11. COME OPERARE LA NOSTRA SANTIFICAZIONE

Hic et Nunc!

Vi ho detto poc'anzi: non richiedersi da chi entra in Religione la santità in atto. Ora aggiungo, o meglio, ripeto che costui deve dar subito mano all'opera della propria santificazione, senza perdere un sol giorno, un'ora sola di tempo. Hic et nunc!

Qui, in questa Casa. Se non preparate qui una buona dose di virtù, in Missione anziché salvare le anime, correrete pericolo di perdere persin la fede. Dice il Dubois nel suo bel libro La guida del seminarista: che dei chierici del seminario divenuti sacerdoti, i soli che coll'età vanno perfezionandosi son quelli che già da seminaristi camminavano nella via della perfezione (152). Non è invece raro il caso di vedere cattivi seminaristi essere preti peggiori; tiepidi, farsi cattivi; buoni, diventare tiepidi; fervorosi, scendere giù e restarsene al grado di buoni. Ciò che questo autore dice dei chierici del seminario, applicatelo a voi. E' più facile constatare in Africa dei regressi nella perfezione, che non dei progressi. Se da questa Casa uscirete semplicemente buoni, non certo migliorerete né vi santificherete in seguito.

C'è poi una seconda ragione per incominciare subito, ed è la facilità che qui avete di santificarvi. Le regole non sono difficili a osservarsi. Se ve ne fossero delle difficili, il motivo che vi spinge ad osservarle, cioè l'amor di Dio, ve le renderebbe facili. Se vi comandassi di far miracoli, di digiunare a pane ed acqua, di flagellarvi, di alzarvi la notte per Mattutino, potreste dire che non è facile. Nulla invece di questo. Non si tratta che di osservare la regola, far la volontà dei Superiori, essere fedeli agli obblighi del proprio stato, attendere con impegno allo studio, insomma far bene ciò che dovete fare. E' difficile tutto questo?

Qui, inoltre, Dio vi fornisce di molte grazie particolari proprio per voi, per la vostra santificazione: grazie che non dà fuori di qui. Tutto qui è ordinato a questo, tutto, tutto: dal materiale allo spirituale, dalla levata all'ora del riposo. Aggiungete l'esempio dei compagni fervorosi che vi costringe a riflettere su di voi e vi sprona di continuo, quasi vi dicesse: Si isti et illi, cur non ego? (153). Sì, qui dentro il santificarvi è facile. Chi vi mette paura è il diavolo. "Tu farti santo!?". E perché no? Siamo qui per questo, è il nostro primo dovere, lo scopo primo della nostra vocazione, il mezzo primo d'apostolato.

In pratica come già vi ho detto, tutto sta nell'incominciare, fare il primo passo nel sentiero stretto delle rinunzie; poi subito il Signore interviene con la sua grazia a rendere facile il difficile, desiderabile il disgustoso alla natura, e si corre nella via della santità con cuore largo, aperto, con sempre maggiori effusioni della grazia, con volontà protesa a sempre più alte vette di perfezione. Corsi la via dei tuoi comandamenti, quando tu dilatasti il mio cuore (154). Un altro motivo che deve invogliarci a non perdere un tempo sì prezioso è che di tutte le grazie che qui ricevete, dovrete rendere strettissimo conto a Dio. E quante grazie in questa Casa! E una pioggia, un profluvio di grazie che ad ogni ora si riversano sull'Istituto e su ciascuno dei suoi membri. Ora voi lo sapete: le grazie di Dio sono così, che portano santificazione o condanna a seconda che vi corrispondiamo o no. Di esse si può dire che son poste a rovina o a risurrezione di molti. Di Giuda sta scritto: che era meglio per lui che non fosse nato quell'uomo(155); e io dico a voi: meglio per voi se non foste venuti nell'Istituto piuttosto che disprezzare tante grazie, starvene qui freddamente, operare negligentemente.

Ricordate ciò che S. Paolo dice degli Ebrei in viaggio verso la terra promessa: tutti avevano lasciato l'Egitto, avevano tutti passato il Mar Rosso a piedi asciutti, godettero tutti del beneficio della nube, si dissetarono tutti alla stessa fonte miracolosa, mangiarono tutti della manna del cielo, ma non tutti arrivarono alla meta. Perché? Risponde S. Paolo: della maggior parte di loro non si compiacque il Signore (156). Voi in questo Istituto siete come gli Ebrei colmati di grazie speciali. Entrando in Religione siete stati trasportati dall'Egitto del mondo in un ambiente tutto soprannaturale. Anche voi, miei cari, avete passato il Mar Rosso di questo mondo, l'avete lasciato quasi miracolosamente senza restarne sommersi come tanti altri; il Signore che vi voleva suoi apostoli vi assistette nei pericoli e, per un tratto di divina predilezione, vi condusse per mezzo di buone ispirazioni, di saggi consigli, in questo deserto che vi prepara alle Missioni cui anelate. Qui non mancate di nulla, qui avete la nube dell'obbedienza e delle regole che vi libera dai raggi cocenti delle passioni e specialmente dalla propria volontà. Qui siete nutriti della manna celeste della divina parola: nelle prediche, meditazioni, letture spirituali e ammonimenti dei Superiori; ogni giorno ancora potete satollarvi della manna celeste della SS. Eucarestia. Quante grazie divine, come acqua da fonte perenne, cadono ogni istante su di voi, per fare in voi germogliare e crescere le virtù, rendervi idonei a entrare un giorno nella terra promessa delle Missioni! Con tanti mezzi di santificazione non dovremmo noi tutti farci santi? O dovrà dirsi di noi, come degli Ebrei: della maggior parte di loro non si compiacque il Signore?

Ciò potrebbe anche avvenire, e per lo più avviene, perché uno non tiene continuamente di mira il fine per cui è entrato nell'Istituto che è la maggior santificazione nostra, per essere poi idonei strumenti alla conversione di un maggior numero di anime. Si vive in comunità così alla buona, contenti di una certa bontà, non cercando e non usando i mezzi per farsi santi. Sempre gli stessi difetti, senza il coraggio di darsi una buona volta e generosamente a quella vita di perfezione a cui Dio ci chiama. Quindi se proprio non si prova nausea delle pratiche di comunità, come gli Ebrei della manna, non si corre come vuole il Signore e cioè, come dice S. Paolo, in modo da far nostro il premio: Corro allo stadio, ma non come alla ventura; fo del pugilato, ma non dando colpi all'aria (157). Costoro in comunità hanno tutti i benefici di Dio come nube continua, ma non ne approfittano.

Dobbiamo farci santi e incominciare subito. Coloro che, anche senza aspettare in Missione, rimandano tuttavia l'opera della propria santificazione a un domani più o meno prossimo, s'ingannano e non incomincieranno mai. Hodie si vocem ejus audieritis (158). Oggi, non domani. State attenti, perché non sapete se riudirete la voce del Signore. Quanti han fatto i sordi nella speranza di riudirla e nell'illusione di assecondarla poi, e si sono perduti!... E poi la grazia d'oggi non vi sarà certo più domani. La grazia che tu trascuri in questo momento, non la riceverai mai più. Ne riceverai altre, ma non più questa; e di questa dovrai pur rendere conto a Dio.

Le tre classi

Venendo al pratico io dico che le persone che tendono alla perfezione si possono distinguere in tre classi, come già fu detto per la corrispondenza alla vocazione (159).

La prima classe è di quelli che si fanno una grande idea della perfezione, ne conoscono la necessità, ne concepiscono anche molti desideri, ma si fermano qui e non si applicano ai mezzi che vi conducono. Ora, altro è sapere e altro il praticare; altro il conoscere la necessità della perfezione ed altro l'applicarsi a raggiungerla; altro il desiderio, altro il fatto. E' vero che S. Teresa ci esorta ad avere grandi desideri (160), ma qui si tratta di desideri efficaci, accompagnati dalle opere. L'inferno è pieno di desideri effimeri e di propositi di convertirsi poi... In certe comunità si vedono individui che son sempre allo stesso grado di virtù o, meglio, di mancanza di virtù: dal loro ingresso in Religione sino alla fine della vita. Avevano desideri di perfezione quando entrarono in Religione, poi quando entrarono in noviziato, poi alla professione... e intanto son sempre gli stessi, con gli stessi difetti di superbia, accidia, immortificazione; certamente non sono mai di esempio alla comunità, che li sopporta e non li piange quando ne escono o muoiono. Costoro passano una vita piena di grazie senza approfittarne e, alla fine, si trovano con le mani vuote e con un terribile rendiconto da rendere. Sono come il fico sterile di cui parla il Vangelo, o come la terra che non produsse frutto anche dopo le rugiade e le piogge. Felice la comunità che sa a tempo sbarazzarsene! Costoro - poiché sanno usarsi tutte le cure - vivono più a lungo degli altri a sfacelo della disciplina e della pace religiosa. Questa è purtroppo la storia di qualche monastero... Voglia Iddio che ciò non sia mai del nostro Istituto!

La seconda classe è di coloro che non si contentano di semplici desideri, fanno qualche cosa, fanno qualche passo nella via della perfezione, ma non plus ultra. Intendono perfezionarsi a loro modo, venendo a patti con Dio; non son generosi a rispondere alle divine chiamate, non sacrificano certe inclinazioni, non sono indifferenti agli uffici, non si spogliano dell'attacco ai parenti, son legati a piccoli comodi, non hanno il coraggio di provare gli effetti della povertà. Gesù non accetta queste mezze misure, non vuole queste riserve e si ritira da loro. Quindi non godono vera pace in vita e radunano materia per il Purgatorio. Di questi ve ne sono purtroppo in tutte le comunità.

La terza classe è di quelli che non rifiutano alcun mezzo per farsi santi, non ammettono dilazione, lottano senza riposo. S. Ignazio dice di loro: "Con animo grande e generoso portano nel servizio di Dio tutto lo studio e lo sforzo". Gli sacrificano tutto, specialmente la propria volontà. E' così che si fanno i Santi. E non è poi tanto difficile; basta, ripeto, fare con coraggio il primo passo.

Dice S. Roberto Bellarmino, in riferimento a queste tre classi che i primi sono malati che non vogliono prendere medicine; i secondi accettano solo le medicine dolci e gustose; i terzi nulla rifiutano di amaro per guarire. Il mio pensiero si porta al vostro avvenire e dico: apparterrete tutti alla terza classe? o alcuni di voi passeranno alla seconda ed anche alla prima? questione di volontà ferma e costante.

La "nostra" santità

La santità consiste di due cose: nulla fare di male e fare tutto il bene possibile. Declina a malo et fac bonum (161). La santità allontana dal male, fa operare il bene e dispone al più perfetto.

1° ALLONTANA DAL MALE: non solo si deve evitare i peccati mortali, il che è troppo evidente, ma anche i veniali deliberati. Inoltre, diminuire il numero e la volontarietà delle quotidiane imperfezioni ed infedeltà nel servizio di Dio. Insomma, combattere e correggere i propri difetti. Chi non facesse questo, non sarebbe certo sulla via della perfezione.

2° FA OPERARE IL BENE. Oltre la fuga dei peccati e l'emendazione dei difetti, si richiede la santità positiva nell'esercizio costante e generoso di tutte le virtù, in particolare - per noi - delle virtù religiose.

3° DISPONE AL PIU' PERFETTO: ad una perfezione cioè sempre maggiore. La santità vostra, infatti, di Missionari, dev'essere una santità maggiore di quella dei semplici cristiani, superiore a quella dei semplici Religiosi, più distinta che quella dei sacerdoti secolari. La santità dei Missionari dev'essere speciale, anche eroica e, ad occasione, anche straordinaria da fare miracoli. Alcuni Santi, come S. Teresa, S. Francesca di Chantal, S. Alfonso, ecc. fecero il voto del più perfetto. A noi basta seguirlo senza legarci con voto, sebbene di anime che lo facciano e lo praticano ne conosco io stesso.

Queste mie parole vi faranno forse impressione e anche sconcerteranno alcuni di voi. Bene, dev'essere così; altrimenti chi rimanesse impassibile, direi subito che è un presuntuoso, o piuttosto un indifferente che non comprende l'altezza del proprio stato. Costui o non è chiamato o non vuol corrispondere alla vocazione, che esige tale santità. Io non parlo a costoro che qui per altro non dovrebbero esserci. La mia parola è pei desiderosi di acquistare la santità propria del missionario. Questi io esorto e scongiuro con tutto l'animo a far tesoro delle mie parole, per riuscire santi, più santi, come richiede il loro stato. Ed io vi parlo non solo direttamente, ma per mezzo dei Superiori che avete ed anche per mezzo delle regole, delle letture spirituali, delle ispirazioni dell'Angelo Custode e di Nostro Signore stesso che dalla cappella presiede e dirige l'Istituto.

Poi un altro punto importante: non dimenticate mai che la santità a cui aspirate quali Missionari della Consolata non vuol essere una santità a capriccio, praticando ciascuno ciò che più gli piace; ma vuol essere una santità che si concretizza nel seguire le norme che vi danno i legittimi superiori, nonché la via tracciata dalle costituzioni e dal direttorio, conforme a ciò che già vi ho detto. Non tutti i mezzi sono uguali per tutti nel tendere alla perfezione. Sbaglierebbe, ad esempio, chi preparandosi ad essere religioso-missionario, volesse seguire le regole dei Certosini o dei sacerdoti secolari. Ogni Istituto ha il suo carattere e i propri mezzi di santificazione. Una è la santità, ma varia ne è la forma e diverse son le vie per giungervi. Ciò dovete tenere ben presente, miei cari, allorché qualcuno, che non ha da Dio questa missione, trova che qui dentro s'insegna e si pratica diversamente da altri luoghi.

Vorrei inoltre che la vostra perfezione fosse una cosa seria e soda, e non a sbalzi. Sì, veramente ho da rallegrarmi con voi per quanto vado osservando. Vedo in tutti un aspetto limpido e sereno, segno di anima tranquilla, di coscienza pura. Vi osservai in chiesa e godetti all'udirvi pregar bene, con spirito di fede interna ed esterna. Posi speciale attenzione al come eseguite le sacre cerimonie e mi rallegro con voi perché le eseguite bene, con precisione; si vede il frutto dell'esercizio di tutto l'anno. Continuatene lo studio che mi sta tanto a cuore, e giungerete a compierle perfettamente.

Lasciate tuttavia che, come padre a cari figli, vi dica che ciò non basta. Io vedo nella comunità una santità troppo comune e senza prove. Mi spiego: voi siete buoni, pii, obbedienti quando tutto procede secondo il vostro genio e la vostra volontà; ma se viene un'osservazione, una correzione dei Superiori, un contrasto ai vostri desideri; ecco che allora appare la vostra debole e poca virtù: borbottamenti, giudizi contrari od anche solo commenti interni.

Miei cari, è qui, in tali circostanze, che si prova la vera virtù, non quando tutto va liscio. Esaminatevi se succede così tra voi. Non voglio dire di tutti e sempre, ma è pur vero che non tutti e non sempre vi sforzate di perfezionarvi nelle occasioni che Dio vi manda per farlo. La santità esige violenza. Tantum proficies, quantum tibi ipsi vim intuleris, dice l'Imitazione (162). S'inganna chi non si studia di vincere ogni giorno o di frenare le proprie passioni inclinate più al male che al bene. Ah, quella ripugnanza e difficoltà a fare molti piccoli sacrifici è segno che non vi formate a soda virtù, non tendete sul serio alla perfezione! E se, come di dovere, volgiamo il pensiero all'avvenire, in Missione apparirà ben più la debolezza delle vostre virtù e la conseguenza di non esservi qui formati seriamente. Un'obbedienza un po' costosa, una difficolta, un po' di aridità vi getterà per terra. Dice bene l'Imitazione che le occasioni non fanno l'uomo fragile, ma dimostrano quale esso è (163).

Sia dunque questo il vostro proposito: darvi subito, con tutta energia all'acquisto della vera santità, non battendo l'aria con effimeri desideri, ma con esercitarvi praticamente nelle piccole prove di ogni giorno, procurando di riuscire vittoriosi.

Far bene tutte le cose

Leggiamo nel Vangelo che, dopo il miracolo operato da Gesù della guarigione del sordomuto, le turbe meravigliate esclamarono: Bene omnia fecit! (164). Non vi pare che, come conseguenza del miracolo, avrebbero dovuto esclamare, come già altre volte: "Ha fatto cose grandi, cose strepitose, vidimus mirabilia hodie?" (165). Invece: "Ha fatto bene tutte le cose!" Con queste parole le turbe fecero di Gesù il più bell'elogio che potessero fare: affermando che non solo nelle cose straordinarie, ma anche nelle ordinarie e comuni faceva tutto bene. Bene omnia fecit! Queste tre parole meriterebbero di essere scritte su tutti i muri della Casa e bisognerebbe che alla nostra morte si potessero scrivere sul nostro sepolcro. Non scrivere: "Ha fatto miracoli", ma piuttosto e semplicemente "Ha fatto bene ogni cosa".

Certo è che Nostro Signore fece sempre tutto bene, tutto con infinita perfezione: le grandi e le piccole cose. Il Divin Padre volle ch'Egli assumesse un corpo mortale e vivesse come ognuno di noi, percorrendo i vari stadi della vita umana, dall'infanzia alla virilità. Così infatti Egli fece compiendo le azioni proprie della sua età, manifestandosi gradatamente col crescere degli anni e facendo ogni cosa, anche se piccola e ordinaria, con perfezione e cioè in conformità alla volontà del Padre, nonché con purissimo e altissimo fine, sì da compiacere sempre e in tutto il Divin suo Padre. Questi è il mio Figlio diletto, nel quale ho riposto le mie compiacenze (166).

E noi?... Abbiamo noi finora fatto bene tutte le cose? Nessuna azione peccaminosa, mai? Nessuna in opposizione alla volontà di Dio? Nessuna con fine men che retto? Perché noi siamo in questo mondo unicamente per amare e servire il buon Dio; quindi tutto ciò che non è conforme alla volontà di Lui, che non è fatto per piacere a Lui, non è ben fatto. Deploriamo dunque il passato e proponiamo per l'avvenire di far si che tutte le nostre azioni siano buone in sé e siano fatte con retto fine, con perfezione. Non basta che il servo compia materialmente il suo dovere più o meno bene, deve compierlo in modo da accontentare il suo padrone: con prontezza, con esattezza, con buona volontà. Non basta fare il bene, bisogna farlo bene, come diceva S. G. Cafasso. Non basta dire il rosario, bisogna dirlo bene, se studiamo studiare bene; se lavoriamo lavorare bene e così di tutte le azioni della giornata.

Ecco, o miei cari, la santità che io vorrei da voi: non miracoli ma far tutto bene. Ci sono dei Santi che, vita durante, non fecero miracoli, ad esempio S. Vincenzo de' Paoli. Tutti però cercarono sempre la perfezione in tutte le cose. Fortunato il sacerdote, il chierico, il coadiutore che, inginocchiandosi alla sera davanti a Gesù Sacramentato, può affermare in coscienza: Bene omnia feci! Peccati non ne ho fatti, ma ho fatto, o almeno ho cercato di fare bene tutte le mie azioni... Questa è la differenza che passa tra il Religioso perfetto e il tiepido o cattivo: il primo fa bene tutto ciò che ha da fare, cercando di farlo con la maggior perfezione possibile; l'altro fa tutto con negligenza o senza la dovuta retta intenzione.

Contentiamoci dunque di farci santi nella via ordinaria. Il Signore, che ha ispirato questa fondazione, ne ha anche ispirate le pratiche, i mezzi per acquistar e la perfezione e farci santi. S'Egli ci vorrà sollevare ad altre altezze, ci penserà Lui, noi non infastidiamoci. Certa gente cerca sempre le cose grandi, straordinarie. Non è cercare Dio, perché Egli è tanto nelle cose grandi come nelle cose piccole; perciò bisogna star attenti a far tutto bene. I Santi sono santi non perché abbiano fatto dei miracoli, ma perché bene omnia fecerunt. Non chiedetela al Signore la grazia di far miracoli: è una di quelle grazie che si chiamano gratis datae, che il Signore dà solo a chi vuole, e che non sono affatto necessarie per la nostra santificazione. Io non voglio che questa sia la casa dei miracoli; abbiamo tante altre cose da fare, prima di far miracoli. Il miracolo che io voglio da voi, è di far tutto con perfezione, dal mattino alla sera. Di S. G. Cafasso fu scritto : "che era straordinario nell'ordinario". Delle cose straordinarie non si dà spesso l'occasione; invece le ordinarie occorrono ogni giorno e tutto il giorno. A me non interessa se avrete dato diecimila battesimi, ma se sarete stati ottimi Religiosi, ottimi Missionari, ferventissimi, fedelissimi, accuratissimi. Sì " issimi " in tutto. Non cose straordinarie, ma straordinari nell'ordinario. Facciamoci santi senza strepiti. Non è fare tante cose che importa, ma farle bene!

Per far bene tutte le cose

E quali sono i mezzi per conseguire questa perfezione in tutte le cose? Lo stesso S. G. Cafasso ci suggerisce alcune considerazioni che ci aiutano a far bene le azioni ordinarie della giornata (167).

1. - La prima è di fare ogni cosa come la farebbe Nostro Signore. San Basilio dice che ogni azione del Salvatore è una regola. Noi dobbiamo conformarci a Lui, far tutto come lo farebbe Lui, in modo che sia Gesù a vivere e operare in noi. Ma per questo bisogna far tutto bene, altrimenti gli faremmo fare cattiva figura ed Egli potrebbe dirci: "Oh, non sei la mia immagine, non son Io che vivo in te, perché Io le cose non le farei a questo modo!". Domandarci perciò ad ogni azione: "Se Gesù fosse al mio posto, come farebbe? penserebbe così? parlerebbe così? agirebbe così?". Ah, se tenessimo presente questo pensiero, come faremmo bene tutte le cose! Vorrei proprio che qui dentro ciascuno di voi fosse una vera copia, un'immagine vivente di Nostro Signore. Tutti i Santi cercarono sempre di conformarsi a Nostro Signore. Quelli che egli ha preconosciuti, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine di suo Figlio (168).

2. - La seconda considerazione è di far tutte le nostre azioni come vorremmo averle fatte quando ce ne sarà chiesto conto al tribunale di Dio. Dice l'Imitazione di Cristo che coloro che in vita si conformarono a Gesù Crocifisso, andranno al suo tribunale con grande fiducia. Non bisogna dunque aver paura di giudicarci fin d'ora, per essere poi tranquilli al tribunale di Dio. Quando andate in chiesa, specialmente nella Visita a Gesù Sacramentato, ditegli che vi giudichi adesso che è tempo di misericordia, affinché non abbia poi a giudicarvi quando sarà giusto Giudice. Juste Judex ultionis, donum fac remissionis, ante diem rationis! Poi fare l'esame: Oggi sono stato fervoroso, obbediente, caritatevole? E si ascolta la sentenza. Il Signore sa tutto, vede tutto, anche quello che i Superiori non possono vedere o conoscere.

3. - La terza considerazione è di fare ogni cosa, ogni azione, come se fosse l'ultima di nostra vita. Non differisce molto dalla precedente, tuttavia un poco sì; perché qui si tratta dell'azione particolare che sto facendo. Di ogni azione S. Bernardo si domandava: Se tu dovessi morire in questo momento, la faresti la tal cosa? (169) o la faresti in quel modo? Il mio antecessore nella reggenza del Convitto [ L'antecessore del S. di D. Giuseppe Allarnano fu il canonico Bartolomeo Roetti che fu Rettore del santuario della Consolata e del Convitto Ecclesiastico dal 1872 al 1880. Rinunciò ad entrambi le cariche per malferma salute e per difficoltà nella direzione. (V. L. Sales, "Il S. di D. G. Allamano", 3° ediz., pag. 87). Fu in seguito eletto Vicario Generale della archidiocesi di Torino dal Card. Gaetano Alimonda. Morì nel 1894 a Covour (Torino), suo paese nativo. ], dopo aver celebrato la santa Messa, si ritirò in camera e lì fu trovato morto sul letto. Era stata la sua ultima Messa! Ricordate il fatto di S. Luigi. Interrogato durante la ricreazione che cosa avrebbe fatto se avesse saputo di dover morire subito dopo, rispose: "Continuerei a giocare". Egli era sul dovere e lo faceva per amor di Dio, quindi era pronto. Così voi: qualunque cosa facciate fatela in modo da essere tranquilli, anche se la morte vi cogliesse subito dopo.

4.- La quarta considerazione è di fare ogni cosa come se non si avesse altro da fare. Avviene sovente che, mentre facciamo una cosa, pensiamo ad un'altra. Invece no. Age quod agis! Metti tutto l'impegno nel dovere attuale, senza pensare al fatto prima o al da farsi dopo. Specialmente in chiesa mandiamo via i pensieri estranei, anche se buoni, come i pensieri di studio, ecc. Non interrompiamo l'orazione per prendere nota, o tenere metà dell'attenzione alla preghiera e l'altra metà a tener viva in mente la cosa. S. Bonaventura dice "che quella scienza che uno disprezza per amore della virtù, dopo la troverà per mezzo della virtù" (170). Quella cognizione che si lascia per pregare bene non si dimentica; anzi dopo si vedrà più chiaro ancora, perché il Signore premia il sacrificio che ci siamo imposti per pregar bene. Così quando uno è a studio non pensi ad altro, metta tutto l'impegno all'azione che fa: studiare bene. Age quod agis! E perciò che si dice ai confessori che quando confessano un penitente, non stiano a guardare se c'è poca o molta gente in attesa. No, confesso costui come se non avessi da confessare altri dopo di lui. Certo non bisogna dire troppo, ma qualcosa sempre... Insomma, pensare a far bene l'azione attuale. Quando ho da studiare, studio bene e non penso alla cena; quando ho da pregare, prego bene e non penso al lavoro quando ho da lavorare, lavoro bene e non penso alla ricreazione. E così di tutte le azioni, anche le minime. Talora sogniamo a occhi aperti; invece di mettere tutta l'attenzione sul dovere attuale, pensiamo a cose passate che non si possono rimediare, o a cose future che forse non si presenteranno mai. No, non desiderare cose impossibili che non faremo mai, ma far bene quello che stiamo facendo: vincerci lì dove siamo.

Far conto delle piccole cose

Sovente davanti a Dio faccio questo esame: l'Istituto procede bene, secondo la certa volontà di Dio che lo volle? produrrà frutti di santificazione dei suoi membri e delle anime degli infedeli: fini unici della sua fondazione? Pare che il Signore mi risponda si e no. Sì, perché in tutti c'è l'intenzione di farvi religiosi-missionari e a questo fine studiate e praticate gli esercizi di pietà e attendete all'osservanza delle regole. No, perché molti realmente non usano toto animo dei mezzi che qui si trovano per farsi santi e dotti; alcuni non si danno interamente e con generosità e costanza per divenire tali; non vivono dello spirito dell'Istituto.

Tutti fate le stesse cose, ma non tutti allo stesso modo. Che ne riuscirà? I primi si faranno santi religiosi, santi missionari; gli altri perderanno la vocazione e porteranno nel secolo il rimorso perpetuo della loro infedeltà alla grazia; oppure resteranno, ma a danno proprio e della comunità, per il che non godranno della pace che si prova a servire Dio con generosità e perfezione; saranno, con la loro tiepidezza, di scandalo ai compagni e faranno decadere lo spirito dell'Istituto.

Noi siamo agli inizi e su di noi incombe maggiore responsabilità. Non intendo con questo di atterrirvi, quantunque, penetrato della responsabilità mia, devo scuotere tutti a mettersi in perfetta regola per il bene proprio e dell'Istituto. Non parlo di delitti che succedano qui, ma della inosservanza delle piccole cose. Questo è il vero motivo di ciò che ho detto. S. Bernardo dice che coloro che incominciano a trascurare le cose piccole, a poco a poco trascurano anche le grandi (171). La dissoluzione del vero spirito della Religione viene dal far poco conto delle piccole cose, cioè delle piccole colpe e dei piccoli atti di virtù.

1. LE PICCOLE COLPE - Voi conoscete la natura e i gravi effetti del peccato veniale che, offendendo Dio, è un male superiore a tutti i mali di questa terra. E sarà da non farne caso, come purtroppo succede? Non dovremmo invece sentirne orrore?... Veniamo alla pratica: una piccola bugia volontaria e più l'abitudine non combattuta di non parlare preciso; le distrazioni volontarie nelle preghiere; la mancanza di carità fraterna e certe ripugnanze avvertite ai difetti morali e fisici dei compagni; i piccoli attacchi contro la povertà e la mortificazione nel cibo, vestito, ecc.; la mancanza di rispetto e di ubbidienza interna ai Superiori; le critiche e le mormorazioni che sono la peste delle comunità... Non parlo di tutti gli altri peccati, ad esempio d'invidia o contro la santa castità. Quante illusioni ci facciamo in questa materia! Esaminatevi davanti a Dio: l'avete voi questo orrore all'offesa di Dio?

2. I PICCOLI ATTI DI VIRTÙ - Non dobbiamo però fermarci qui. Non basta non fare il male anche piccolo: dobbiamo procedere oltre e fare il bene per quanto piccolo. Dobbiamo cioè stimare i piccoli atti di virtù. Se non ci facciamo l'abitudine di ben operare nelle cose piccole, all'occasione non faremo le grandi. E poi a noi Dio non chiede per ora cose grandi, come discipline, digiuni, ecc., ma si contenta di piccoli sacrifici. Vergogna per noi se non siamo generosi! Esaminatevi: chiedete sempre i piccoli permessi? Eseguite con precisione le piccole obbedienze? Vi prestate generosamente per i lavori, senza paura di far troppo, di fare più degli altri o ciò che spetterebbe ad altri? Avete un'affettuosa attenzione alle cose della comunità? Quante occasioni si presentano lungo il giorno di moltiplicare questi piccoli atti di virtù!

La nostra santificazione, specialmente in comunità, si può dire che dipende dall'osservanza delle piccole cose. Le cose grandi, oltre che non succedono sovente, non sono di tutti, e c'è pericolo che ci invaniscano. Invece le cose piccole sono di tutti i giorni, di tutte le ore; sono alla portata di tutti; e come cose da nulla, non ci fanno insuperbire. Intanto, tenendo conto delle piccole cose, ci facciamo molti meriti, ci formiamo abiti buoni, ci disponiamo a fare cose grandi quando il Signore ce le chiederà. S. Agostino dice: "Vuoi essere grande? Incomincia dal poco" (172). Incomincia cioè a fare piccole cose e a fare bene le piccole cose. S. Agostino dice ancora "che come non è piccola cosa disprezzare Dio nel minimo, così non è piccola cosa essere fedele nelle minime cose" (173). Nostro Signore nel Vangelo chiama servo buono e fedele quegli che ha tenuto conto delle piccole cose.

Ma in ciò è necessaria la costanza e perseveranza. Tanti in comunità si danno a questo esercizio del far conto delle piccole cose, ma non vi durano. Sia dunque questo il vostro proposito; evitare le minime colpe volontarie, praticare i piccoli atti di virtù. La nostra perfezione si forma nelle piccole cose; sono le piccole cose fatte bene che rendono una comunità perfetta. I membri del nostro Istituto devono operare la loro santificazione con la fedeltà alle piccole cose. Che Iddio vi faccia ben comprendere questa lezione e vi infervori con la sua grazia!

giuseppeallamano.consolata.org