5. CORRISPONDERE ALLA VOCAZIONE

Necessità di corrispondere

Vi scongiuro adunque io prigioniero pel Signore, che camminiate in maniera convenevole alla vocazione a cui siete stati chiamati (34). Faccio mie queste parole di S. Paolo e vi scongiuro a voler corrispondere alla vostra santa vocazione. Voi, quanti qui siete e quanti già furono in questa Casa, godete e godettero tutti degli stessi benefici e delle stesse grazie. Ma durerete o durarono tutti nella vocazione ricevuta? Molti sì; altri si perdettero per via; altri ancora giunsero alla terra promessa delle Missioni, ma direi solo materialmente, perché non preparati spiritualmente, a motivo della loro non piena corrispondenza alle grazie di cui questa Casa abbonda; e quindi: o ritornarono al secolo, o non riuscirono missionari secondo i disegni di Dio.

Non basta dunque essere chiamati, non basta rispondere alla chiamata, non basta entrare nell'Istituto, non basta nemmeno andare in Missione, ma ci vuole corrispondenza piena e generosa e costante alla grazia della vocazione. Non tutti i chiamati perseverano, perché non tutti corrispondono. Giuda fu certamente chiamato all'apostolato da Gesù medesimo, eppure perdette la vocazione.

Lasciate dunque che ripeta a ciascuno di voi le parole di Nostro Signore: Se tu conoscessi il dono di Dio! (35). Se tu, o caro giovane, o caro chierico, conoscessi il dono grande che Dio ti ha fatto col chiamarti in questo Istituto! Al quale dono seguirà un crescendo di altre grazie, che Gesù dal Tabernacolo ti farà, se saprai apprezzare la prima e corrispondervi.

Ma guai a non corrispondervi! Ripeto che alcuni sono usciti dall'Istituto per essersi resi indegni della vocazione (non parlo di quelli che si riscontrarono non chiamati per difetti corporali o per non aver vocazione). Lo stato di costoro è deplorevole! Abbandonata la via per la quale erano chiamati e nella quale il Signore aveva per essi disseminate tutte le grazie abbondantissime di salvezza e di santificazione, vengono a trovarsi in quello stato di cui abbiamo già parlato, dove non troveranno che le pure grazie sufficienti per salvarsi.

Il perseverare nella vocazione, non dimenticatelo, è un dovere, quando si è liberamente accettato uno stato e ad esso ci siamo vincolati con solenni promesse. E' un dovere verso Dio, al quale si è fatto voto; è un dovere verso noi medesimi, per le condizioni infelicissime nelle quali altrimenti verremmo a trovarci. Quante povere anime si son perdute, uscendo di Religione con la falsa idea di migliorare il proprio stato! Anche se ottennero le necessarie dispense, come possono costoro godere perfetta pace? Conobbi un Religioso che uscito di Congregazione, fu tollerato in Diocesi veniva a celebrare al Santuario della Consolata e sovente mi diceva:

- Mi tranquillizzi!

- Veda, per essere proprio a posto e tranquillo, lei dovrebbe rientrare in Congregazione.

- Ma che figura faccio ?

- Se crede, m'incarico io di aiutarla.

E lui sempre indeciso; e poi morì improvvisamente, più presto che non si pensava. Sì, sì, era in regola con le dispense... ma se fosse morto nell'infermeria della comunità, sarebbe certamente stato meglio per lui!

Solamente chi persevera sino alla fine, udrà l'invito divino: Euge, serve bone et fidelis! (36). E per chi fu infedele? per chi rifiutò o rigettò il dono di Dio? per chi calpestò le sue solenni promesse? Quale sarà per costui il giudizio di Dio?... Questo pensiero ci sia di salutare timore. Non si tratta d'una bagattella, ma di un dono di Dio, cui sono annesse tutte le grazie i salvezza e di santificazione per noi e per tante altre anime. Che se nonostante sì abbondante pioggia di grazie, uno è sempre infruttuoso, allora perché ingombra ancora il terreno?... Troncalo dunque (37).

Non illudiamoci, il Signore non ha bisogno di nessuno. Egli non bada al numero, mentre gli son bastati dodici poveri pescatori per cambiare la faccia della terra, e mentre dalle stesse pietre sa suscitare i veri figli di Abramo. Il dono della vocazione che uno rifiuta o perde, non ritorna a Dio infruttuoso, ma Egli lo darà ad un altro che saprà farlo fruttificare al cento per cento. Non è il caso di ricordare a voi la storia dei quaranta martiri di Sebaste. Il povero spergiuro era anch'egli chiamato al martirio, aveva cominciato bene, ma non seppe perseverare e perì miseramente e il suo posto venne preso da una delle sentinelle, un pagano! Terribile lezione, miei cari, per chi riceve grazie da Dio e non vi corrisponde.

S. Vincenzo de' Paoli dice che chi non corrisponde sarà sempre infelice: sia che rimanga in Religione sia che ne esca. Non troverà altra via cosparsa di tante grazie quante ne avrebbe trovate in quella tracciatagli da Dio. Ciò spiega la cattiva fine di tanti fra gli usciti dagli Istituti religiosi, peggio poi se espulsi. Infelici! Eccoli diventati cattivi cristiani, mentre potevano e dovevano essere santi Religiosi, santi Missionari! Ciò spiega anche il fatto che dei chierici usciti di seminario fanno pessima riuscita, fino a diventare arrabbiati anticlericali, come ve ne sono anche al presente. Non volle la benedizione e andrà lungi da lui (38).

Ecco perché non mi stancherò mai di esortarvi a ben considerare l'affare della vostra vocazione, onde crescere nella stima della medesima, ringraziarne ogni giorno il Signore e procurare di corrispondervi con animo forte e costante. Obsecro vos ut digne ambuletis vocatione qua vocati estis (39). L'apostolo intendeva la grazia della fede; io vi faccio la stessa raccomandazione riguardo alla grazia della vocazione all'apostolato: la quale, se non è così necessaria come la fede, è pur sempre una grazia di predilezione per voi. E vi dico di non riceverla invano, ma di corrispondervi e renderla fruttuosa, mentre scorre per voi il tempo propizio, i giorni di grazia speciale che il Signore sparge sul postulandato, sul noviziato e su tutta la vostra preparazione alle Missioni.

Questa Casa fu eretta per la vostra formazione. Il Signore vi ha posto regole, superiori e tutte le grazie necessarie. Egli ha fatto per l'Istituto veri miracoli e a goderne siete voi. Ciascuno può dire: sono io che vengo così favorito! E se a tutto date importanza, se vi dimostrate pieghevoli a ricevere giorno per giorno, ora per ora, gli influssi di questa continua pioggia, riuscirete tali quali il Signore vuole e raggiungerete lo scopo della vostra vocazione. Ma infelice chi, per pigrizia o tiepidezza, perde un tempo sì prezioso e spreca i doni di Dio! Meglio per lui che non fosse stato chiamato, perché molto si domanderà da tutti quelli ai quali molto è stato dato (40).

Sul serio dunque. Bisogna corrispondere e corrispondere bene, nel miglior modo possibile. Certo piuttosto che divenire un Religioso solo a metà, è meglio non esserlo affatto. Che m'importa di avere cinquanta o cento chierici, se non sono come li voglio? Ve l'ho detto e ve lo ripeto: meglio pochi, ma come si deve. E se uno, non ancora legato da voti perpetui, sente di non riuscire quello che dovrebbe essere; fa bene ad andarsene. Meglio per lui, per l'Istituto, per le Missioni. Che se alcuno avesse scartato un pochino si riprenda. Nunc coepi! Rimettersi sulla buona via, costi quel che costi, e rinnovare ogni giorno questa buona volontà.

Certo non si corrisponderà mai abbastanza, ma almeno facciamo quello che possiamo da parte nostra; il Signore aggiusterà Lui il resto, colmerà Lui le deficienze. Egli sa che siamo miserabili, ma vuole buona volontà. Vedete: il Signore mi ha sempre aiutato materialmente e moralmente; col suo aiuto ho lavorato alla Consolata, come ho lavorato per qui e per le Missioni. Ma adesso sta a voi il compiere i disegni di Dio. Non posso e non tocca a me far tutto; a ciascuno la sua parte. Pensateci a queste cose e non sarà facile che vi perdiate per via.

Come corrispondere

Per aiutarvi nell'esame sul come avete finora trafficato il prezioso talento della vocazione, vi propongo alcune considerazioni. Nelle comunità religiose, a riguardo della corrispondenza alla vocazione, i soggetti possono classificarsi in tre categorie.

La prima è di quelli che conoscono il valore della vocazione, conoscono anche i mezzi per corrispondervi (e come non conoscerli, mentre qui tutto è a ciò ordinato?), sanno perciò quello che devono fare; ma non lo fanno e quindi non corrispondono. O non usano i mezzi o li usano male: e lo si vede dal frutto in quanto a perfezione e santità. Coloro che, in tempo sì prezioso e di speciali grazie per la formazione, non avanzano nella via della perfezione, ben si può dire che non corrispondano alla grazia divina. Vanno avanti tirati o spinti, a mo' di giumenti, dall'ordine della casa e dalle azioni comuni, ma senza spirito interiore, senza approfittarne per il loro bene spirituale.

Alla seconda categoria appartengono anzitutto coloro che hanno, sì, vocazione e vi corrispondono, ma con poca generosità. Studiano e lavorano, ma non si rompono le ossa; obbediscono, ma fino ad un certo punto; pregano, ma il puro necessario. Insomma, a loro basta essere buoni e non ci tengono a divenire santi. Appartengono ancora a questa categoria gli incostanti: quelli cioè che, pur mettendo impegno a corrispondere, pur amando le pratiche di pietà e tutte le virtù, non appena sopraggiunge un ostacolo, una prova nello spirito o nel corpo, si scoraggiano, s'arrestano nei buoni desideri e propositi. Ad essi può applicarsi il detto del Salmista: Io dissi nella mia abbondanza: non sarò scosso in eterno!... Rivolgesti da me La tua faccia ed io restai conturbato (41). Manca in costoro la costanza. Son fervorosi quando tutto procede bene, ma nella lotta e nelle difficoltà rallentano o anche si fermano. Se i Superiori li mettono nell'occasione di compiere atti di perfezione, come mortificazioni pubbliche, uffici più umili e simili, eccoli prostrati di spirito, incapaci di resistere alla tentazione di scoraggiamento e di superbia. Che dire, poi, se per disposizione di Dio vengono tentati nella bella virtù? Invece di farsi coraggio e usare tutti i mezzi per sostenersi, non pensando che la grazia di Dio non verrà loro meno (ed è bene per loro che siano ad tempus così provati), si perdono d'animo e tutta la loro buona volontà sparisce.

La terza categoria è di coloro che, entrati nell'Istituto con perfetta purità d'intenzione, intendono di corrispondere generosamente alla grazia di Dio, nulla omettendo di ciò che può condurli alla santità. Anime generose, forti, costanti: le quali, proposito sibi fine, cioè la santificazione, tirano diritto pur in mezzo alle prove, piene di confidenza in Dio. Il pensiero di quanto fecero i Santi, e più Nostro Signore, li sostiene nelle ore buie che anche ad essi non mancano. Questi spiriti forti hanno le loro battaglie col demonio che, come fece con Giobbe, li vesserà in tutti i modi. Dio stesso li proverà, come fece con S. Teresa, nel fuoco delle aridità e di pene interne ed esterne; ma essi, tenendo l'occhio dell'anima fisso in Dio, non vacillano. Che se anche avvenisse una caduta, come fu per certi Santi, non si abbattono troppo, ma subito fanno cum tentatione proventum (42); sorgono cioè e procedono con maggior energia, sebbene più umili, più vigilanti e confidenti in Dio.

Veniamo a noi, alla nostra Comunità. Vi sono tra noi alcuni della prima categoria ? Io spero di no. Non dovrebbero poter vivere: ogni pietra di questa Casa rimprovererebbe la loro audacia. Fu detto da uno che uscì: "che in questa Casa, chi non è chiamato non può resistere". Ecco il più bell'elogio che dell'Istituto si potesse e si possa fare!

E della seconda categoria? Non voglio offendervi, ma debbo pensare che anche in questa Casa vi sono di quelli che non corrispondono pienamente alla grazia di Dio. Non si potrà dir loro che la disprezzino, ma non sanno essere generosi con Dio, togliendo certi difetti e vincendo certa inerzia. E il Signore non può essere generoso con loro. Gesù vorrebbe tutto il loro cuore nella semplicità ed umiltà, ed essi Glielo danno con restrizioni; allora anche il Signore restringe con essi la mano. Costoro non possono godere appieno della vita religiosa, passano sovente i giorni in malinconia, e i Superiori debbono faticare non poco per sostenerli e spingerli avanti. E si che basterebbe un po' di sforzo, un po' di generosità!

Mi consolo per altro pensando che molti di voi sono da classificare nella terza categoria e ne ringrazio il Signore. Non è che non abbiamo difetti ed anche certe ore e magari certi giorni di freddezza, ma conservano sempre ferma la volontà di emendarsi e di santificarsi; lieti che l'obbedienza ne fornisca loro i mezzi nelle molte preghiere, nell'assiduo studio, nei lavori umili, nelle pratiche di mortificazione e di umiltà. Per costoro la vita di comunità è un Paradiso anticipato ed essi sono i più felici di questo mondo!

Esaminatevi davanti a Dio. A quale classe appartenete?... Notate però due cose: 1° Che essendo Religiosi, avete l'obbligo di tendere alla perfezione e quindi di trovarvi tutti nella terza categoria. 2° Che, di regola, avviene che in Missione si discenda, non che si ascenda. In questo caso, che sarà di voi e delle Missioni ?... Mi scriveva uno dei primi Missionari "che loro, i primi, erano zavorra e di questa facevano l'ufficio, mentre i futuri sarebbero state le colonne, perché ben formati e ben levigati nella Casamadre". Ciò scriveva per umiltà, ma è bene che lo ricordiate, perché vi serve di lezione, del come cioè dovete perfezionarvi.

giuseppeallamano.consolata.org