34. I NOSTRI MODELLI

S. Francesco Saverio (3 dicembre)

S.Francesco Zaverio è Patrono dei Missionari e dell'Opera della Propagazione della Fede, ed è Protettore del nostro Istituto. Come S. Paolo e subito dopo S. Paolo è il modello dei Missionari. La sua vita, al dire del Chaignon, è racchiusa in queste tre parole che dicono tutto: Era tutto di Dio, tutto del prossimo, tutto di se stesso (1089).

TUTTO DI DIO - Venuto dalla Spagna a Parigi per compiervi gli studi, s'applicò con tanto impegno agli studi filosofici, da divenire maestro. Insegnò infatti filosofia con plauso.

Sennonché a Parigi era pur venuto S. Ignazio il quale, per essere conterraneo di Francesco, e certo per ispirazione di Dio, s'adoprava in ogni modo per avvicinarlo e guadagnarlo a sé; ma n'era disprezzato. Ignazio vestiva poveramente, mentre Francesco amava l'eleganza. A poco a poco, però, anche col procurargli degli scolari, se ne guadagnò l'animo e potè rivolgergli parole di salvezza. Gli andava di continuo ripetendo: Quid prodest?... O Francesco, che ti giova acquistare tanta scienza, tanto onore, se poi perdi l'anima? Che giova ai dannati la loro superbia, la loro ricchezza?...

Questa parola fu il punto di partenza della conversione di Francesco. Lottò nel suo cuore buono e retto superò tentazioni violentissime; finalmente, con gli esercizi spirituali fatti con serietà, durante i quali stette quattro giorni senza prender cibo, si diede tutto a S. Ignazio che lo formasse e lo dirigesse nelle vie di Dio. Quid prodest?...

Questa parola ha dato, in Francesco, un Santo a Dio e alla Chiesa; questa parola è pur quella che ha convertito molti già ingolfati negli affari del secolo; questa parola, almeno in ciò che significa, è quella che ha popolato i deserti di santi eremiti portandovi nobili e principi. Quid prodest il farsela bene, il godersela per qualche anno su questa terra, se poi perdo l'anima per tutta l'eternità? E invece: soffrire un poco su questa terra, e poi il Paradiso che paga tutto!

Dal momento che si consacrò al servizio di Dio, Francesco non ebbe altro di mira che di amarlo e farlo amare. Visse tutto intento a glorificarlo in sé e negli altri. A Roma, quando gli fu rivelata la sua missione, il Signore gli fece sentire come un peso che lo schiacciava... Ubbidiente a S. Ignazio, partì per le Indie; dalle Indie passò al Giappone, e di là bramava passare in Cina. Vagheggiava il progetto, convertita l'Asia, di ritornare in Europa per combattere i cattivi cristiani; andare poi in Africa, per poi ripassare in Asia, onde conquistare sempre nuovi regni a N. S. Gesù Cristo.

Ogni cosa operava alla maggior gloria di Dio, secondo l'insegnamento e il motto di S. Ignazio. No, non cercava la stima degli uomini, non aveva l'ambizione di riuscire, non badava ai propri comodi, era totus Dei! Le conversioni operate da S. Francesco furono così salde, che, anche in luoghi rimasti per più secoli isolati dal contatto delle Missioni Cattoliche, in causa delle persecuzioni, la fede vi si mantenne.

Ecco il nostro modello: amare il Signore, zelarne la gloria con tutto l'ardore possibile; ripetere sovente con S. Paolo: Siamo sospinti dall'amore di Cristo (1090). Potessimo anche noi essere così tutti di Dio, da disprezzare tutto il resto, operare solo per Lui, ardere dal desiderio di salvargli anime!

TUTTO PER IL PROSSIMO - Francesco esercitò prima la carità negli ospedali, ivi applicandosi ai servizi più umili. Per i suoi malati non si vergognava di andar mendicando di porta in porta. Avendo sortito da natura una spiccata sensibilità, aveva ripugnanza alla cura degli infermi, specialmente se piagati. Risoluto di vincersi, un giorno a Venezia, dopo aver pregato, leccò lentamente una piaga schifosa. Certo che la natura gli si sconvolse tutta, ma la volontà trionfò. Nello stesso tempo esercitava la carità spirituale catechizzando e predicando.

Imbarcatosi per le Missioni, durante il lungo tragitto distribuiva ai bisognosi il cibo ch'egli riceveva alla mensa del Capitano. Giunto in Missione, si diede anima e corpo a soccorrere i poveri infedeli nelle loro miserie corporali e spirituali, battezzandone di sua mano un numero grandissimo.

A tal fine sostenne inauditi patimenti per terra e per mare, nel cibo e nel vestito. E come se tanto non bastasse, pregava il Signore ad aggiungere croci e croci. Plus, Domine! Piangeva al vedere che per amore dell'oro molti cristiani sostenessero tante fatiche, e nessuna per salvare le anime; che in Europa tanti belli ingegni si perdessero in cerca di onori mondani, invece di correre a convertire il mondo.

Ecco, o miei cari, la sete di anime che anche noi dovremmo avere! Lo zelo con cui dovremmo faticare per guadagnare anime a Dio!

TUTTO PER SE STESSO - Cioè tutto per la propria santificazione! È tanto facile, nel lavoro, perdere di vista se stesso e la cura della propria santificazione! Non così faceva il nostro Santo. Abbracciata la vocazione religiosa ed apostolica, si diede totalmente all'orazione e alla mortificazione, sempre sotto l'obbedienza, a cui si votò, del suo superiore S. Ignazio. Chiamato dal padre a casa, se ne scusò per mezzo di una sua santa sorella monaca, né vi si recò per aggiustare i suoi affari. Resistette alle preghiere e alle minacce del domestico Navarro, che si vedeva mancare un ufficio lucroso.

Il demonio, presago del gran bene che Francesco avrebbe fatto, lo tentò anche con incentivi d'ordine spirituale. Mentre infatti era in viaggio per Venezia, gli fu presentata la carta di nomina ad un canonicato di Pamplona. Astuzia terribile di satana, ch'egli seppe generosamente sventare. Nel viaggio da Roma al Portogallo, per imbarcarsi alla volta delle Missioni, si fermò volentieri a Loreto; ma, attraversando la Spagna e passando nei pressi del castello natio, rinunziò a vedere i suoi familiari, benché a ciò invitato dall'ambasciatore spagnolo. Rispose: " Li rivedrò in Paradiso! ".

Partì per le Missioni povero, accettando dal re di Portogallo un solo pastrano usato, portando seco il breviario e il bastone. Al collo teneva un piccolo reliquiario con le reliquie di S. Tommaso Apostolo, protettore dell'India, la firma di S. Ignazio e la professione religiosa scritta di suo pugno.

Lungo il tragitto, lavava da sé i suoi miseri panni. Benché insignito della carica di Nunzio Apostolico, la tenne sempre celata e solo la presentò al Vescovo di Goa, non facendone mai uso, eccetto una volta contro un Sacerdote che non compiva il suo dovere. Dipendeva volentieri dal predetto Prelato e da altri, benché ad essi superiore; desiderava e chiedeva a S. Ignazio che gli mandasse confratelli per correggere i propri sbagli.

A S. Ignazio scriveva sempre ginocchioni. Era sì affezionato alla Compagnia di Gesù, che desiderava saperne i progressi, ne gioiva e ripeteva: Si oblitus fuero tui, Societas Jesu, oblivioni detur dextera mea!

In mezzo alla molteplicità delle sue fatiche apostoliche, così varie e pressanti, trovava tempo a pregare, mantenendosi fedelissimo a tutte le sue pratiche di pietà. Sapeva sottrarsi di tanto in tanto, sull'esempio di Nostro Signore, alle opere esterne, per pensare a sé e trattenersi con Dio. E quando ciò non poteva fare di giorno, passava le notti ai piedi di Gesù Sacramentato. Vinto dalla stanchezza, riposava ivi sui gradini dell'altare.

È da Gesù Sacramentato, da Gesù Crocifisso ch'egli aspettava la grazia di illuminare le menti e convertire i cuori, ben sapendo che non delle nostre industrie ma della grazia di Dio son frutto le conversioni vere e stabili.

Umile, povero, staccato da tutto, meritava il dono delle lingue e dei miracoli ed anche quello di celestiali consolazioni, che lo facevano languire di santo amore e ripetere al Signore di non premiarlo tanto in questa vita: Satis, Domine, satis!

A 46 anni, dopo appena dieci di apostolato, avendo convertito un numero grandissimo d'infedeli e fatto un bene immenso, mentre si disponeva ad entrare in Cina, morì nella deserta isola di Sanciano, assistito da un solo indigeno!

IMITARE IL NOSTRO SANTO PROTETTORE - ECCO il nostro modello! Noi siamo soliti ad ammirare S. Francesco Zaverio, ma ci fermiamo all'ammirazione. Invece, avendo con lui pari la vocazione religiosa e missionaria perché non potremmo divenire noi pure santi e far del bene al par di lui? Di lui che, in sì pochi anni di Missione, operò cose sì grandi, da uguagliare e sorpassare tanti altri Missionari, ed essere considerato, dopo gli Apostoli, il più grande missionario?... Eppure io sono d'opinione che voi tutti potreste diventare altrettanti S. Francesco Zaverio e operare altrettanti miracoli di conversione. Infatti la mano di Dio non s'è abbreviata ai giorni nostri e tale è pure la volontà di Dio a nostro riguardo. Dunque, non manca se non che noi siamo santi come Francesco: una santità speciale, eroica, attuando anche noi il suo programma di vita religiosa: Totus Dei, totus proximi, totus sui!

S. Francesco si diede tutto a Dio con la meditazione del " Quid prodest... ". Anche noi diciamo sovente a noi stessi: quid prodest?... ad quid venisti?... e stacchiamoci da tutto ciò che è terreno, per essere tutti di Dio. Egli si diede a Dio totalmente; non fu di quei Missionari che magari s'accingono all'opera con entusiasmo, ma poi alla prima difficoltà si abbattono e desistono. Egli tenne fermo contro ostacoli formidabili che s'innalzavano davanti a lui; ostacoli tali, di cui uno solo avrebbe potuto far arretrare un gigante.

Raccomandate a lui la vostra vocazione, per corrispondervi pienamente, costantemente. Non aspettare a farci santi nei giorni in cui il Signore si fa sentire. Aridità o no, lavorare sempre per la gloria di Dio. Ciascuno di voi deve dire: " Voglio convertire tutto il Kenya, tutto il Kaffa!... ".

Non appena S. Francesco si diede a Dio, subito fu eroico in lui lo spirito di sacrificio e di mortificazione come in quell'atto di leccare la piaga. Applichiamo a noi: esercitiamoci nei piccoli sacrifici, nelle piccole vittorie su noi stessi per sopportare a suo tempo le noie degli infedeli, materiali e spirituali, con pazienza e mansuetudine.

Alle volte diciamo: " Se non fosse di quel compagno...se non fosse questo o quello ". Storie! Tra i primi discepoli di S. Ignazio e compagni di Francesco, ve n'era uno un po' sui generis, eppure Francesco e tutti lo sopportavano. Un giorno, essendo morto uno della Compagnia, quel tale andò da S. Ignazio a chiedere per sé la camera del defunto, perché più ampia. S. Ignazio, per tutta risposta, gli diede la propria camera, che era la più piccola, e inoltre gli mise assieme un compagno. Così egli correggeva i capricci!...

Quando uno sente difficoltà a vincere se stesso nel l'esercizio di questa o quella virtù, dica a se stesso: " Anima mia, non hai ancora sparso una stilla di sangue; e se pure ne hai sparso, non l'hai sparso tutto come Nostro Signore! ". Essere generosi col Signore! Francesco lo fu e bisognava che S. Ignazio lo trattenesse dal fare certe mortificazioni. Digiunava e portava cilici; non viveva di capricci. Io non credo che S Francesco non sentisse tentazioni, che il demonio non gli mettesse dinanzi le lasciate agiatezze e non gli facesse venire qualche mal di capo per indurlo a desiderarle. Il diavolo è così perfidamente fine, che cerca sempre di far sentire le comodità del mondo.

Bisogna essere forti. Se ne risenta pure il corpo, purché si ottenga la maggior gloria di Dio. Non sono i miracoli che hanno guadagnato tante anime, bensì i sacrifici e le virtù del Santo, per mezzo delle quali ottenne la grazia di far miracoli. Sbaglia chi crede di convertire e far miracoli, se non fa grandi sacrifici. Insomma, chi si accontenta di una bontà comune, chi mette limiti nella corrispondenza alle grazie del Signore, non farà mai niente: o lascierà il tempo che trova, o farà poco. Io di qui so già se un missionario farà molto o poco in Missione, e non mi sono mai sbagliato.

Chiamato alle Missioni, Francesco non pensò che a prepararsi spiritualmente. Noi, con tutti i nostri preparativi... c'è un poco da vergognarci! Tuttavia non tocca a voi il pensarci, tocca ai Superiori, secondo le condizioni dei tempi presenti.

S. Francesco fu staccatissimo dai suoi parenti. Chi non ha fede, chiama ciò esagerazione, ma né il Signore né la Chiesa la chiamano così. Chi non capisce che i parenti sono spesso i nostri primi nemici, nulla intende di vita religiosa e tanto meno di vita apostolica...

Perché noi non riusciamo a niente? Perché non sappiamo imporci queste eroiche rinunzie, non sappiamo scuoterci. La virtù non s'acquista in un momento; occorre insistere, resistere, combattere, mai darsi vinti, né di fronte a un grande sacrificio né di fronte a uno piccolo. Se parlassi al mondo, mi si direbbe che son matto; ma voi che bramate di divenire altri S. Francesco (e lui sarebbe ben contento che anche lo sorpassaste), voi mi comprendete e mi ascolterete. Ma ricordate che il Signore non è generoso con una virtù da poco.

Nel viaggio Francesco lavava egli stesso i propri indumenti, si preparava talora anche il cibo... Via da noi lo schivare gli uffici più vili e bassi. Che importa se l'obbedienza mi assegna un lavoro umile? Una cosa sola importa: fare il proprio dovere. Umiltà, umiltà! Non la falsa umiltà, che ci scoraggia per aver scoperto un difetto; ma quella che ci fa ricercare i propri difetti; non quella che ci rende inquieti, ma quella che ci fa perseverare, che ci fa mettere subito a posto.

Francesco era sì obbediente al suo Superiore, che gli sarebbe bastata una parola del medesimo per lasciare tutto. È questa la stima che noi abbiamo dell'obbedienza cieca? L'obbedienza è figlia dell'umiltà. Il nostro Santo, prima di lasciare Goa alla volta della Cina, raccomandò ai suoi confratelli l'umiltà e l'obbedienza dicendo loro, a proposito della Lettera di S. Ignazio sull'obbedienza: " In questa c'è tutto! ".

Francesco non fu solo tutto di Dio e del prossimo, ma anche totus sui, non trascurando se stesso. Pregava e lavorava, lavorava e pregava. Come è tentare il Signore pensare a pregare senza lavorare, così lo è il lavorare senza pregare. In Missione v'è pure il tempo di pensare a voi. Non dico che vi manderemo a fare i Trappisti, ma è necessaria prima la nostra santificazione. S. Bernardo scriveva al Papa Eugenio: " Io ho paura di te e delle tue occupazioni; guarda di non far solo del bene agli altri, dimenticando te stesso " (1091). una tentazione del demonio il tralasciare di pensare a noi. Non dobbiamo fare come le campane, che chiamano la gente in chiesa, esse però non c'entrano mai.

Di regola il Signore non si serve per fare il bene, che dei santi; ed è forse per questo che tanti Missionari non fanno tutto quel bene che potrebbero fare. Dobbiamo essere molto per noi, perché per salvare un'anima è necessaria da parte nostra molta virtù, onde ottenere da Dio la grazia di quella conversione. Troppo sovente siamo tutti per le cose esterne e ben poco per noi. No, no! Prima santi e poi missionari; altrimenti non saremmo né l'uno n é l'altro.

Siate dunque divoti di questo Santo; raccomandatevi a lui specialmente nel giorno della festa. Le feste dei Santi si fanno così: invocandoli e imitandoli. Questo non disturba per nulla quanto avete da fare, e intanto attira su di voi le benedizioni di questo gran Santo. Pregatelo per i Missionari d'Africa, per i partenti, per quelli che restano: affinché ottenga a tutto l'Istituto un po' del suo spirito (dico un po', ma io voglio tutto!); ottenga anche a noi, nel nostro piccolo, di diventare sue copie fedeli. Ve l'ho detto e lo ripeto: voi tutti potete divenire altrettanti Francesco Zaverio, perché la grazia non vi manca. Ci vuole energia, volontà di ferro! Chiedete pure la grazia di essere un po' straordinari, giacché la virtù ordinaria non basta. E ricordatevi che se noi facciamo un passo verso il Signore, Egli ne fa quattro verso di noi. Io vi dico che se uno fosse così staccato dal mondo, così dato al Signore, da avere lo spirito di Francesco Zaverio, questo individuo sarebbe un missionario come lui, opererebbe miracoli come lui e condurrebbe a termine opere grandiose al par di lui!

Dica dunque ognuno di voi: Plus, Domine, plus! Voglio lavorare di più, impegnarmi di più nello studio, più generosità in tutto, più spirito di sacrificio, più zelo... e così di tutte le virtù. E un giorno, o qui o in cielo, diremo: Satis, Domine, satis! per la sovrabbondanza del divino gaudio in noi!

S. Fedele da Sigmaringa (24 aprile)

Il nostro Istituto dev'essere divoto di S. Fedele da Sigmaringa e considerarlo come speciale Protettore, insieme con S. Francesco Zaverio e S. Pietro Claver. Egli è il primo missionario mandato da Propaganda Fide contro gli eretici nella Rezia; e voi sapete che anche noi ci proponiamo di evangelizzare solo quelle Missioni che la Propaganda Fide ci assegna.

Fu ancora il primo martire di Propaganda. Un missionario deve sempre essere disposto al martirio, altrimenti non è un buon missionario; deve offrirsi vittima al Signore, disposto a qualsiasi sacrificio. La stessa S. C. di Propaganda Fide lo scelse a suo protettore. Pio XI, in una Lettera al Generale dei Cappuccini, nel terzo centenario della morte di S. Fedele (24 aprile 1622), dichiarò che questo Santo si rese esemplare perfetto dei Missionari e del come essi debbano prepararsi al ministero apostolico.

Per noi c'è un motivo speciale di esserne divoti; ed è che in questo giorno s'incominciò l'Istituto (fondazione morale). Fu infatti nel giorno della sua festa, 24aprile 1900, che a Rivoli, celebrando la Messa in suo onore, deposi sull'altare una lettera indirizzata al nostro Arcivescovo, in cui domandavo la parola definitiva per la fondazione dell'Istituto, e l'ebbi.

Se volete, aggiungete la speciale predilezione che ebbi per questo Santo fin da chierico; predilezione certamente infusami da Dio in previsione del futuro. Se andate al monte dei Cappuccini, vedrete una statua del Santo. Alla Madonna di Campagna (Torino) nel l'orto, c'è un quadro che lo rappresenta da chierico. Quand'io ero chierico, mi dilettavo di rimirare questo quadro.

Per tutti questi motivi egli è nostro Protettore, come religiosi e come missionari. Leggetene la Vita per ricopiare in voi le sue virtù; ricorrete alla sua intercessione per ottenere, come dice il Papa, di arricchire la vostra mente con lo studio delle varie discipline, ed allenare l'animo nella pratica costante di tutte le virtù.

Egli servirà ai probandi e ai novizi di esempio nel vincere le tentazioni di scoraggiamento, anche sotto la specie di maggior bene; e ci farà raffrenare la troppo giovanile avidità del ministero, mentre egli, fatto Sacerdote e professo, credé essere meglio attendere per altri quattro anni allo studio della sacra Teologia.

" L'esempio di S. Fedele - diceva il P. Melchiorre da Benisa, Procuratore dei Cappuccini - infervorerà in noi lo zelo per l'apostolato ". Per essere degli apostoli, occorre prepararvisi seriamente e lungamente; occorre quel corredo di cognizioni divine ed umane richieste dai tempi e dalle popolazioni che dobbiamo evangelizzare; occorre avere virtù non comuni ed un eccellente spirito di immolazione.

Noi dobbiamo dunque pregarlo e prenderlo a modello per riuscire degni missionari. Ma in che imitarlo in modo speciale? Nella virtù che formò la sua caratteristica, cioè la fedeltà alla vocazione. Il Signore suole applicare i nomi secondo la natura dei soggetti e la loro missione. Come dal Cielo venne il nome di Gesù al Divin Redentore, così ben a proposito il nostro Santo ebbe in Religione il nome di Fedele, perché fu in tutta la vita fedele alla voce di Dio e vi corrispose con tutta fedeltà.

Da giovane studente fu fedele a tutti i doveri cristiani; ugualmente lo fu dopo aver conseguito la laurea di avvocato, nonché nel viaggio di due anni fatto attraverso l'Italia e poi nell'ufficio della sua professione di avvocato: era un avvocato di grido. In tal modo si dimostrò preparato ad ascoltare la voce di Dio che lo chiamava alla Religione e vi si mantenne fedele, vincendo tutti gli ostacoli e scegliendo l'umile saio dei Cappuccini.

Osservò con somma fedeltà le regole del suo Ordine, prima come semplice frate, poi come superiore. Proposto dai Superiori a Propaganda Fide per la difficile missione di Rezia in Germania, obbedì con fedeltà e portò seco tre sole cose: il breviario, il crocifisso e la corona del rosario; assolvendo poi con fedeltà il suo incarico fino alla morte, fino al martirio.

Ecco perché questo Santo viene proposto a voi come modello di vita religiosa ed apostolica. Dovete imitarlo nella fedeltà ai vostri doveri presenti e futuri, nelle cose grandi e nelle cose piccole. Fedeltà a corrispondere alle grazie di Dio, a lasciarvi formare; fedeltà alla regola che è il mezzo datovi da Dio per riuscire degni missionari; fedeltà ai vostri proponimenti, fedeltà in tutto; cosicché, come dice la Chiesa nell'Oremus, anche noi siamo trovati fedeli fino alla morte: fideles usque ad mortem inveniri mereamur.

Siamo divoti di questo Santo, non solo nel giorno della festa, ma sempre. Pregatelo che vi ottenga questa costante fedeltà alla vocazione e alla corrispondenza alla medesima. E questa fedeltà sia universale, cordiale e semplice. Nella vestizione religiosa del nostro Santo il predicatore prese per testo del suo discorso d'occasione le parole dell'Apocalisse: Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita (1092). Anche voi siate fedeli in tutto e riceverete il premio promesso da Nostro Signore al servo buono e fedele. Bravo, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; entra nel gaudio del tuo Signore (1093). Ci esaudisca il nostro Protettore!

S. Pietro Claver (8 settembre )

S. Pietro Claver è proposto dalla Chiesa a Patrono per la conversione dei negri. In lui noi ammiriamo la carità e la pazienza eroica esercitata per più di quarant'anni a Cartagena, con gli schiavi. Non dobbiamo però fermarci qui, ma assurgere alle cause di tanta virtù e costanza nei sacrifici.

Esaminiamo come si è preparato a questo apostolato. Giovane, si distacca dagli amati e santi genitori, entra in Religione e quivi, come è deposto nei processi di beatificazione, in tutti gli anni non trasgredì alcuna regola... Ebbe a consigliere S. Alfonso Rodriguez, che egli ascoltò, quando gli indicò la sua speciale missione.

Nemo repente fit sanctus! Per riuscire santi Missionari con la necessaria carità e pazienza, bisogna formarsi da giovani e ben fondarsi in queste virtù... Bisogna pregare questo Santo tutti i giorni, e prepararsi alla sua festa con un po' di novena.

S. Francesco di Sales ( 29 gennaio)

La data solenne dell'approvazione ufficiale dell'Istituto (29 gennaio 1901) coincide con la festa di S. Francesco di Sales. Ciò non fu a caso; ma, nei disegni della Divina Provvidenza, e forse nella mente del nostro Arcivescovo, Card. Agostino Richelmy, fu appunto in questo giorno approvato l'Istituto per metterlo sotto la protezione di questo gran Santo, apostolo del Chiablese.

Un Santo Dottore scrisse che bisogna onorare tutti Santi, ma specialmente quelli che furono più vicini a noi, in mezzo a noi; che santificarono gli stessi luoghi che abitiamo. S. Francesco di Sales è dei nostri, perché visse in Savoia, che era unita al Piemonte. Fu sempre considerato un Santo di Torino. Sua madre venne più volte a Torino, e anche lui fu divoto della SS. Consolata. Una volta si fermò alla Consolata, e vi alloggiò per tre mesi. Egli è uno dei nostri Protettori, sebbene non sia stato tra gli infedeli, ma solo tra gli eretici. E voi sapete che la conversione degli eretici è comunemente ritenuta più difficile che quella degli stessi pagani.

Domandiamoci: come potè quest'uomo fare un così gran bene? Fu apostolo, fu fondatore di un Ordine Religioso, fu scrittore, è Dottore della Chiesa... Vedete, noi siam soliti ad ammirare le virtù e le opere dei Santi, ma risaliamo noi alla fonte, al mezzo, alla causa di tanto bene e di tanta santità?

Francesco di Sales non nacque santo e senza passioni; ma santo si formò con vincere queste passioni e corrispondere fin da principio, e poi sempre, alla grazia di Dio. Lo vediamo fin dalla nascita circondato dagli incentivi del mondo: nobiltà, ricchezze, ingegno, bellezza; e poi indole ardente e sensibile. Inoltre era il primogenito, cui spettava di diritto un posto cospicuo nella società... Egli dovette resistere a tutte queste seduzioni, tenersi fermo nella santa volontà di Dio, senza badare alle tre concupiscenze, ma combattendole e vivendole quotidianamente.

Lottò per moderare il suo carattere propenso alla collera. Sì, noi ora ammiriamo in lui la dolcezza, ma non l'ebbe da natura, neppure gli venne infusa, bensì l'acquistò attraverso l'esercizio dell'abneget semetipsum. Egli stesso confidava alla Chantal di sentirsi uomo come tutti gli altri e di aver lavorato una ventina d'anni attorno al suo carattere, per piegarlo a dolcezza, con energia e con sforzi continui. Si esaminava sempre su questo; e senza distruggere il suo temperamento, lo corresse e lo moderò. Si dice che, dopo morte, il suo cuore sia stato trovato come impietrito, per lo sforzo continuo di dominarsi. Insultato un giorno gravemente, non reagì. Gli fu allora domandato se non avesse sentito tali ingiurie. Rispose: " Eh, se aveste messo la mano sul mio povero cuore, in quel momento! ".

Lottò per la castità, per la quale ebbe a sostenere a Parigi lotte violentissime; ma non si lasciò vincere, resistette e fece il voto di castità; voto che poi rinnovò a Loreto. Lottò per seguire la vocazione sacerdotale, e più per recarsi nel Chiablese. Nessuno aveva il coraggio d'intraprendere un'opera tanto ardua e pericolosa; egli si offrì al Vescovo, senza guardare alle lacrime della madre e all'opposizione del padre. Partì con niente, ma aveva tutto, perché aveva Dio con sé.

Davvero che Francesco di Sales non nacque santo, ma tale divenne con corrispondere alle grazie di Dio. Volle ad ogni costo essere il quarto Santo di nome Francesco e lo divenne. Sempre, fin da principio, ebbe questa volontà di ferro. " Voglio, voglio! ". E ci riuscì. Ecco la preziosa lezione per noi. Non scusiamoci se non ci santifichiamo, coll'accampare la nostra cattiva natura, le tentazioni, ecc., ma piuttosto accusiamo la nostra pigrizia. Anche a noi Dio concede le grazie necessarie ed abbondanti per raggiungere quel grado di santità al quale ci chiama; siamo noi che non le traffichiamo.

Facendo meditazione su questo Santo, pensavo: " Se ognuno di noi facesse per la propria santificazione ciò che ha fatto Francesco di Sales! ". Egli visse in famiglia, dove certo non poteva ricevere quella formazione che si dà nei seminari; cose straordinarie non ne fece; non si legge infatti che abbia fatto in vita alcun miracolo... Eppure si santificò.

Se lui, e tanti altri con lui, perché non io?... Perché non noi?... L'essere stati chiamati all'apostolato è già un segno e un pegno che il Signore ci tien preparate molte grazie di santificazione. Non basta divenire buoni sacerdoti, no; ma, proposito sibi fine, sempre andare avanti, come fece Francesco di Sales. Egli è un Santo moderno. Forse aveva più miserie di noi, ma si vinse e divenne il più gran Santo dei suoi tempi. Or quello che fece lui, possiamo farlo ancor noi.

Le suddette considerazioni potremmo farle nei riguardi delle singole virtù. Si dice di lui: " È un Santo che piace a tutti, dolce, amabile; non faceva penitenze straordinarie ". Sì, sì, ma poi studiate, approfondite la sua vita e vedrete lo spirito di mortificazione che aveva, anche se non lo lasciava apparire all'esterno. Da se stesso rattoppava gli abiti. Tolto l'abito esterno, che era quale si conveniva alla sua dignità, tutto il resto era poverissimo; si contentava di qualunque straccio.

Si doleva di non aver imparato un mestiere per guadagnarsi il pane col lavoro, come S. Paolo. Faceva uso di abituali mortificazioni, portava il cilicio, si accontentava di qualunque cibo, buono o cattivo che fosse.

Eletto Vescovo di una Chiesa povera, alcuni gli suggerivano di cambiar Vescovado, optando per un altro più redditizio, come quello di Parigi, ma egli rispondeva: " Chi ha sposato una sposa povera, non la lascia per questo ". Quando il Senato minacciò di togliergli i beni materiali, disse semplicemente: " Diventerò più spirituale! ". Dipendeva dall'economo che gli era stato imposto, fino al centesimo. Si faceva un vanto di essere povero, e da quel poco che teneva per necessità, aveva il cuore staccato.

Quali sacrifici dovette sostenere durante la sua vita apostolica! Sempre insidiato, talora cercato a morte, calunniato anche. Lasciò la carica di Prevosto, assai comoda, per andare missionario. E qui spiegò uno zelo tutto suo, improntato a purità d'intenzione, a spirito di sacrificio, e specialmente a mansuetudine. Nell'Oremus che la Chiesa ci fa recitare e che contiene come la caratteristica del Santo, si dice: Deus qui ad animarum salutem Beatum Franciscum confessorem tuum atque Pontificem omnibus omnia factum esse voluisti. Tutto a tutti, per salvare tutte le anime. In questo modo convertì oltre 70 mila eretici. Fu un vero missionario e sarà sempre un Protettore dell'Istituto. Chiedetegli questo spirito di distacco, di sacrificio, di zelo per la gloria di Dio.

Ma se sperò sì gran bene, è perché fu umile. La Chantal testimoniò che il Santo soleva dire che Nostro Signore ama tanto questa virtù, da preferirla alla stessa castità; e che perciò talora egli permette che uno cada in qualche peccato contro la bella virtù, in punizione della superbia.

Fu umilissimo nei pensieri. " Umilissima era la opinione che aveva di sé - scrive ancora la Chantal - amava la propria abiezione; non potendo ignorare la stima di cui godeva, arrossiva di se stesso ". Ogni volta che si portava ad Avignone, era ricevuto dalla popolazione con grandi dimostrazioni di stima. Or egli racconta che, durante una di queste dimostrazioni, gli venne il pensiero di fare il ciarlatano; e l'avrebbe fatto, se non l'avesse trattenuto il timore di dare scandalo.

Fu umilissimo nelle parole. Era nemico del parlare di sé e delle lodi altrui. Prendeva volentieri le umiliazioni che il Signore gli mandava. Quando uscì il suo primo libro, la Filotea, piovvero da ogni parte le lodi, ma anche le critiche: un vero putiferio. Egli non si curò né delle une né delle altre; solo nel Trattato dell'amor di Dio ossia Timoteo, che uscì dopo, scriveva a mo' di prefazione: " In questo mondo vi sono molte cose perfette, ma non bisogna cercarle in casa mia ".

Di ritorno da Milano, disse alle Suore: " Io sono un fantasma, un'ombra di Vescovo, indegno di baciar la terra dove l'Arcivescovo di Milano (S. Carlo Borromeo) posa il piede ". Parlando della sua Diocesi diceva ad un ecclesiastico: " Se questa Diocesi avesse un Ilario, un Agostino, un Ambrogio, oh questi sì che dissiperebbero un po' meglio le tenebre dell'errore! ". E dopo una visita pastorale diceva quasi piangendo: " Meriterebbero un altro Pastore! ".

Fu umilissimo nelle opere. Basta ricordare le difficoltà da lui opposte alla sua elezione a Vescovo. Elettogli a Vicario suo fratello, gli prestò ogni onore e deferenza, dicendo che il medesimo avrebbe bene riparato gli errori da lui commessi. Entrato un dì in una chiesa per celebrare - era il giorno di Natale - ed avendo scorto un Sacerdote in procinto d'indossare i sacri paramenti, non accettò per sé la precedenza; assistette alle tre Messe e poi celebrò la sua. Lasciò per testamento di essere sepolto in mezzo alla chiesa, perché tutti lo calpestassero.

Vedete dunque che Francesco di Sales, senza mai degradarsi, sapeva tenersi in profondissima umiltà. Non era di quelli che mettono sempre innanzi la propria dignità, il proprio grado. Direte: " Ma egli era un Santo e non aveva tentazioni contro questa virtù! ". Risponde la Chantal, nella sua deposizione: " Mi disse una volta che aveva lavorato tre anni per acquistare l'umiltà e sommamente la stimava ". Leggiamo infatti, nella sua Vita, di tentazioni da lui avute contro questa virtù; non si inquietava però della tentazione, semplicemente la cacciava via. Questo è per nostro conforto. Procuriamo di imitarlo con fondarci bene in questa virtù; e non solo lavorare per tre anni, ma, se necessario, tutta la vita. Possedendo questa virtù, avrete zelo, perché non cercherete voi stessi, ma solo la gloria di Dio.

Lo zelo di S. Francesco di Sales fu inoltre improntato a dolcezza, a mansuetudine e anche in questa virtù, così necessaria all'uomo apostolico, egli deve essere il vostro modello. Non nuoce avere un temperamento pronto, ardente; talora è meglio averlo così che flemmatico. Chi è flemmatico, remissivo per natura, sta magari un anno senza scattare, ma poi viene il momento che scatta. Non dura la dolcezza, se non è fondata sulla virtù, se non la si è acquistata con continui sforzi. S. Francesco di Sales aveva un carattere di fuoco, eppure acquistò una mansuetudine ammirabile ed ammirata.

La sua mansuetudine e dolcezza s'accompagnava però con un'altrettanto ammirabile fortezza. Ricordate il suo detto: " Se nel mio cuore vi fosse un filo che non è per il Signore, lo strapperei senza pietà! ". Talora noi crediamo di essere tutti del Signore, ma se andiamo a fondo, quanti fili di attaccamento a noi medesimi! Filo d'invidia, filo di immortificazione, filo di tiepidezza; alle volte anche qualche filo più grosso. S. Francesco di Sales cercò solo e sempre di piacere a Dio. Le Suore da lui fondate hanno per motto: " Dio solo! ".

Chiediamo, per intercessione di questo gran Santo, la grazia di poter amare il Signore proprio con tutto il cuore e il prossimo come noi stessi, per amor di Dio. Questi due amori generano in noi lo zelo per la salvezza delle anime. A chi mette da parte sua tutto l'impegno, il Signore concede in questa vita anche il centuplo. Ma non dovete perdervi in un cucchiaio di acqua; essere invece coraggiosi, generosi e forti. Dire a voi stessi: " Voglio farmi santo, presto santo, grande santo; ed avere una volontà pratica. Le anime pusillanimi non sono buone a nulla, fanno solo perdere il tempo a sé e agli altri. Coraggio, dunque, e state allegri. S. Francesco di Sales era sempre allegro. Servite Domino in laetitia! (1094).

S. Tommaso d'Aquino (7 marzo)

S. Tommaso d'Aquino è detto l'Angelico, sia per leminente sua purezza di vita, sia per la sua dottrina più angelica che umana.

Figlio di nobile famiglia, a cinque anni lasciò la casa paterna per andare presso i Monaci di Monte Cassino. Più tardi rientrò a Napoli per gli studi; quivi il Signore gli fece sentire la chiamata allo stato religioso, nell'Ordine di S. Domenico. Ostacolato dai fratelli e dalle sorelle, che ritenevano cosa indegna del loro casato che uno si facesse frate, fu dai Superiori del convento inviato a Parigi, onde sottrarlo alle vessazioni dei familiari. Lungo il tragitto venne fermato dai fratelli, che lo rinchiusero in un castello, nella speranza che si decidesse a deporre l'abito. Ricorsero anche a mezzi indegni, tentando di fargli perdere l'innocenza. Purtroppo alle volte i parenti preferiscono vedere i figli depravati, piuttosto che Religiosi. Mandarono una persona a tentarlo, ma il Signore l'aiutò ed egli la scacciò via con un tizzone acceso. D'allora in poi non ebbe mai più tentazioni riguardo alla bella virtù; fu come confermato in grazia riguardo alla purezza.

Riusciti vani i tentativi dei fratelli, vennero anche le sorelle con lo stesso intendimento, ma egli riuscì a convincerle del contrario, a ridurle a migliori sentimenti; sì ch'esse pure si diedero ad una vita di pietà. Finalmente, calato dalla torre attraverso una finestra, poté proseguire per Parigi. Qui studiò filosofia e teologia, fu predicatore, scrisse libri poderosi, fra cui la Somma Teologica, ed ebbe dal Papa l'incarico di comporre l'Ufficio del Corpus Domini.

Non era mai ozioso, nemmeno quando viaggiava. In viaggio per Lione, cadde ammalato e si ritirò presso i Cistercensi, che gli chiesero di commentare la Cantica dei Cantici; il che egli fece come preparazione alla morte.

S. Tommaso venne preposto da Leone XIII come celeste Patrono alle scuole cattoliche, o meglio a tutti gli studi filosofici e teologici. Egli infatti insegnò e scrisse cos ì bene, e tanto, da confutare tutti gli errori passati e futuri. Le sue opere vengono subito dopo quelle rivelate. Nel Concilio di Trento erano collocate presso la sacra Bibbia. Chi segue gli scritti di S. Tommaso non può sbagliare. Nostro Signore stesso, secondo una tradizione, lo lodò dicendogli: Bene scripsisti de me, Thoma! Un " bene " del Signore vale un " optime! ". Poi ancora il Signore gli chiese: " E adesso che mercede vuoi? ". Ed egli furbo: " Nessun'altra all'infuori di Te! ". Non chiese altro, ma: " Te stesso, o Signore! ". Quando c'è il Signore, c'è tutto.

Quali mezzi usò egli per giungere a tanta altezza? Accenno a tre.

Castità - La sapienza non entra nell'anima impura. Bisogna avere testa e cuore limpidi e puri. Il nostro Santo era purissimo e vedeva tutta la verità. Beati i mondi di cuore, perché essi vedranno Dio (1095).

Umiltà - Era tanto umile, che non dimostrava di sapere; pareva anzi che non capisse, tanto che gli diedero un ripetitore. Lo chiamavano il " bue muto ". Ma il maestro, S. Alberto Magno, ne prese un giorno le difese, dicendo: Questo bue farà sentire un giorno i suoi muggiti! ".

S. Tommaso attribuiva tutto a Dio, nulla a sé. Imitiamolo in questa purità d'intenzione. Dio è geloso e ne ha ragione; vuole che nessuno gli porti via la sua gloria. Il Santo non riuscì a terminare i suoi libri, ma non chiese al Signore di lasciarlo in vita a questo scopo. Era poi anche mortificatissimo, benché lo si raffiguri e fosse realmente pingue.

Preghiera - Non si metteva mai a studiare senza aver pregato a lungo e, nelle maggiori difficoltà, aggiungeva il digiuno. Mai avrebbe lasciata una pratica di pietà per lo studio. Anche a tavola pensava alle sue questioni teologiche. Una volta che si trovava a pranzo dal re, gli venne in mente la soluzione d'una questione; subito fece venire un amanuense e gliela dettò. Dal che si vede che pensava poco al cibo che prendeva. Fu insomma uomo di studio e di preghiera. Ecco ciò in cui dovete imitarlo.

S. Tommaso è Patrono di tutte le scuole e anche delle nostre. Egli è anche Protettore del Seminario Maggiore del Kenya. Chiedetegli la grazia di poter avanzare negli studi e in tutte le virtù.

S. Luigi Gonzaga (21 giugno)

Oggi è la festa di S. Luigi Gonzaga. Vien subito dopo la festa della SS. Consolata, perciò ne perde un poco... tuttavia possiamo e dobbiamo celebrarla con fervore. Leone XIII lo diede a Protettore della gioventù studiosa ed è quindi anche Protettore vostro.

In che cosa dovete imitarlo? Nella bella virtù. Egli era un angelo in carne. Ma per divenire un angelo, bisogna usare i mezzi. Ne accenno a uno in particolare: la penitenza.

S. Luigi unì la più integra innocenza alla più rigorosa penitenza. Miram vitae innocentiam cum poenitentia sociasti, dice l'Oremus. Chi vuole soddisfare a tutti i capricci, chi rifiuta di castigare le sue passioni, chi ricusa di mortificarsi, chi vuole concedere tutto ai propri sensi, è impossibile che si possa mantenere puro e casto. Bisogna tagliare, e sempre, perché queste tentazioni non cessano con gli anni, ma tormentano anche i vecchi. Bisogna mortificare gli occhi: non desiderare di vedere sempre tutto. Tagliare la fantasia: non lasciarla correre come e dove vuole, ma frenarla. Tagliare la lingua: tante parole inutili. Tagliare le orecchie: non voler sempre udire tutto, tutte le notizie, i fatti, ecc. Tagliare la gola: fare tante piccole mortificazioni.

S Luigi, per conservarsi puro, incrudeliva contro se stesso; dormiva sopra un duro letto e vi metteva per giunta dei pezzi di legno. Soffriva il freddo, mangiava parcamente e si flagellava. Io non voglio che facciate tutto questo, ma un pochino ci vuole. Si possono fare tante piccole mortificazioni, tante piccole penitenze. Chi non usa questi mezzi e vuole mantenersi puro, vuole l'impossibile.

Verranno sempre le tentazioni; ma le tentazioni non sono peccati. Finché io non voglio quelle cose, non sono peccati. Ma bisogna premunirsi, mortificando i sensi; non concedere tutto al corpo anche quando è stanco. Bisogna battere l'asino, farlo correre.

Cerchiamo di imitare questo caro Santo, come ci esorta l'Oremus della festa: Concede ut innocentem non secuti, poenitentem imitemur. Domandategli la grazia della bella virtù, rinnovando il proposito di usare tutti i mezzi per conservarsi puri. Ditegli: a Io voglio essere puro, casto come voi; se non posso imitarvi anche nella penitenza, almeno voglio avere lo spirito di penitenza, voglio tagliare tutte quelle piccole cose. S. Luigi vi aiuterà nella difficile lotta contro le insidie del demonio e della carne. Egli è nostro Protettore; pregatelo che vi ottenga questa grazia.

Insegna anche l'amore alla povertà e all'umiltà. Egli apparteneva a una famiglia principesca, aveva ricchezze, e abbandonò tutto. Leggevo nella Vita di lui, che aveva un grande desiderio di andare nelle Missioni, ma i Superiori non glielo permisero, per mancanza di salute. Morì di peste a soli 24 anni. Arrivato in breve a perfezione, egli aveva percorso un tempo lungo (1096).

S. Giovanni Battista (24 giugno)

Non è festa di precetto, ma essendo S. Giovanni Battista Patrono della Diocesi di Torino, per noi è come se lo fosse. È una festa di giubilo perché alla nascita di lui la gioia si diffuse per le montagne della Giudea, fra parenti e conoscenti; mentre il padre di lui, Zaccaria, già muto per la diffidenza mostrata alla promessa dell'Angelo, riacquistò la favella e intonò quel magnifico canto del Benedictus, in cui Giovanni è proclamato Profeta dell'Altissimo e precursore del Messia.

S. Giovanni Battista può dirsi il tipo e modello dei Missionari: nella vocazione, nella preparazione e nella vita apostolica. Prescelto da Dio a preparare la via a Nostro Signore, ebbe a questo fine una missione divina: Missus a Deo (1097). Non fu solo come gli altri Profeti, che del Messia predissero la venuta e ne diedero i segni; egli dispose prossimamente gli animi a riceverlo con la penitenza. Presentatosi poi il Divin Salvatore, egli lo additò al popolo: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (1098); a Lui indirizzando i sui discepoli ed ammiratori. E Gesù, ricevuto il battesimo da Giovanni, prese possesso della sua celeste missione in terra.

Anche voi, per speciale grazia di Dio, foste da tutta l'eternità predestinati non solo alla creazione, non solo al cristianesimo, ma all'apostolato. Perciò il Signore vi arricchì di un corpo sano, di un'anima capace di amarlo e farlo amare. Ringraziatelo della preferenza a voi usata. Ah, no, non per caso siete venuti qui; il Signore fa nulla a caso. È lui che vi ha scelti. Sarete missionari e preparerete la strada a Nostro Signore in mezzo ai pagani; lo precederete con l'esempio delle vostre virtù, con la predicazione e coll'amministrazione dei Sacramenti. Per mezzo vostro Gesù prenderà possesso di quelle anime ch'Egli pure creò per Sé e per il Paradiso.

Come si preparò S. Giovanni alla sua grande missione? Per parte di Dio: fu santificato prima di nascere, gli fu dato un nome singolare che significa " grazia ", e molti prodigi si compirono alla nascita di lui. Per parte sua, corrispose alla divina chiamata e si diede a ben prepararsi con l'innocenza della vita, con la preghiera e lo studio delle Sacre Scritture; ritirandosi nel deserto a vivere di penitenza... Così voi, ricevuta la prima educazione dai genitori, vi siete ritirati in questa santa Casa, lontani dai pericoli del mondo; e qui attendete a formarvi nella preghiera, nello studio e nella mortificazione delle passioni, all'alta vostra missione.

Vi sono due modi di preparazione: la prima la fa Dio con chiamarvi, con attirarvi qui e con l'abbondanza delle sue grazie; Egli vi dà tutto quello che è necessario per l'anima e per il corpo. L'altra preparazione spetta a voi. Giovanni Battista è stato confermato in grazia; voi, nel battesimo, avete ricevuti tanti aiuti per fuggire il peccato, e qui riceverete tanti mezzi per santificarvi.

In particolare S. Giovanni Battista esercitò quattro virtù, le quali propongo a voi, come quelle che sono necessarie per formare un vero missionario: la penitenza, la castità, l'umiltà e lo zelo.

Penitenza - Giovanni Battista era figlio unico e ben possiamo supporre quanto fosse amato dai suoi genitori, quanto amorosamente accudito. Eppure lascia tutto e tutti per ritirarsi nel deserto, dove indossa una semplice pelle di cammello e si nutre di miele selvatico e di locuste; si accontenta cioè del puro necessario. In tal modo egli si prepara ad essere un giorno idoneo alla sua missione .. Anche voi, a ben prepararvi all'apostolato, dovete formarvi allo spirito di penitenza, non solo interna ma esterna, come tante volte vi ho detto. Dovete cioè praticare le piccole mortificazioni; come quella del non bere fuori pasto (il che vi sarà tanto utile in Africa) ed essere regolati nel cibo. Se uno sa regolarsi, anche il corpo sta meglio. S. Giovanni Battista mangiava poco e di lui dicevano i Farisei: " che non mangiava né beveva ".

Castità - Giovanni Battista fu casto, anzi martire della castità, per aver ripreso il dissoluto Erode. Fu decollato per aver preso le difese della bella virtù. Nessuno potè mai incolparlo di nulla su questo punto. Se non fosse stato castissimo, Erode avrebbe potuto rispondergli: "Perché vieni a rimproverare me? Guarda te stesso! ". Così voi dovete essere puri, casti, in modo da trascinare con il vostro esempio quegli indigeni delle Missioni all'amore e alla pratica di questa virtù. Ciò vi attirerà la loro benevolenza, il loro rispetto, e farete un bene immenso.

Umiltà - S. Giovanni Battista fu umilissimo. Quando Nostro Signore si presentò a lui per farsi battezzare, egli si proclamò indegno di far ciò e non accondiscese che per obbedienza; poi ancora davanti alle turbe si proclamò indegno di sciogliere i legacci dei calzari del venuto Messia. E quando Gesù incominciò la sua vita pubblica, egli scomparve: Oportet me minui (1099). Anche il missionario dev'essere umile. In tanto farà del bene, in quanto sarà umile, tutto attribuendo a Dio, nulla a sé.

Zelo - Giovanni Battista, uscito dal deserto, si diede alla predicazione per preparare i cuori a ricevere Nostro Signore; e in questo ministero dimostrò zelo e fortezza fino alla morte... Così voi non siete stati chiamati ad essere Trappisti o Certosini, ma Missionari: a lavorare per la dilatazione del regno di Nostro Signore, sacrificando a tal fine anche la vostra quiete.

Qualche volta mi è venuto in mente di non più pensare né a voi, né ai Convittori, per pensare solo più a me. " No! no - il Signore mi dice - voglio che tu mi faccia conoscere per mezzo di questi sacerdoti, di questi religiosi; quando poi sarai in Paradiso mi contemplerai a tuo piacimento ". È un fatto che bisogna tirare, per giungere a fare la mediazione. Alle volte mi chiudo in camera e lascio che suonino. È per non divenire arido, per non sperperare tutto fuori, tutto agli altri... Insomma, si fa quello che si può.

Giovanni Battista, con una vita di sacrificio e di zelo, si fece gran santo ed anche dopo tanti secoli è onorato sulla terra, mentre più nessuno parla di tanti altri che quaggiù fecero rumore, ma non ebbero sì bella vocazione o non corrisposero. Animatevi, miei cari, a questi esempi. Pregate questo gran Santo, il cui nome significa " grazia ". Dite a voi stessi: " Voglio essere sempre in grazia di Dio ", e intanto cercate di perfezionarvi in quelle virtù, di cui egli ci ha dato sì preclaro esempio. Di S. Giovanni Battista è detto che era una " lucerna ardente e splendente "; così voi dovete ardere di amor di Dio, per essere luce a quei popoli che giacciono ancora nelle tenebre. Siate perciò divoti di questo Santo, che farete bene a scegliere anche a vostro Protettore.

SS. Pietro e Paolo (29 giugno)

Oggi è la festa dei Santi Pietro e Paolo. Che cosa imparare da questi due grandi Santi? Essi sono i due primi Missionari, i fondamenti della Chiesa: fundamenta Ecclesiae; e molto c'è da imparare da essi. Accenno a due virtù in particolare, che più delle altre risplendettero in essi: la fede e la carità.

Fede - S. Pietro, che fede viva aveva! Quando Nostro Signore interrogò gli Apostoli: " Che cosa dicono gli uomini che Io sia? ", gli risposero: " Gli uni dicono che sei Giovanni Battista, altri Geremia, ecc. ". Allora Nostro Signore: " Che gli uomini dicano questo va bene; ma voi, voi che non siete degli uomini comuni, che cosa dite ch'Io sia? ". Rispose S. Pietro: " Tu sei il Cristo, Figlio di Dio vivo! " (1100). Che bella professione di fede!... Lo dichiarò vero Figlio di Dio e ciò fece pubblicamente. Allora Nostro Signore gli promise di costituirlo pietra fondamentale della sua Chiesa, dandogli la suprema potestà di sciogliere e legare sulla terra.

La fede di S. Pietro si manifestò anche in altre circostanze, come quando Gesù fece la promessa di dare a mangiare la sua Carne e a bere il suo Sangue, e tutti si scandalizzarono, dicendo che ciò non era possibile; e se ne andarono. Nostro Signore si rivolse allora ai suoi Apostoli: " Volete andarvene anche voi? ". Ma Pietro: " Ah, no, Signore! Noi staremo sempre con Te, perché Tu solo hai parole di vita eterna! " (1101).

E così in molte altre circostanze, dimostrandosi egli uno dei primi, anzi il primo per vivezza di fede. E' vero che Nostro Signore gli predisse la triplice negazione, ma anche subito gli soggiunse: " Io ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede"(1102). Quando Nostro Signore chiamò Pietro al suo seguito, questi, pur essendo già di età avanzata, tosto lo seguì, e non lo abbandonò più.

E S. Paolo? Oh, aveva una fede grandissima! Una fede ch'egli voleva predicare in universum mundum. E diceva: " Io voglio vivere di fede! ". Non solo fede, ma vita di fede.

Dunque, questi due Santi ci sono di esempio nella virtù e nella vita di fede, e noi dobbiamo imitarli. Bisogna che anche la nostra fede abbia i caratteri della vera fede: intera, assoluta, cieca; non lasciarci perdere per una tentazione che venga, ma essere disposti, per la fede, a lasciarci tagliar la testa. Le verità di fede bisogna crederle come se le vedessimo con i nostri occhi, e più ancora...

E poi fede nel Papa, pensando e credendo che egli è infallibile, che tiene il posto di S. Pietro. Il Papa è S. Pietro, tale e quale; è come se S. Pietro in persona comandasse, dicesse ciò che vuole che facciamo. E' S. Pietro che vive nel Papa!

Carità - La seconda virtù che dobbiamo imparare da questi due Santi è la carità. S. Pietro era tutto fuoco di amore per Gesù. Dopo la risurrezione, Nostro Signore interrogò S. Pietro: " Mi ami più di tutti questi?" (1103). S. Pietro ricordandosi del suo rinnegamento, non osava dire proprio che lo amava più degli altri, e solo rispose: " Mah... mi appello al tuo Cuore... tu sai tutto, tu sai che io ti amo(1104).

Da tale amore veniva in S. Pietro l'impegno, lo zelo di far amare Gesù, il sostenere tante fatiche apostoliche e poi anche il martirio. Condannato a morte, chiese di essere crocifisso per essere più simile al Divin Maestro; ma per umiltà, volle essere crocifisso col capo all'in giù... Ciascuno di noi dovrebbe poter dire di amare Gesù più di tutti gli altri, o almeno desiderare di amarlo così. E questo non è superbia, sapete!

E S. Paolo? Di lui disse S. Giovanni Crisostomo: " Il cuore di Paolo era come il Cuore di Gesù! " (1105). Una fiamma sola!... Già vi ho detto come nelle sue Lettere egli non si stancava di ripetere il nome di Gesù; come non badava a fatiche e sacrifici per salvare le anime. Impendam et superimpendar! (1106) mi spenderò e mi sopraspenderò, farò il possibile e l'impossibile, purché Nostro Signore sia amato! Per nessun altro motivo egli lavorava, se non per questo: amare e far amare Nostro Signore... Anche noi, tutto quello che facciamo, bisogna che lo facciamo perché Nostro Signore sia glorificato e amato da tutti.

Questa è la duplice lezione che dobbiamo imparare dalla festa di oggi: una fede viva ed un amore ardente. E intanto scaldare i nostri cuori nella venerazione di questi due grandi Santi, nonché nella divozione al Papa, noi che professiamo speciale obbedienza alla Cattedra di S. Pietro.

S. Paolo (30 giugno)

Tre sono le virtù particolari che rifulgono in S. Paolo: energia, amore, zelo.

Energia - Quanto tenace era stato a perseguitare i cristiani, altrettanto divenne a salvare anime. Egli fu chiamato all'apostolato alcuni anni dopo la morte di Nostro Signore. Aveva studiato presso i Farisei che l'avevano posto in onore. Aveva tanto ardore per la Legge, che, quando lapidarono S. Stefano, lui, giovane, faceva la guardia ai vestiti dei lapidanti. Era uno zelo non buono, ma egli stesso confesserà più tardi di aver fatto questo per ignoranza: era persuaso di far bene Più tardi, egli si fece dare lettere per Damasco, al fine di arrestare tutti i cristiani di quella città. Con gioia faceva i conti con la sua malignità, ma non con Dio. E il Signore, lungo il tragitto, gli fece balenare un lampo che lo stramazzò a terra: " Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? " - a Chi sei tu, Signore? " - " Sono quel Gesù che tu perseguiti! ". Allora egli rispose con quelle belle parole: " Signore, che vuoi che io faccia? "(1107). Era già come dire: " Sì, o Signore, ti riconosco per mio Dio, mi dono a te totalmente, pronto a fare tutto quello che vorrai! ".

Poiché S. Paolo aveva energia, il Signore avrà detto: " Mi servirò di questa energia, di questa forte volontà ". E di un persecutore ne fece il più grande apostolo. D'allora in poi Saulo non fu più Saulo, ma Paolo. Si ritirò alcuni anni in Arabia, nella solitudine, nella preghiera e nello studio, per così prepararsi al l'apostolato. Poi, senza nulla concedere alla carne e al sangue, mise il suo carattere ardente a disposizione di Nostro Signore, per la propagazione della fede... Quanta energia aveva!... Se fosse stato un fiaccone non avrebbe fatto nulla!

Noi dobbiamo imitare S. Paolo. Non essere testardi, no, ma tenaci; o, se volete, avere una santa testardaggine. Coloro che sono tenaci fanno molto del bene. Dovete essere tenaci di carattere.

Alcuni dicono: " Che bisogno c'è di andare in Africa? C'è bisogno di sacerdoti qui! ". No, di Sacerdoti ce n'è abbastanza nei nostri paesi. Se in Torino cene fossero solo cinquanta o anche meno, ma lavorassero di più, tutto andrebbe bene ugualmente.

Abbiamo bisogno di gente energica. Chi è energico si santifica. Non essere di quelli che, per un maluccio, per una cosetta da nulla, perdono la pace! S. Paolo diceva: a Ho lavorato con le mie mani per guadagnare il pane a me e agli altri! ". Era lungi dallo starsene con le mani in mano!

Primo carattere dunque di S. Paolo è l'energia, la tenacia, lardore. Potete farvi santi senza far miracoli, ma non senza lavorare! Senza energia non farete del bene in Africa. Non perdetevi in cose poetiche; cominciate a lavorare fin d'ora e con grande energia. Trovo lungo il Rosario? Coraggio!... Ho un maluccio?... Su, non essere molle! Chiedete a S. Paolo un po' della sua attività ed energia. Chi non l'avrà qui, non l'avrà neppure in Africa.

Amore - Il secondo carattere di S. Paolo è l'amore. A convincersene basta leggere le sue lettere; basta leggere certi versetti delle medesime per conoscere l'amore sviscerato che egli portava a Nostro Signore. " Chi mi separerà da Nostro Signore? " (150) andava egli esclamando. E concludeva che nessuno e niente avrebbe potuto separarvelo: non gli uomini, non i demoni, non gli Angeli!... E non erano solo parole, perché difatti non si perdé di coraggio di fronte alle persecuzioni, alle flagellazioni, alla lapidazione, ai pericoli per terra e per mare, alle insidie dei suoi nemici. Il Signore lo fece passare per tutte le peripezie, e lui sempre fermo! E lanciava l'anatema a chi non avesse amato Nostro Signore!... È così che si prova l'amore: lavorare, affaticarsi, sacrificarsi per Lui; non lasciarsi separare da Lui da nessuna tentazione, da nessuna prova, da nessuna difficoltà; tutto riferire a Lui e niente a noi stessi. Ecco l'amore che dobbiamo chiedere a S. Paolo: amore ardente, fattivo, costante.

Zelo - Il terzo carattere di S. Paolo è lo zelo. Basta anche qui un rapido sguardo alle sue Lettere, per farsi un'idea dello zelo che aveva per la conversione degli Ebrei. Uno zelo tale, che non solo lo faceva pronto a dar per essi la propria vita, ma altresì tutte le consolazioni di Nostro Signore. Vorrei essere io stesso anatema e separato da Cristo, per i miei fratelli (11O8). C'è qui il più alto eroismo della carità e dello zelo... Ed è proprio questo amore ardente verso Nostro Signore, che lo spingeva a farsi tutto a tutti, come se fosse stato debitore verso tutti.

Chi ama opera; chi non ha zelo è perché non ha amore. So che al Signore sta tanto a cuore la salvezza delle anime, perciò studio, lavoro, mi spendo, mi sacrifico e tutto per le anime!

Non dimentichiamo però che queste tre virtù, come del resto tutte le virtù, poggiano sull'umiltà. S. Paolo operò molto, perché fu molto umile. Si dichiarava il minimo degli Apostoli, anzi indegno di essere chiamato apostolo, per aver perseguitato la Chiesa. Se qualche volta era obbligato a chiamarsi apostolo, lo faceva per puro zelo. Nonostante le cose straordinarie che il Signore operava in lui e per mezzo di lui, egli si riteneva un nulla, tutto attribuendo alla grazia di Dio. Si sottoscriveva: Paolo, schiavo di Nostro Signore Gesù Cristo.

Impariamo da lui questa sì importante virtù; poiché se non c'è umiltà, non c'è niente. Ciascuno di noi dovrebbe essere intimamente persuaso di essere il minimo dei missionari, il più indegno di stare in questa Casa. Se il Signore vede un'anima umile, se ne compiace, e versa su di essa le sue grazie. Certe volte invece basta una parola per farci insuperbire, come basta un'osservazione per farci perdere la pace. Mons. Gastaldi diceva: " Mi rincresce se, per dire una parola, per fare un'osservazione, debbo aspettare il momento opportuno; tale modo di procedere non mi piace, perché è credere che chi deve ricevere l'osservazione abbia poca virtù ". È segno di poca virtù per un missionario, quando ci vogliono tanti raggiri di parole per fargli un'osservazione, quando ci vuole sempre un po' di zucchero per fargliela ingoiare.

Coraggio, energia, volontà di ferro! Se studio, studio per salvar anime; se lavoro, lavoro per salvar anime; se faccio un sacrificio, lo faccio volentieri per salvar anime. Energia e costanza! Ma per questo bisogna amare molto Nostro Signore, amarlo svisceratamente, come lo amò S. Paolo. Non dobbiamo mai dimenticare l'Apostolo delle genti. È nostro Protettore naturale. Egli difendeva i Gentili. Egli ci difenderà, ci aiuterà, ci darà di poterlo imitare nello zelo per la salvezza di quei poveri popoli che attendono l'opera nostra.

S. Ignazio di Lojola (31 luglio)

S. Ignazio fu anche missionario, fondatore e superiore dei missionari; perciò ne conosce i bisogni e li protegge dal Cielo. Appena iniziata la Compagnia di Gesù, fece voto con i primi compagni, di portarsi in Terra Santa per venerare quei luoghi e darsi alla conversione dei Turchi. Non avendo potuto soddisfare a questo suo desiderio, si recò a Roma per mettersi a disposizione del Papa. Inserì nelle Costituzioni un voto de Missionibus e vi mandò S. Francesco Zaverio e tanti altri. Lo spirito del Santo si conservò fra i Gesuiti e ogni Provincia ha la sua Missione.

Che cosa dobbiamo fare in suo onore? Anzitutto invocarlo, pregarlo. È un grande Santo, che ebbe l'energia di santificarsi in mezzo a tante peripezie, e di fondare una Congregazione di Religiosi energici per la gloria di Dio. Era uno dei Protettori di S. Giuseppe Cafasso.

Un giorno venne da me un Gesuita e gli chiesi un favore, dicendogli: " Sono anch'io un Gesuitante! ". Sapete che il Gioberti disse del Teol. Guala, fondatore del Convitto Ecclesiastico: " Se non è un Gesuita, è un Gesuitante; il Convitto è un covo di Gesuitanti ". Dicevo perciò a quel Padre: " Siccome il Convitto fu fondato da un Gesuitante, lo sono anch'io che sono un suo successore, e quindi ho dei diritti ". Egli mi accordò il favore richiestogli.

Dunque, pregarlo. Quando dite quella bella preghiera: Anima Christi... ricordate che è di S. Ignazio. Ditela sempre dopo la Comunione; io non la tralascio mai. Così quell'altra: Suscipe, Domine, omnem voluntatem meam...(11O9). Così bella! S. Ignazio ne ha fatte poche preghiere, perché non era fatto per scrivere; ma era infervorato d'amore per Nostro Signore, e queste preghiere ci scuotono. Se pregate con le stesse sue preghiere, gli fate piacere.

Poi imitarlo. Egli non era un fiacco e io non voglio gente fiacca, musona; voglio gente allegra e attiva, ma che non si dissipi. Nel Santuario di S. Ignazio, ai piedi della grande statua, c'è un Angelo che porta lo stemma del Santo con la scritta: Ad majorem Dei gloriam. Tutta la sua vita, tutta la sua missione è compendiata in queste parole. Il suo motto era infatti: " Tutto per la maggior gloria di Dio! ". Non si curava d'altro che della gloria di Dio.

Benché godesse del bene che la Compagnia da lui fondata andava facendo, tuttavia diceva che se il Signore avesse voluto disfarla, ne avrebbe sofferto sì, ma gli sarebbe bastato un quarto d'ora di preghiera da vanti al Tabernacolo per rimettere il cuore in pace (1110). Eh, l'umiliazione fa mettere la testa a posto e tutto serve nelle mani di Dio. Diceva ancora che se avesse già avuto un piede in Paradiso e ci fosse stata ancora quaggiù un'anima da salvare mediante l'opera sua, egli avrebbe scelto - ove fosse dipeso da lui - di venire prima a salvare quest'anima.

Dunque, la gloria di Dio, la sola gloria di Dio, la maggior gloria di Dio. Non siamo in questo mondo che per questo: conoscere, amare e far amare il buon Dio. Egli non poteva crearci che per Sé, e noi non dobbiamo cercare che Lui, la sua maggior gloria, nell'adempimento della sua volontà. Voi dovete fare tutto ciò che piace di più al Signore, cercare non solo il bene ma il meglio; spasimare che il Signore sia glorificato, avere la febbre che il Signore sia glorificato. S. Ignazio l'aveva questa febbre; il fuoco dell'amore e dello zelo gli bruciava il cuore. Facciamo in modo che il Signore non abbia da vergognarsi di noi.

Proposito: incominciare subito! Pretendo che la volontà sia di ferro: volontà di ferro di santificarsi, e volontà che tutto quello che faremo qui e in Missione, sia ad majorem Dei gloriam!

S. Bernardo (20 agosto)

Oggi è la festa di S. Bernardo, Dottore della Chiesa. Nacque nello stesso paese di S. Giovanna di Chantal, della quale celebreremo domani la festa. È un Santo che mi piace. Da giovane, per vincere una cattiva tentazione, si gettò in uno stagno d'acqua gelida. All'età di ventun anno andò nel deserto fra i monaci di Cistercio.

Superiore dei Cistercensi era allora S. Stefano, il quale, vedendo che i suoi frati erano così pochi, pregava di continuo il Signore che non lasciasse perire il monastero. Fu allora che vi giunse S. Bernardo con suo padre, i suoi fratelli e trenta altri compagni.

Quand'egli partì di casa, non vi restava che il fratello minore. Egli lo salutò: " Vado e lascio a te tutti i beni ". Ma quegli a rispondergli: " A te i beni del Paradiso e a me quelli della terra? No, non sarà così ". E lo seguì nel deserto.

Alla Consolata c'è un quadro che raffigura tutti i membri della famiglia di S. Bernardo: sono tutti Beati. C'è anche la sorella: quella che un giorno andò a trovare S. Bernardo, ma non fu da lui ricevuta perché vestita troppo elegantemente. Ella allora si vestì da povera e fu ricevuta.

S. Bernardo fondò poi il monastero di Chiaravalle ed altri, di modo che, alla sua morte, questi erano 160. Egli può essere nostro modello, perché unì in sé la vita attiva alla contemplativa, quindi fu un vero apostolo. Religioso, adempì fedelmente tutti gli obblighi della vita contemplativa; restauratore della Chiesa, spiegò un'attività straordinaria per il bene della cristianità. Basta ricordare la Crociata da lui predicata per ordine del Papa. In particolare possiamo imitarlo, in tre virtù: unione con Dio, spirito di mortificazione, umiltà.

Unione con Dio - Di lui dice il Breviario: " Era così dedito alla contemplazione, che sembrava non usar dei sensi se non per gli esercizi di pietà ". i~ questa una solenne attestazione della Chiesa. Costretto ad uscire dal monastero per obbedienza al Papa, esclamava: " L'anima mia è triste fino a che io non potrò ritornarvi! ". Però anche quando usciva, non si dissipava. Ubique solus erat! Nei suoi viaggi, fra il tumulto del mondo, in mezzo alle folle che accorrevano a lui, non si lasciava mai distrarre, ma continuava ad essere solo con Dio, sempre unito a Lui. E così otteneva molto, perché operava in unione con Nostro Signore... Facciamoci anche noi l'abito del raccoglimento, per cui ogni nostra azione sia fatta alla presenza di Dio, in unione a Dio, solo per Dio.

Mortificazione - La mortificazione fu come la seconda vita del Santo. Di delicata costituzione, con forte volontà si adattò ai lavori manuali del monastero: zappare, portar legna, ecc. Nel riposo, nel cibo, andò tant'oltre nell'esercizio della mortificazione, da averne danneggiata la salute e dolersi più tardi dell'indiscrezione avuta. Dice di lui il Breviario: " Tutte le volte che doveva prendere cibo, era per lui un tormento ". E sì che i Cistercensi hanno una regola austera: non solo non mangiano mai carne, ma praticano numerosi digiuni, oltre gli ordinari.

È nota altresì la sua indifferenza al cibo e alla bevanda, per cui un giorno bevette olio invece d'acqua, senza neppure accorgersene. Per un anno intero fu curato da un infermiere irragionevole, e il Santo ne subì tutti i capricci con tranquillità, senza mai lamentarsi, fino a che gli altri, accortisi, cambiarono l'infermiere... E noi come stiamo in materia di mortificazione?

Umiltà - L'umiltà di S. Bernardo fu tale, da rifiutare gli onori, gli arcivescovadi di Milano e di Genova, nonché tante dimostrazioni che le turbe cercavano di dargli. Dolente esclamava: " Sono una maschera, non sono quale mi credono! ". Chiedeva al Signore che lo facesse apparire così vile ed abietto agli occhi di tutti, che fossero poi vergognati di averlo lodato. Ciò avvenne specialmente dopo l'infausto esito della Crociata, della quale egli aveva assicurato la buona riuscita comprovando la promessa con miracoli. Si gettò su di lui tutta la colpa. Egli sopportò tutto in santa pace; solo qualche anno dopo scrisse il De consideratione, dove dimostra che il Signore voleva veramente la Crociata, ma che i Crociati non s'erano comportati in modo da meritarsi la grazia della vittoria.

Ebbe altresì a soffrire da parte di un suo monaco, da lui molto amato, fatto suo segretario e confidente. Costui lo tradì, ne svelò i segreti e dappertutto sparlava di lui. Il Santo tacque sempre, anzi ne prendeva le difese.

A questo proposito, l'annalista dei Cistercensi fa tre considerazioni che servono anche per noi: 1° Una comunità anche santa non esime dalle debolezze coloro che vi appartengono; 2° La conformità alle regole non prova sempre la regolarità degli spiriti; 3° I luoghi santi non santificano l'uomo, se questi da tutti i suoi atti non spira santità. Il che vuol dire che la comunità è santa, ma poi sta ad ognuno di usare i mezzi che essa offre per divenire santi.

S. Bernardo dunque è un gran Santo. Vien detto il Dottore mellifluo, perché scrisse con tanta unzione, specialmente della Madonna. Raccomandatevi a lui, che seppe unire così bene le due vite di Marta e di Maria, che è quello che desidero e vi raccomando che facciate anche voi.

S. Agostino ( 28 agosto )

S. Agostino fu una copia di S. Paolo. Come S. Paolo e più di lui fu peccatore. Convertitosi per speciale grazia di Dio, si diede interamente a Dio e alla causa di Dio. Dal primo suo biografo vien detto " Padre dei Padri, Dottore dei Dottori, uguale agli Angeli infervore, uguale ai Profeti nella rivelazione degli occulti misteri, uguale agli Apostoli nella predicazione " (1111). E veramente S. Agostino può dire con S. Paolo: " Per grazia di Dio sono quello che sono, ma la grazia di Lui in me non fu vana " (322).

Secondo il Petrarca, questo Santo lesse tanto, che sembra incredibile gli sopravvanzasse ancora tempo per scrivere; e scrisse tanto, che basterebbe appena la vita di un uomo per leggere tutti i suoi scritti. Lo storico Rorbacher dice che se si bada al tempo in cui scrisse, non si comprende come abbia potuto operare tanto; e se si bada a tutto il bene che operò, non si comprende come abbia potuto scrivere tanto.

Nel Breviario la Chiesa ci fa leggere che S. Agostino non cessò mai di predicare la parola di Dio, se non oppresso dalla malattia. Lasciò scritte 140 Omelie, 600 sermoni, 90 Opere (di cui il capolavoro è il Decivitate Dei) e 270 lettere molte delle quali sono veri trattati.

Combattè e vinse tutti gli eretici dei suoi tempi: Ariani, Manichei, Donatisti, Priscilliani, Pelagiani e semi-Pelagiani. S. Girolamo gli scrisse: " Tu sei ritenuto e venerato dai cattolici come difensore dell'antica fede e - ciò che per te è di massimo onore - sei detestato da tutti gli eretici ".

Inoltre fondò due Ordini Religiosi: gli Eremiti e i Canonici Regolari, dove tanti si santificarono. Le sue Regole vennero da molti accettate, come dai Domenicani e dalle Suore della Visitazione, nonché da altre che ne portano il nome.

Imitiamolo nelle virtù che furono più caratteristiche in lui: l'umiltà, lamor di Dio e lo zelo.

Umiltà - Convertito e ritornato in Africa, si ritirò in una villa presso Ippona per fare penitenza e non ne uscì che per obbedienza. Lo scrisse egli stesso: " Pensai a fuggirmene nella solitudine, ma tu, o Signore, me l'hai vietato ". Per umiltà volle rendere pubblici i suoi peccati col libro delle Confessioni e delle Ritrattazioni. In quest'ultimo egli riconosce i suoi sbagli dottrinali.

Dimostrò in qual conto tenesse l'umiltà rispondendo a un certo Dioscoro che l'aveva interrogato quale fosse la prima virtù: " La prima virtù è l'umiltà, la seconda è l'umiltà, la terza è l'umiltà; e quante volte mi interrogassi, sempre risponderei: l'umiltà! " (453).

Amor di Dio - S. Agostino viene raffigurato con un cuore in mano, per esprimere in qualche modo il suo grande amore di Dio. Esclamava: " O Carità, infiammami! Troppo tardi ti ho amata, o Bellezza sempre antica e sempre nuova! "(1113). E così tutti i soliloqui e tutte le meditazioni non sono che accesi dardi d'amore.

Zelo - Del suo zelo ho già detto. Per i poveri vendé perfino i vasi sacri; morì povero e senza testamento, perché non aveva più nulla.

Pregatelo; è un Santo africano, perciò protettore dell'Africa e dei Missionari d'Africa.

S. Teresa (15 ottobre)

È bene che oggi ammiriamo S. Teresa. È una grande Santa, esempio non solamente alle donne , ma anche agli uomini. Ebbe una mente e un cuore virile, che nelle mani di Dio fu strumento per la riforma delle Suore Carmelitane e degli stessi Carmelitani, i quali la onorano come loro Madre.

Il carattere della Santa fu l'amore e di essa può dirsi come dell'antica Maddalena: Dilexit multum (1114). E qui voglio farvi osservare che generalmente quando parliamo d'amore, andiamo un po' alla leggera. Quando sentiamo un po' di tenerezza in cuore, ci pare di amare; ma non è questo l'amore vero, o meglio non è qui tutto l'amore che dobbiamo a Nostro Signore.

Che cosa importa dunque il vero amore? Risponde S. Tommaso: " L'amore fa sopportare infaticabilmente, fa operare senza posa, fa languire utilmente " (1115). Questa è la definizione dell'amore che non consiste solo in sentimenti; mentre si può essere gelidi come il ghiaccio e amare molto. Come appunto fu di S. Teresa la quale per molti anni si trovò in tale aridità di spirito, che andava a scuotere la clessidra, perché passasse più in fretta il tempo della meditazione. Sentiva volontà d'amare, ma gusto nessuno. Eppure era santa anche allora, anzi era allora che il Signore la santificava. L'amore di S. Teresa per Nostro Signore ebbe le tre sopraddette qualità dell'amore vero e sodo.

Sopportare infaticabilmente - L'amore ci fa sopportare qualunque travaglio. All'età di soli sette anni fuggì col suo fratellino, per andare a convertire i Mori, desiderosa del martirio. E già aveva percorso un po' di strada, quando un loro zio li incontrò e li fece ritornare a casa. Tuttavia Teresa non abbandonò il desiderio di farsi missionaria; pregò, si sacrificò, fu Missionaria di desiderio e confermò le sue aspirazioni con la santità della sua vita. Fu missionaria e martire di desiderio.

Entrata in Religione, sebbene di nobile famiglia e di delicata costituzione, restò ferma e si propose di perseverare con costanza, anche se avesse avuto da sopportare le pene del purgatorio e dell'inferno. Ella stessa confessò che, nell'abbandonare la casa paterna dov'era teneramente amata, provò tale uno schianto al cuore, che sembrava le si slogassero tutte le ossa. Il Signore premiò quella violenza fatta alla natura con un contento tale, alla vestizione religiosa, che le durò poi tutta la vita; benché, come ho detto, il Signore non l'abbia sempre trattata con dolcezze.

Era una donna tenace nei propositi. S'era fatta Suora Carmelitana e volle riuscire Suora Carmelitana. L'amore le fece sopportare qualunque travaglio, pur di essere una santa Suora Carmelitana. Voi fortunati che siete chiamati ad essere Missionari! Sia in voi la fortezza di volontà, che vi faccia distaccare dai parenti, dalla patria e da voi stessi.

Operare senza posa - Non bisogna essere di quelli che per un po' di tempo fanno bene, poi si lasciano scoraggiare S. Bernardo nota che l'amore che non si estrinseca nelle opere, non è vero amore; è solo un'apparenza, un'ombra di amore. S. Teresa lavorò senza posa. Dice un autore che la Santa con il cuore, con la lingua e con le mani fu sempre in moto. Scrisse tanto da essere come un Padre della Chiesa. Sempre in moto, sempre attiva. Soprattutto faticò per la riforma del Carmelo, cosa difficile anche per gli uomini; e potè fondare altri trentadue monasteri, benché povera e senza aiuti, anzi in mezzo a tante difficoltà e contrarietà.

Lavorò continuamente all'acquisto delle virtù e nel modo più perfetto, fino a legarsi con il voto del più perfetto e della maggior gloria di Dio. Diceva che per Nostro Signore, per piacergli e giungere a goderlo, non avrebbe indietreggiato davanti all'effusione del sangue. Infatti ebbe molto a soffrire, specialmente nella sua opera di Riformatrice: fu detta innovatrice, fu portata

davanti all'inquisizione, fu tacciata di esagerazione, di illusa... È più difficile riformare, che fondare. Il Signore voleva quello da lei ed ella tenne fermo e non dubitò mai della riuscita...

Voi badate di comportarvi in modo da non dover mai essere riformati, perché è un compito molto difficile. Quando S. Bernardo fu chiamato da alcuni frati perché li guidasse, vi andò; ma essi volevano fare quello che a loro piaceva e un giorno tentarono di avvelenarlo. Se ne uscì e fondò un nuovo monastero.

S. Teresa fu una donna forte, una donna di preghiera, di azione e di sacrificio. La contemplazione non le impediva di lavorare. Ricordate anche quella espressione, che le era familiare: " O patire o morire! ". Non trovava stato intermedio; capiva che, per uniformarsi a Nostro Signore, non c'è altra via. Ricordatevi che le mortificazioni non consumano il corpo. Non stare neghittosi come talpe, ma elevatevi in alto! Animo e fortezza ci vuole!

Languire utilmente - La Santa, ripiena di amore di Dio, ne ardeva come fornace, solo desiderosa di amare sempre più il suo Signore, nulla stimando tutto il resto. Era continuamente ammalata né i medici sapevano a che cosa attribuire il suo male. Era l'amore di Dio che la faceva languire. Diceva: " Tollero che in Paradiso vi siano altri più in alto di me, ma non che amino Dio più di me! ". Un giorno venne ferita da un dardo da un cherubino, e disse poi di aver sentito tanto dolore e tanto amore, che pareva che le si strappasse il cuore; ma anche tanta gioia, da non poterla esprimere. E Gesù, rispondendo col suo amore al di lei amore, le disse un giorno che se no n avesse creato il Paradiso, l'avrebbe creato anche solo per far piacere a lei. Altra volta le si fece vedere Bambino nel portico del monastero e le fece questa graziosa domanda: " Chi sei tu? - Io sono Teresa di Gesù! - E Io sono Gesù di Teresa! ". Questo farebbe piacere anche a noi, ma ci insuperbiremmo; però se fossimo a quel punto di perfezione, non ci insuperbiremmo più.

Ecco il premio di chi ama veramente Dio di amore infaticabile, operoso e totale. Non languire fantasticamente, ma utilmente, con frutto. Vedete che tipo di Religiosa era! Una vera missionaria nel chiostro. Non avendo potuto andare in Missione, si costituì vittima per gli infedeli e per gli eretici. Tutto quello che faceva e soffriva era diretto a questo scopo.

Questa è l'idea che dovete formarvi della vita religiosa e missionaria: non di riposo, ma di lavoro; non di godimento, ma di sacrificio, non accontentarsi d'una mezza santità, ma volere tutta la santità e con tutte le forze. S. Teresa corrispose quanto poteva e doveva, e Nostro Signore fece il resto. Era tentata di scoraggiarsi, ma tenne fermo; con la grazia di Dio vinse se stessa nell'esercizio di tutte le virtù. Fu eroica e divenne una delle più grandi Sante.

Imitiamola in questa fortezza; essere forti anche nei giorni e nei momenti un po' neri. Ricordatevi che non sono i difetti che impediscono al Signore di spargere le sue grazie. S. Teresa diceva: " Chi ha difetti più di me? ". Eppure, non cedendo mai alla natura e confidando in Dio, riuscì in tutte le cose. Il suo motto era: " Nulla ti turbi, nulla ti spaventi! ". Dopo una caduta diceva: " Erba del mio giardino, non è coltivato bene! ". E così si umiliava nei suoi difetti, senza perdere la confidenza. Così sia di voi: sempre ricominciare; a forza di ricominciare, qualche cosa faremo. La rinnovazione di questa volontà è già di per sé cosa grata al Signore ed è già meritoria.

Bisogna ben sollevarci un tantino! Questa Santanella sua autobiografia lasciò scritto: " Imparate a non dare mai retta alle esigenze della natura, a mai diffidare della bontà di Dio; e non dubitate che ogni cosa sia per riuscire bene ". Diceva ancora: " Quando un'anima opera unicamente per Dio, Egli le permetterà delle prove per accrescere il merito, ma riuscirà nel l'intento ". La Chiesa dice che il Signore si servì di S. Teresa per operare meraviglie.

È una Protettrice delle nostre Suore missionarie. Noi abbiamo dei Protettori, tuttavia questa Santa merita tutta la nostra divozione. Bisogna raccomandarsi a lei per la vocazione; essa fu forte nella sua vocazione e noi dobbiamo essere altrettanto forti. Che il Signore, per intercessione di questa grande Santa, vi dia prima - l'amore alla preghiera, anche in mezzo alle aridità, poi quell'animo forte che è necessario per riuscire veri Missionari. Raccomandatevi a lei che vi faccia sostenere infaticabilmente, operare senza tregua, languire utilmente.

S. Carlo Borromeo (4 novembre)

S. Carlo è una grande figura di Vescovo. La sua sollecitudine pastorale lo rese glorioso: gloriosum reddidit. Cooperò potentemente alla continuazione e fine del Concilio di Trento. L'opera sua servì particolarmente alla attuazione dell'importantissimo decreto sui seminari.

Per quanto la caratteristica di questo Santo sia stata lo zelo per la salute delle anime, come dice la Chiesa nell'Oremus, tuttavia preferisco fermarmi su quello che forma il suo stemma: Humititas. A Milano, sul pavimento del Duomo, questa parola si trova scritta in più luoghi. Tanta era l'importanza che il Santo dava a questa virtù, che si studiò di averla, e con essa operò molto bene. Se non avesse avuto umiltà il Signore non l'avrebbe benedetto così singolarmente.

Egli era appena ventiduenne quando fu eletto Papa Pio IV, suo zio. Se fosse capitato nella nostra famiglia un avvenimento simile, noi ci saremmo precipitati a Roma! Egli invece si rifiutò di andarvi e solo vi andò più tardi,` costretto dall'obbedienza; dovette accettare, suo malgrado, alcune cariche; e fu creato Cardinale.

Ora, ciò che sta scritto sul blasone di S. Carlo, Humititas, noi dovremmo scriverlo in tutti i luoghi della Casa, in tutti gli angoli. Talora noi crediamo di avere solo un pochino di superbia, ma stiamo pur persuasi di averne molto di più. Bisogna sempre combattere contro la vanagloria, che tenta di annullare tante opere buone. Certe volte la vanagloria sorge per ridicolaggini, per storie da nulla. Stiamo attenti a ricacciarla, perché se lasciamo che si mescoli col buono delle nostre azioni, fa come la farina che, unita ad altro, si guasta tutta.

L'umiltà è il fondamento delle virtù. Fa tanto effetto a scuola quando si fa una topica; e invece di umiliarci e di ringraziare il Signore, cerchiamo di scemarla, di aggiustarla; non siamo pronti e generosi col dire: " Sì, sono contento di questa topica! ". Così anche nelle cose spirituali: ci rincresce non tanto per la mancanza in se stessa, ma per aver fatto cattiva figura. Invece bisogna essere contenti che ci vedano, non aver paura che conoscano i nostri difetti, perché così pregheranno per noi e ci aiuteranno.

Leggevo del P. Lacordaire - tanto zelante, che ottenne di far rientrare in Francia l'Ordine Domenicano - che per umiliarsi, si faceva battere e pestare da un fratello converso e diceva: " Non aver riguardo, perché pesti un superbo! ". Lo faceva con spirito, n'era intimamente persuaso. Bisogna amare le umiliazioni; far bene per quanto si può; ma se non posso far di più pazienza! Quanto più i Santi si sono umiliati, tanto più il Signore li ha esaltati.

Preghiamo S. Carlo e domandiamogli che ci faccia crescere nell'umiltà. Questo Santo, in appena 47 anni di vita, ha fatto un bene immenso. Lo incolparono che voleva troppo, ma egli rispose: " Voglio quello di cui devo rendere conto a Dio ".

I cosiddetti " Umiliati " - che poi furono soppressi - tentarono persino di ucciderlo, ma lui tenne fermo. La sua vera caratteristica, come ho detto, sarebbe perciò lo zelo pastorale, ma noi lo preghiamo per l'umiltà. Egli è anche protettore del Convitto. Fu a Torino a venerare la SS. Sindone e fu anche al Santuario della Consolata. Imitiamolo in questa virtù e il Signore ci aiuterà.

S. Giovanni Evangelista (27 dicembre)

Oggi è la festa di S. Giovanni Evangelista. Egli fu apostolo, evangelista e anche martire. Lo misero infatti in una caldaia d'olio bollente, ma ne uscì più vegeto di prima . Sebbene non sia morto allora, tuttavia l'atto del martirio lo compì.

S. Enrico re, S. Metilde ed altri Santi, specialmente quelli che eccelsero nella purezza, ebbero una particolare divozione a S. Giovanni Evangelista. In qual modo gli dimostreremo la nostra divozione? Non basta pregare, bisogna imitarlo. Egli ci insegna specialmente quattro virtù.

Divozione a Gesù Sacramentato - Questo Santo è il santo dell'amore. Amava molto Nostro Signore. Mentre gli altri Apostoli nell'ultima Cena erano agitati per la solennità del momento e per le cose udite attorno alla Passione di Nostro Signore, egli posò il capo sul Cuore di Gesù. Facciamo anche noi così. Quando abbiamo qualche difficoltà nello studio o qualche malinconia, non ricorriamo agli amici, ai libri e solo per ultimo a Gesù Sacramentato; no, prima a Lui. Se non potete andarlo a visitare, dallo studio rivolgetevi a Lui; Egli è là con le mani piene di grazie... Dunque, grande divozione a Gesù Sacramentato.

 

Divozione alla Madonna - Il Signore morendo affidò a lui la Madonna, non ad altri; gli affidò l'incarico di assisterla, di essere come il suo custode. Noi siamo figli della Madonna! La Consolata è la nostra Madre, la nostra Patrona. Eh, per quanto la amiamo, state pur certi che non l'ameremo mai quanto l'amò S. Giovanni. Chiediamogli un po' di questo suo amore verso Maria SS.

Amore alla purezza - Chiamato da Nostro Signore quando era ancor vergine, vergine si mantenne; e appunto per questa sua prerogativa fu prediletto da Gesù. Che fortuna essere vergini, non essere più nostri per nulla, ma tutti del Signore!... Che fortuna vivere in una comunità di vergini!... Siamo dunque casti di mente, di cuore, di spirito, di corpo. Alcuni dicono che bisogna far conoscere il male, perché si fugga. Beata ignoranza in questo genere di virtù!... E poi, se praticherete questa virtù, acquisterete anche ingegno e diverrete aquile. S. Giovanni è raffigurato nell'aquila. Fin dall'inizio del suo Vangelo, si innalza su, su, fino alla contemplazione dei grandi misteri di Dio. È una bellezza!... Raccomandatevi a lui per conservare immacolata questa preziosa virtù.

Amore al prossimo - Tante volte vi ho già ripetutole parole che questo Santo, già vecchio, ripeteva ai suoi discepoli, ai primi cristiani: a Figliuoli, amatevi gli uni gli altri. (497). Noi ci amiamo tutti, ne son certo; ma poi nelle piccole cose s'insinua un po' di invidia... di antipatia... Ebbene, vinciamoci in queste piccole cose, sopportiamo i difetti degli altri, siamo contenti che riescano meglio di noi, anzi preghiamo per questo!

giuseppeallamano.consolata.org