.

1. CON UMILTA' - Dice bene l'Imitazione di Cristo: Che ti giova il disputare altamente della SS. Trinità, se poi manchi dell'umiltà, per cui dispiaci alla SS. Trinità? (239). E su questo punto batte e ribatte nei primi tre capitoli. Vi raccomando di leggerli attentamente, come quelli che servono molto bene al nostro scopo. Mons. Gastaldi in seminario li faceva studiare a memoria e li studiai anch'io. È infatti per mancanza di umiltà che abbandonarono la fede gli eretici di tutti i tempi, fino ai modernisti. Ricordate, fra gli altri, l'infelice Lamennais, che si credeva indispensabile alla Francia: "La Francia ha bisogno di me!". Aveva scritto molto bene in difesa del Papato, ma perché era orgoglioso, finì con separarsi dalla Chiesa e morì impenitente.

2. - CON SEMPLICITÀ - S. Agostino ammonisce: "Sorgono gl'ignoranti e rapiscono il regno di Dio e a noi, con tutta la nostra dottrina, lasciano la terra!" (240). Certo, non bisogna credere senza autorità e anche senza ragioni, ma quando vi sono ragioni da credere e chi insegna è verace, allora si crede. Nostro Signore lasciò detto: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli (241). S. Tommaso spiega che la fede non è solo nell'intelletto, ma anche nella volontà, e non la ragione ma la volontà determina a credere (242). Non erano semplici gli Scribi e i Farisei che volevano prendere in parola Nostro Signore, perciò non ebbero fede. Ci vuole semplicità per ottenere di credere.

Chiediamo al Signore questa fede semplice, cosicché se avvenisse un miracolo (Gesù si facesse vedere nell'Ostia Santa o questa si sollevasse in alto), possiamo imitare il re S. Luigi, che non volle andar a vedere. Non aveva bisogno di questo per credere. I nostri occhi si possono ingannare, la fede no. Siamo umili, semplici, non troppo curiosi.

Si può, anzi si deve studiare, approfondire le cose, ma dire sempre: Credo, Domine! Non voler scrutare l'essenza dei misteri; bastano i motivi di credibilità, specialmente l'autorità della Chiesa. S. Pietro esortava così i primi cristiani: Come bambini di fresco nati, siate bramosi del latte spirituale senza malizia (243). Essere semplici come bambini che succhiano il latte che vien loro dato, senza pensare ad altro, senza farci su tante disquisizioni.

In questa casa bisogna che vi sia la semplicità; voglio che siate semplici: il che non vuol dire creduloni. Altro è fede semplice, altro credulità. Nostro Signore ci ha ammoniti: Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe (244). Tuttavia San Francesco di Sales diceva di amare più la semplicità della colomba che la prudenza del serpente. E soggiungeva: "Preferisco essere ingannato per troppa semplicità, che non esserlo per troppa prudenza"; per quella prudenza umana cioè che è contraria alla semplicità di spirito.

I giovani mancano per lo più di questa semplicità, col prurito di sofisticare, disputare e tutto voler capire delle verità di fede, di fare obiezioni a tutto, dubitare di tutto: sia di quanto dice il Professore o il predicatore, sia di quanto si sente nella lettura spirituale o nella meditazione. Si vuol sempre trovare a ridire. "Oh, questa è troppo grossa!". Via, andiamo avanti con semplicità! Una volta che nel trattato vi sono prove sufficienti, perché escogitare delle difficoltà? Credete a quel che vi dicono i libri, che vi sono stati dati da coloro a cui spetta la responsabilità della vostra formazione spirituale e intellettuale. Non son sempre cose di fede, ma credetele ugualmente con semplicità; credete a quel che vi dicono i Superiori, i professori.

Colui che si mette a dubitare di tutto, a poco a poco giungerà anche a dubitare di cose di fede. Saranno poi solo tentazioni; ma disturbano e uno ne ha sempre la testa piena. Questo prurito di dubitar di tutto può condurre all'eresia.

Lo stesso dicasi per ciò che riguarda le divozioni approvate dalla Chiesa; è cattivo spirito voler dubitare e, peggio ancora, gettare il disprezzo su di esse. Se la Chiesa le ha approvate, le approviamo anche noi; se le disapprova, le disapproviamo anche noi. E quando nelle Vite dei Santi si trovano fatti un po straordinari, non bisogna subito dire: "Uh, che goffaggini!". No, non va bene; questi libri van letti con spirito, cioè con desiderio di farne profitto per l'anima propria. Bisogna vivere di vita interiore, allora si capiscono quelle cose. Siate semplici! Perché, vedendo una reliquia, subito dubitare della sua autenticità? Che se per caso non fosse autentica, la venerazione va ugualmente al Santo che intendevamo di venerare. Se si dubita così di tutto, allora si può dubitare persino di essere battezzati! Dunque, umiltà e semplicità nelle cose di fede.

Con la Chiesa e con il Papa

Non basta studiare le verità di fede con umiltà e semplicità, bisogna inoltre studiarle sotto la guida della Chiesa. Lo studio potrà fornirci una scienza teologica, ma non una fede cattolica. Fede cattolica è credere perché la Chiesa ce lo propone a credere. S. Ignazio, nel libro degli esercizi spirituali, dà norme per sentire con la Chiesa; da esse i Gesuiti trassero profitto e così rimasero sempre attaccatissimi alla Chiesa. Le nostre Costituzioni dicono: "I Missionari sono soggetti, come a loro Superiore Supremo, al Romano Pontefice, a cui essi son tenuti ad obbedire in virtù di santa obbedienza" (245). Non si poteva in sì poche parole dire di più e meglio, per esprimere quanto il nostro Istituto e ogni suo membro dev'essere attaccato alla Chiesa. Ubi Petrus ibi Ecclesia (246). Chi non sta col Papa, è fuori della Chiesa.

Il nostro Istituto professa dunque piena sottomissione alla Chiesa e al Papa; e non a questo o a quel Papa, ma al Papa come tale. Le istituzioni durano, in quanto stanno fortemente attaccate a questa rocca, che è indefettibile. E non solo in cose di fede, ma in tutto, anche quando il Papa comanda o consiglia o esprime un desiderio. Non dire allora: "Oh, il Papa in questo non è infallibile!". Noi vediamo le cose più o meno, egli le vede da Papa. Il Papa, anche umanamente parlando vede le cose dall'alto. Roma locuta est! Tutti quelli che rimasero uniti col Papa riuscirono sempre bene; chi si separa, cade e perisce.

Quando il governo italiano, nel 1914, mandò quale suo rappresentante all'esposizione di San Francisco l'ebreo Nathan che aveva insultato il Papa, tutti i cattolici di là decisero di boicottare l'Esposizione: "O via lui, o via noi!". E dovette tornare indietro. Non così certa gente, anche da noi, che sparla del Papa, che gli rimprovera di occuparsi di politica: quasi che questa pure non debba essere regolata dalla giustizia e dalla carità, quindi dalla religione e da chi ne è a capo. Essi non pensano che, anche in queste questioni, il Papa ha un'assistenza speciale. Costoro mancano di umiltà, di semplicità, di obbedienza e vanno evitati. Fuggi costoro! vi dirò con S. Paolo (247). E con S. Giovanni: Se alcuno viene a voi e non reca questa dottrina, non lo ricevete in casa e non lo salutate (248).

Le nostre Costituzioni soggiungono: "I Missionari professano piena sottomissione e devozione alla S. Congregazione di Propaganda Fide; e perciò si faranno sempre uno stretto dovere, non solo di osservarne le prescrizioni, ma di uniformarsi in tutto allo spirito e all'indirizzo in qualsiasi modo manifestati" (249). Il Cardinal Prefetto di Propaganda Fide è per noi il rappresentante diretto del Papa, il nostro vero Superiore. Bisogna che abbiamo fede, che lo riconosciamo per tale e che perciò gli portiamo rispetto, venerazione e obbedienza. Preghiamo i SS. Apostoli Pietro e Paolo che ci diano di essere sempre, sia collettivamente che individualmente, attaccatissimi alla Santa Sede. Questa grazia darà stabilità all'Istituto.

Contro ogni deviazione in materia di fede

Nella vita del Ven. Gian Giacomo Olier, Fondatore della chiesa e del seminario di S. Sulpizio, si legge di un certo Abate Foix, confondatore della stessa Congregazione di S. Sulpizio, il quale, imperversando allora il giansenismo, fu sempre tetragono ai suoi assalti e, fatto Vescovo, per vent'anni ne fu nemico acerrimo. Dopo però si lasciò adescare, ne divenne uno dei più ardenti fautori, uno dei soli tre Vescovi che resistettero alle decisioni di Papa Alessandro VII, e morì lasciando dubitare della sua salvezza. Ogni volta che leggo questo fatto provo una specie di spavento. Prima santo poi eretico! (250).

Ai nostri giorni (1907) è sorta e si spande certa setta peggiore del giansenismo, vera eresia, anzi apostasia della fede: il modernismo o meglio, come lo chiama la Civiltà Cattolica: riformismo (251). Certuni per amore di novità e spinti dalla superbia, si arrogano di giudicare tutto nella Chiesa: dal Papa ai dogmi, alla morale; su ogni cosa più santa spargono dubbi e vorrebbero sopprimere dai Vangeli e dalla Tradizione quanto non va loro a genio. Dicono di volersi così avvicinare agl'increduli ed agli eretici per convertirli, e non s'avvedono di essere caduti essi stessi nell'eresia. Tutto ciò è essenzialmente superbia. Non so come facciano a pregare, a dir Messa, a fare la santa Comunione. Ora poi fanno come i giansenisti che al Papa rispondevano col silenzio esterno.

Non avrei voluto parlarvene, perché qui, grazie a Dio, la fede è semplice; ma il Papa replicatamente si fa sentire e tutti i Vescovi sono impensieriti. Il nostro Card. Arcivescovo, Agostino Richelmy, scrisse su ciò una Lettera Pastorale, che v'invito a leggere con affetto.

Il male è grave ed il Papa, in un'allocuzione, disse di essere più dolente di ciò che dei mali della Francia. Egli prescrisse ai Vescovi di scacciare dai seminari i professori e gli alunni che ne fossero infetti. Vi basti questo per tenervi lontani da questa peste e confermarvi nella vera fede: santa, cattolica, apostolica, romana!

Noi professiamo nelle Costituzioni di essere col Papa in tutto e sempre. Anche nelle cose libere noi vogliamo essere col Papa. Se qui dentro qualcuno la pensasse differentemente dal Papa, anche in cose non di fede e di morale, non fa per noi. Noi vogliamo essere "Papalini" in tutto il senso della parola. Per carità, state attenti! Un Missionario che non abbia questa fede semplice ed integra, da trovare alla sera la sua consolazione ai piedi di Gesù Sacramentato, che farà? Quando non c'è questa fede umile, semplice ed integra, non c'è più nulla.

Se dunque qualche libro, qualche sacerdote o chierico a noi si avvicinasse infetto da tale peste, diciamogli: Vade retro, satana! (252). Preghiamo che il Signore ci conservi nella nostra fede semplice e umile, allontanando da noi, come già vi dissi, il prurito di sofisticare e sempre formarci delle obiezioni. Vivamente prego il Signore che tenga da ciò alieno il nostro Istituto, piuttosto lo annienti. Sì, meglio che moriamo tutti, prima di essere macchiati di questa pece. Che se qualcuno ne venisse macchiato, sia scacciato senz'altro, perché non infetti gli altri.

Il Papa e i Vescovi sono assolutamente contrari a questa cosa, e basta! Diceva a proposito di questo errore il già citato Mons. Rossi, Vescovo di Pinerolo: che prima si detesta, poi se ne ride e poi lo si abbraccia. Attenti! Voglio che prendiate il modernismo, come eresia, talmente in odio che anche se si presentasse sotto buone apparenze, gli diciate: indietro, indietro, satana! Preghiamo il Signore che ci tenga la sua mano sul capo. Adauge nobis fidem!

Spirito e vita di fede

Vi ho parlato della fede. Voi mi direte che, grazie a Dio, la fede l'avete e la tenete ben cara; che se talora il demonio vi suggerisce pensieri contrari, tosto li rigettate e disprezzate. Bene, voi avete la fede teorica; ma possedete la fede pratica?

Non basta infatti avere la fede. L'hanno anche i demoni. Essi credono e tremano (253). Se la nostra fede non si esplica nelle opere, è fede morta. Fides sine operibus mortua est (254). Bisogna vivere di fede. Il mio giusto vive di fede (255). Tale fede pratica ebbero i Patriarchi, come dimostra S. Paolo scrivendo agli Ebrei.

Ora, per avere lo spirito di fede e cioè per vivere di fede, non basta aver ricevuto l'abito della fede nel santo battesimo, non basta fare qualche atto di fede al giorno, come nelle preghiere del mattino e della sera. Vivere di fede significa vivere conforme ai dettami della fede. Lo spirito di fede deve pertanto accompagnarci in ogni atto della vita di comunità, dal mattino alla sera, di giorno e di notte. La fede dev'essere il principio e la regola dei nostri sentimenti e di tutto il nostro operare. Abbiamo lo spirito di fede, se riguardiamo tutte le cose secondo il criterio che ci somministra la fede, se le giudichiamo al suo lume, se le stimiamo giusto il valore ch'essa loro attribuisce. Insomma, dice bene il Chaignon, la vita di fede consiste in un convincimento vivo e profondo, che chi l'ha, ne porta seco dovunque la salutare impressione. Veniamo alla pratica.

PENSIERI - Tutti i nostri pensieri devono essere conformi alla fede. Certo non siamo padroni di quei pensieri che vengono all'improvviso, ma ne siamo padroni quando ce ne accorgiamo. Via dunque i pensieri inutili e quei pensieri che, ove fossero manifestati, ci causerebbero vergogna. Quando ci accorgiamo di un pensiero, diciamo a noi stessi: Questo pensiero piace a Dio? Sì, Dio solo! Tutto di Dio, tutto da Dio, tutto in Dio!

GIUDIZI - Dai pensieri nascono i giudizi: giudizi sui compagni, sulle disposizioni dei Superiori; giudizi sugli avvenimenti passati o presenti; giudizi sulle cose della terra: onori, ingegno, roba, ecc. Quid hoc ad aeternitatem? Si legge nella vita di S. Giuseppe Benedetto Labre che, passando egli un giorno tutto lacero e cencioso davanti a un signore, si sentì rivolgere questa esclamazione di commiserazione: "Povero disgraziato!". Il Santo tutto giulivo si fermò e rispose: "Oh, no, non sono disgraziato, sono in grazia di Dio! ". Vedete, quel tale giudicava secondo lo spirito del mondo, invece il Santo secondo lo spirito di fede. E così dicasi dei falsi giudizi che altri possono fare di noi. Che importa? Chi mi deve giudicare è il Signore! (256).

AFFETTI - I nostri affetti sono tutti regolati dallo spirito di fede? Non abbiamo alcun affetto o attaccamento in contrasto con questo spirito? Non parlo di affetti cattivi, di amicizie particolari; qui dobbiamo amarci tutti come fratelli, dobbiamo non saper dire chi amiamo di più. Parlo di quegli attaccamenti che uno può avere anche ad una cosa da niente, ma che gli impediscono di essere indifferente a tutto, per poter essere tutto di Dio. Talvolta per un'immagine, per un libro, si mette a soqquadro tutto e tutti. "È mio! ". Macché tuo, è di Dio!

PAROLE - La bocca parla della pienezza del cuore (257). Se il cuore è pieno di Dio, si riversa nelle parole. Le nostre parole perciò dovrebbero sempre essere improntate a pietà, carità, prudenza, non discorsi umani, profani, carnali. Vedete: nel 1877, quale Direttore spirituale nel seminario di Torino, facevo una predica sulla fede e dicevo le stesse cose che dico adesso a voi. Nelle ricreazioni si parla di mille storie e mai si parla di cose di fede. Non è la prima volta che vi dico queste cose; se insisto, è perché gli dò molta importanza.

OPERE - In tutto ciò che facciamo, dobbiamo regolarci secondo lo spirito di fede, specialmente in quelle azioni che riguardano più direttamente il servizio di Dio, noi sacerdoti soprattutto. Mons. Gastaldi, durante la visita pastorale in una parrocchia, avendo trovato i corporali e gli altri lini sacri non affatto puliti, mentre invece la lingeria di casa era tutta linda, si rivolse al parroco: "Lei crede alla presenza di Nostro Signore nel SS. Sacramento?" - "Ma, Monsignore, mi fa un torto!" - "No, no, risponde: ci crede o non ci crede?" - "Certo che ci credo!". - "Tanto peggio! Se lei non credesse, sarebbe scusato, ma poiché crede, è un sacrilegio!". Se interrogassi io ciascuno di voi: "Credi tu alla presenza reale di Nostro Signore nell'Ostia consacrata?", alla vostra risposta affermativa, potrei domandarvi: perché allora quella genuflessione così mal fatta? perché quelle distrazioni volontarie? perché quella noia nella Visita al SS. Sacramento? perché quel non ricordarsi di Nostro Signore lungo il giorno?... No, non basta avere una fede puramente teorica, astratta; bisogna avere una fede pratica, conformando ad essa tutte le nostre azioni.

PORTAMENTO - Anche nel nostro portamento esteriore tutto dev'essere conforme allo spirito di fede. Non voler tutto guardare, né tutto udire; non essere curiosi delle cose del mondo, ma unicamente desiderare le cose di Cielo. Lo Spirito Santo ci esorta: Fa una siepe di spine alle tue orecchie (258). Anche per ciò che riguarda il senso del gusto, saperci sollevare a un cibo più sostanziale: tanti bocconi, altrettante Comunioni spirituali. Insomma, spirito di fede in tutto il nostro comportamento. Sempre portiamo nel nostro corpo le sofferenze di Gesù (259). Quindi: modestia sempre, in tutto, dappertutto.

Cerchiamo dunque di ravvivarci nella fede viva, operativa. Per andare a Dio non son necessarie tante parole, ci vuole un grande spirito di fede. Che se tutti devono avere questo spirito di fede, quanto più i Missionari! Senza di esso in Missione che si farà? Con esso, invece, non ci troveremo mai abbandonati; il Signore discenderà con noi nella fossa dei leoni, come fece con Daniele. Tutti possono abbandonarci, ma non Iddio. Se uno vive di fede, allora la stessa responsabilità, anche delle cose più importanti, svanisce; perché si pensa che da noi soli possiamo nulla, ma con Dio siamo onnipotenti. E' in questo senso che la Chiesa ci fa chiedere: augmentum fidei. Non si tratta tanto di chiedere la fede teologica, l'abbiamo già, ma la fede pratica, lo spirito di fede; e di accrescerlo sempre più. Di S. Giuseppe Cottolengo si dice che aveva più fede lui che non tutti gli abitanti di Torino. Fede vivissima ci vuole, fede pratica. Neppur uno dei capelli del nostro capo va perduto, che Iddio non lo voglia. Capillus de capite vestro non peribit (260). Ah, se si avesse una fede pratica, non vi sarebbero tante miserie! Perciò chiediamo un aumento di fede. Sempre un pizzico di fede che domini tutto.

Concludendo: quali benefici apporta questo spirito di fede? 1° Un grande premio in Paradiso, essendo che tutte le nostre opere, vivificate da questo spirito, sono meritorie di vita eterna. 2° Tanta consolazione in vita e grande pace in morte. 3° La fecondità del nostro ministero. 4° Ci porta all'esercizio di tutte le virtù, specialmente dello zelo e del sacrificio. Per contro, la mancanza di fede porta seco: inettitudine al dovere, pene, peccati, poi anche l'indurimento del cuore con l'impenitenza finale

giuseppeallamano.consolata.org