10. IL DOVERE DELLA SANTIFICAZIONE

La volontà di Dio

La vostra santificazione: ecco il mio pensiero precipuo, la costante mia preoccupazione. Persino durante le mie malattie non posso star tranquillo e penso ancora a voi. Il mio pensiero dominante è sempre lo stesso: Questi giovani che son venuti nell'Istituto hanno tutti vera e buona volontà di santificarsi?... Che volete? Sento troppo la responsabilità a vostro riguardo! Quand'ero Direttore in seminario mi raccomandavo ai chierici - essendo io di costituzione debole - che non mi facessero morire. Ora dico a voi che se volete allungarmi ancora un po' la vita (se tale è la volontà di Dio), siate docili a lasciarvi formare, volenterosi di santificarvi. Non basta infatti aver ricevuta da Dio una vocazione particolarissima; non basta goderne la preziosità e i benefici; bisogna utilizzarla camminando nella perfezione ch'essa richiede. Ecco dunque il vostro dovere: farvi santi, grandi santi, presto santi.

Quali sono i motivi che vi devono spingere a ciò? Accennerò ai principali. Il primo è la volontà di Dio. Egli esige la santità e la esige da tutti, anche dai semplici cristiani che la possono conseguire mediante l'osservanza dei comandamenti di Dio e della Chiesa, l'esercizio delle virtù cristiane e l'adempimento perfetto dei doveri del proprio stato. S. Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi, dice loro: Perocché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione (138). La Chiesa ci fa ripetere sovente quelle parole: Gaudent in coelis animae sanctorum. Dice: le anime dei Santi, perché nessuno entra in Paradiso che non sia santo.

Se tale adunque è la volontà di Dio riguardo ai semplici cristiani, che dovrà dirsi di noi che da Dio abbiamo ricevuto la più santa delle vocazioni? di noi che dobbiamo essere santificatori di anime?

La nostra vocazione

Il secondo motivo è quello di corrispondere alla nostra vocazione. Come Religiosi ne avete uno stretto dovere. Non dico che dobbiate già essere perfetti al vostro ingresso in Religione, ma dico che avete il dovere di tendere decisamente e costantemente alla perfezione. Conatus semper proficiendi (139). Nella via della perfezione il non progredire è retrocedere Chi dicesse: "Adesso basta!", rinuncierebbe per ciò stesso alla santità. La vetta propostaci da Nostro Signore non la raggiungeremo mai: Come il vostro Padre celeste. (140).

Come sacerdoti o aspiranti al sacerdozio dovete essere più santi ancora. S. Paolo voleva i sacerdoti non soltanto irreprensibili, ma adorni di tutte le virtù (141) Perciò vi esorto a prepararvi alacremente mentre siete in tempo. Credete a me: di preparazione non ce n'è mai troppa. Tutti, all'Ordinazione, hanno rincrescimento di non essersi preparati abbastanza. Ciò fosse solo per umiltà, ma purtroppo è verità. Non perdete dunque tempo, affinché non abbiate a giungere impreparati ai santi voti e alle Ordinazioni, col rimorso di non aver fatto quant'era in vostro potere. Riflettete: questa vita si vive una volta sola e così il tempo di formazione una volta passato, lo è per sempre.

Come Missionari poi, dovete essere non solo santi, ma santi in modo superlativo. Prima di affidare a S. Pietro il mandato apostolico, Gesù richiese da lui tre proteste di amore. Una carità dunque superlativa e quindi una perfezione altissima. Ah, che non bastano tutte le altre doti per fare un Missionario! Ci vuole santità, grande santità. Ascoltate S. Agostino che vi esorta: Amate la scienza, ma anteponete alla scienza la carità (142). I miracoli si ottengono non tanto con la scienza, quanto piuttosto con la santità.

Il fine primario dell'Istituto

Il terzo motivo è offerto dal fine primario del nostro Istituto. Prima la santificazione nostra, poi la conversione degli infedeli; prima noi e poi gli altri. Missionari sì, ma santi. E' questo del resto il fine primario di tutte le Congregazioni religiose: le quali, anche se per diverse vie e con diversi mezzi, tutte mirano in primo luogo alla santificazione dei propri membri.

Vi ricordo in proposito ciò che il Sommo Pontefice Pio X, in data 23 aprile 1905, scriveva al Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane: "Non vogliamo in nessun modo che all'educazione della gioventù si dia la parte principale e solo secondaria alla vita religiosa. Se grave è il dover vostro di ammaestrare il prossimo, ben più gravi sono i vincoli che vi stringono al servizio di Dio". Lo stesso ripeto a voi per quanto riguarda la vostra santificazione, in relazione alla conversione degli infedeli. Sbaglierebbe chi dicesse: "Son venuto per farmi Missionario e basta!" No, mio caro, non basta affatto. Prima di tutto sei venuto per farti santo; non bisogna cambiare i termini.

Certuni, per un po' di poesia, pensano solo al secondo fine. No, meglio allora star fuori. Chi viene qui, viene per abbracciare il fine dell'Istituto, qual è specificato dalle costituzioni. E nelle costituzioni il punto della santificazione dei membri non è stato messo solo per mettere qualcosa o per figura, ma per essere una realtà nella vita pratica dell'alunno missionario. Chi non fa questo, sbaglia su tutta la linea.

Notate ancora che le costituzioni parlano al plurale: "la santificazione dei membri". Non dunque di qualcuno, ma di tutti. In questa Casa tutto è ordinato a far tutti santi. Ne consegue che ognuno ha da procurare, oltre la santificazione propria, anche quella degli altri, affinché si raggiunga in tal modo il fine dell'Istituto. Mi è venuta fra mani una Regola che diceva: "che per la santificazione di un individuo tutta la comunità deve mettersi in moto". A prima vista ciò può sembrare un po' spinto, ma se ben si considera la cosa, non l'è. Tutta la comunità deve concorrere davvero e con tutti i mezzi alla santificazione dei singoli individui: allo stesso modo che Nostro Signore ha versato il suo Sangue per tutti gli uomini e per ciascuno in particolare. Tutta la comunità impegnata verso ciascun membro; ogni membro impegnato verso tutta la comunità: ecco ciò che dovete ricordare.

Chi pertanto non si fa santo, oltre che a se stesso, fa danno all'Istituto frustrandone il fine. La colpa, però, è esclusivamente sua, dell'individuo, il quale non si fa santo perché non vuole. Come Nostro Signore fa di tutto per salvarci, ma rispetta la libertà individuale, così fanno i Superiori: fanno tutto ciò che sanno e possono, ma non possono farci santi per forza. Ognuno deve corrispondere alle cure della comunità.

Prima dunque santi, poi Missionari; un fine aiuta l'altro. Se qualcuno fosse entrato nell'Istituto senza queste idee, procuri di convincersene, altrimenti non è a posto.

Il fine particolare dell'Istituto

Il quarto motivo è il conseguimento del fine secondario e specifico dell'Istituto: la conversione degl'infedeli. E' ciò che vi ripeto di continuo: le anime si salvano con la santità. Voler far buoni gli altri senz'esserlo noi è volere l'impossibile. Nessuno può dare ciò che non ha. Potremo amministrare un Sacramento anche se non santi; ma convertire le anime, no. E' ciò che sperimentano ogni giorno i nostri Missionari d'Africa: certe conversioni non si ottengono che con la santità.

Questo avviene perché Iddio ordinariamente non concede di toccare il cuore dei pagani a chi non è unito a Lui con grande carità, da poter quasi pretendere miracoli. Ah, credetelo, qui non ardet, non incendit! (143). Chi non ha fuoco di carità, non può comunicarlo. Non pensare quindi che si possa sacrificare lo spirito o lasciar lo spirituale per il materiale (salvo sempre l'obbedienza). No, no! Non bisogna lasciar la pietà, non bisogna trascurare l'unione con Dio, non bisogna sacrificare la propria santificazione per attendere agli altri. E se un Missionario per attendere agli altri fosse in pericolo di perdere lo spirito, deve piuttosto ritirarsi.

In Ven. Libermann, Fondatore dei Religiosi del S. Cuor di Maria e dello Spirito Santo, scrive nelle sue istruzioni che la santità deve risiedere prima nel missionario, cioè radicarsi bene nel suo interiore, per poi manifestarsi nella sua condotta esteriore. Il culto esteriore se non procede dall'interno è una finzione; così la santità. E apporta tre ragioni per cui il Missionario deve essere e apparire santo.

1. - Gli infedeli sono incatenati dal demonio in tutti i loro sensi. Bisogna che il Missionario parli loro non solo verbalmente, ma con la santità della vita, e per mezzo di questa penetri nei loro sensi, giunga ai loro cuori. Già da noi, ma più presso i pagani, avviene che le parole sono inefficaci se non accompagnate dall'esempio. I pagani stanno più a ciò che vedono che a ciò che odono. Bisogna che essi possano veder Dio nel missionario. Gesù diceva agli Apostoli: Chi vede me, vede anche il Padre (144), e il Missionario deve a sua volta poter dire: Chi vede me, vede Gesù!

2. - Il demonio è molto più potente in quelle anime, che tiene strette nelle catene delle passioni e nelle tenebre delle superstizioni. Da secoli egli regna sovrano in quei paesi ed è il forte armato. Non basta, per vincerlo, essere l'inviato di N. S. Gesù Cristo; fa d'uopo possedere in più lo spirito della divina missione, che è lo spirito di santità. Di questo demonio, che tiene avvinti a sé gl'infedeli, si può ripetere che non può essere scacciato, debellato, nisi in oratione et jejunio (145). Si richiede perciò nel missionario più preghiera, più mortificazione, più santità; una santità superiore all'ordinaria. E' vero che tra gli Ordini Minori si conferisce l'Esorcistato, ma intanto si è proibiti di esercitarlo senza il permesso del Vescovo, che lo dà solo a chi possiede una virtù eminente. Non basta avere il diritto di esercitarlo, è necessario esserne degni, altrimenti il demonio se ne ride.

3. - Gli infedeli non hanno vero merito per ottenere la prima grazia della conversione e neppur pensano a chiederla. E' necessario che un altro, il Missionario, la meriti per essi. Ma, a ciò conseguire, deve essere santo, sì da riuscire degno intercessore presso Dio. I Santi, sempre che si trattava di conversione di anime, ricorrevano a preghiere e penitenze straordinarie. Una virtù ordinaria in certi casi non basta. Quando il Signore voleva castigare il popolo Ebreo, Mosè s'interpose con la forza della sua preghiera e della sua santità: O perdoni loro questo fallo, o se non lo fai, cancellami dal tuo libro, che hai scritto (146). E fu esaudito. Solo dunque se sarà santo, potrà il missionario pretendere da Dio le grazie straordinarie di cui abbisogna.

Il poco frutto di Missione può benissimo dipendere da noi, che non siamo strumenti idonei nelle mani di Dio. Non dico che sia sempre così, ma è certo che se fossimo veramente santi, il Signore si servirebbe di noi per operare un maggior numero di conversioni e più stabili. La conversione delle anime è cosa tutta soprannaturale; quanto più saremo intimi amici di Gesù, tanto più potremo sperare nell'intervento della Sua grazia.

Potremmo anche domandarci se non sia da attribuire in parte alla deficienza di questa santità, se dopo tanti secoli di apostolato, una sì gran parte del mondo è ancora avvolta nelle tenebre del paganesimo; e se mentre nei primi secoli la parola di Dio operò sì strepitose conversioni in tutto il mondo allora conosciuto, nei secoli posteriori i risultati furono invece inferiori, relativamente all'accresciuto numero dei Missionari. Comunque sia, noi dobbiamo persuaderci della necessità di essere santi. Siete qui per essere un giorno Missionari della Consolata, né potrete esserlo se non vivendo e operando in conformità al fine dell'Istituto, che è la santificazione dei membri. Ora, vivere e operare in conformità al fine, secondo che insegna S. Tommaso, vuol dire tutto coordinare e dirigere al conseguimento del medesimo: lavori, impieghi, studi, salute, ecc.; e ogni cosa valutare a questa stregua, in quanto cioè ci avvicina o ci allontana dal fine.

Ecco il pensiero che deve accompagnarvi di continuo, sul quale dovete riflettere nelle vostre meditazioni e dopo la santa Comunione, o sempre che avete pene o difficoltà. Esso serve a scuotervi e ad infondervi coraggio.

La pace del cuore

Ai sopraddetti motivi ne aggiungo un quinto, che ci tocca forse più sensibilmente: è il benessere, la felicità che anche quaggiù gode chi si dà veramente e totalmente al Signore. Egli non ha rimorsi che lacerino la vita, ma gode di quella pace divina, la quale sorpassa ogni intelligenza (147) e che è il frutto della buona volontà nel servizio di Dio. Vi è gran pace per quelli che amano la tua legge (148). Talora si tratta solo di un piccolo sacrificio d'amor proprio, di un atto di mortificazione o di carità: tutte cose che davanti al mondo non appaiono, eppure, se compiute, quanto ne gode il cuore!

Osservate ciò che avviene nei Santi: è tanta la loro pace interiore, è sì grande la gioia del loro cuore, che anche all'esterno essa traspare e ne rende partecipi gli altri. E nessuno e nulla mai può ad essi rapirla. Voi conoscete il fatto di S. Giovanni Crisostomo, del quale l'Imperatore eretico voleva vendicarsi. E chi gli consigliava: "Mettetelo in prigione!"; chi invece: "Confiscategli i beni!"; e altri: "Mandatelo in esilio! "; e altri ancora: "Fatelo perire!". Intervenne uno a dire: "Tutto inutile questo. Se gli confiscate i beni, li togliete ai poveri; se lo cacciate in prigione, bacerà lieto le catene; se lo mandate in esilio, tutta la terra gli è patria; se lo condannate a morte, gli aprite le porte del Paradiso, che è quanto egli desidera!" (149). Vedete? I Santi anche quaggiù sono già beati. Ah, quando uno ha il cuore tranquillo, quando sente che il Signore gli vuol bene, che cosa ancora potrebbe angustiarlo? Egli può ripetere con S. Paolo: Chi ci dividerà dalla carità di Cristo? Forse la tribolazione? forse l'angustia? forse la fame? forse la nudità? forse il pericolo? forse la persecuzione? forse la spada? Ma di tutte queste prove trionfiamo appieno, grazie a Colui che ci ha amati! (150).

Di S. Giuseppe Cafasso sta scritto che la sola sua presenza e poche sue parole bastavano a ridonare alle anime la gioia dello spirito. Di S. Vincenzo de Paoli si diceva: "Vincenzo sempre Vincenzo!", cioè sempre allegro, sempre uguale a se stesso in tutte le contingenze della vita. La ragione non è che uno sia indifferente, che non senta, ma è che l'amor di Dio fa sopportare tutto allegramente. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia! (151). Proprio così: più si ha fame e sete di santità, fame e sete di Dio e più si è beati. I Santi che hanno questa fame e sete sono i più felici degli uomini.

giuseppeallamano.consolata.org