30. PRATICHE SPIRITUALI

Esame di coscienza

Tra gli esercizi comuni di pietà, le Costituzioni prescrivono l'esame di coscienza. Mi pare che noi non diamo abbastanza importanza a questa pratica, e che perciò non si faccia bene e non se ne ritragga i frutti di conversione e di santificazione, per cui essa fu stabilita.

Tutti gli Ordini e Istituti Religiosi la prescrivono ai loro alunni e vi assegnano un tempo determinato. I Padri antichi - S. Agostino (864), S. Basilio (865), S. Bernardo (866) - la tennero in gran pregio. Tutti i Santi e i maestri di spirito ne hanno fatto le lodi, dichiarandola uno dei mezzi più efficaci per emendarci dei difetti, tenerci in grazia di Dio e perfezionarci. Gli stessi pagani, quali Seneca (867) e Pitagora (868), riconobbero l'importanza dell'esame di coscienza. Il primo lo faceva ogni giorno prima di mettersi a riposo; il secondo lo prescriveva ai suoi discepoli due volte al giorno, con fare a se stessi tre domande: che cosa ho fatto? come l'ho fatto? che cosa ho omesso?

S. Pio X, in un'esortazione al Clero, lo inculcava caldamente (869). Quel grande maestro di spirito che fu S. Ignazio, in certo modo lo stimava più della preghiera vocale e della stessa meditazione, dicendo che il Signore nella meditazione ci fa vedere quello che dobbiamo fare, ma è l'esame di coscienza che ci fa conoscere se noi lo facciamo. Ai suoi primi discepoli fra i mezzi di santificazione, subito dopo i sacramenti consigliava l'esame di coscienza. Egli poi lo faceva, si può dire, di continuo. Un giorno, verso sera, avendo incontrato uno dei suoi Padri, gli domandò quanti esami avesse già fatto. " Sette! " questi rispose. E il Santo a lui: " Non basta, ce ne vuole di più ". S. Francesco Borgia lo faceva ogni ora. S. Giuseppe Cafasso si esaminava brevemente dopo ogni azione. Così S. Giovanni Bosco ed altri. S. Ignazio voleva che lo si facesse praticare anche dai secolari ed esortava a suggerirlo agli stessi peccatori, dopo la confessione.

Il Dubois, ottimo direttore spirituale, dice: " Ogni prete (e io aggiungo: ogni chierico e ogni Religioso) che fa bene il suo esame particolare tutti i giorni, sarà incontestabilmente un santo prete. Quegli invece che lo trascura, sarà sempre con gli stessi difetti, senza mai pensare a correggersene (870).

DIVERSI ESAMI DI COSCIENZA - Vi è un primo esame detto di previsione, che si fa al mattino durante la meditazione. In esso uno cerca di prevedere le occasioni in cui si troverà in quel giorno e propone di comportarsi virtuosamente. Ad esempio: prevedo di aver a fare con il tale o tal altro compagno; ebbene, propongo di comportarmi con lui in questo o in quel modo, conforme a virtù. Così delle altre occasioni che si possono presentare nello studio, nella scuola, in refettorio, ecc.

Oltre a questo esame - che propriamente non può dirsi esame di coscienza - le nostre Costituzioni fissano tre tempi per l'esame di coscienza propriamente detto: dei quali due, prima del pranzo e della cena, per l'esame particolare; un terzo, più breve, nelle orazioni della sera, per l'esame generale.

Nell'esame generale si passano in rassegna tutte le azioni della giornata, per vedere se e dove abbiamo mancato: pensieri, parole, opere ed omissioni. Nell'esame particolare si riflette più di proposito sui proponimenti fatti negli ultimi esercizi spirituali o nel ritiro mensile, che riguardano la passione dominante.

Venendo più al pratico, dirò che ciascuno di questi esami - generale e particolare - si divide in due punti: esame dei peccati ed esame di perfezione. Il primo, quello dei peccati, servirà per la confessione settimanale ed anche subito per purificarci dei mancamenti fatti, se si tratta di venialità.

Il secondo, quello di perfezione, serve per vedere il nostro profitto nella virtù; essendo che, come Religiosi, non dobbiamo solo evitare i peccati, ma tendere alla perfezione. Uno, per esempio, si domanda: "Stamattina, oppure in questo pomeriggio, o anche in quest'oggi, ho fatto tutto bene? ". E forse trova che quella parola detta durante il silenzio, avrebbe potuto tacerla; o che verso quel compagno avrebbe potuto essere più accondiscendente. Come vedete non si tratta più di peccati, neppure leggeri; tuttavia il Signore è così buono, che ci manda il pentimento anche per queste piccole cose. Questo secondo esame bisogna farlo tranquillamente, senza scrupoli. Sono cosette che è bene fare, per progredire sempre più nella perfezione.

L'esame sul difetto particolare che abbiam preso a combattere, o su quella virtù che ci siamo proposto negli esercizi spirituali è importante. Anzi, teniamolo anche a mente nella meditazione e facciamo convergere i nostri proponimenti sempre su questo difetto o su questa virtù. Se in un anno potessimo acquistare una virtù, in modo da possederla veramente, saremmo già molto in alto.

 

COME FARE L'ESAME DI COSCIENZA - Riguardo al modo di fare l'esame di coscienza, vi propongo quello dello Scaramelli, che è quello di S. Ignazio (871).

1 - Mettersi alla presenza di Dio, ravvivando la fede; ringraziarlo dei benefizi ricevuti, per inclinarlo così a farcene dei maggiori.

2 - Chiedere lume per conoscere noi stessi fino al fondo del cuore, fino alla radice: che ci faccia cioè conoscere non solo i nostri peccati, ma le cause dei medesimi e tutte le nostre incorrispondenze alle divine grazie. Non crediamoci tanto facilmente virtuosi; all'occasione, i difetti saltano fuori. Avviene di essi come delle acacie: sembrano sradicate, ma dopo un po' di tempo rimettono nuovamente.

3 - Esaminarci, per quel dato periodo di tempo, sui nostri pensieri, parole, opere ed omissioni, come già vi ho spiegato.

4 - Eccitare in noi il dolore, non solo in generale, ma su quei mancamenti particolari che abbiamo commessi. Dice bene il Dubois che l'esame particolare è una confessione che si fa a Dio , il quale ora è Giudice di misericordia, mentre un giorno lo sarà di giustizia.

5 - Fare proponimenti pratici. Per esempio: questa mattina avevo qualcosa pel capo e sono stato a far niente; ebbene, prometto che nel pomeriggio sarò più vivo, più generoso su quel dato punto. Se poi, dopo aver promesso, mancassimo ancora, non scoraggiarci, ma sempre ricominciare. Il Signore benedice i nostri sforzi.

Così facendo, non vi parranno lunghi quei cinque, dieci minuti o quel quarto d'ora. Non bisogna leggere o meditare; cose buone queste, ma in quel tempo il regolamento prescrive l'esame e bisogna farlo. Date soprattutto importanza all'esame che si fa in comune; quando uno per qualsiasi motivo non si trovasse a farlo con la comunità, non lo ometta, ma lo faccia privatamente. Le stesse malattie, che possono impedire le lunghe orazioni, lasciano possibilità di fare gli esami. Lo si può fare anche per strada. Se uno lo tralascia un giorno, facilmente lo ometterà anche il giorno seguente, e così di seguito.

Altro utile consiglio, specialmente per emendarci della passione dominante, si è di imporci una piccola penitenza per ogni caduta. Quel tale, a cui era stato suggerito di mettere in tasca un sassolino ad ogni bestemmia che gli fosse sfuggita, a poco a poco si emendò.

Prendete grande amore all'esame di coscienza, non solo adesso ma per tutta la vita. Anche in Missione bisogna trovare il tempo per l'esame. Il demonio ha paura di questa pia pratica. Però ricordate che tutto ciò darà poco frutto, se dopo non staremo attenti, vigilanti su noi medesimi, se ci daremo alla dissipazione e ai pensieri troppo profani. I Santi si fissavano i tempi di richiamo ed erano così sempre presenti a se stessi nel fare o nel parlare. Insisto perciò perché si osservi il silenzio di regola, e nelle ricreazioni regni la calma e non il chiasso. Mettete in pratica queste cose e farete anche voi grandi passi nella via della santità.

Letture spirituali

Tutte le Comunità ben regolate, specialmente se Religiose, assegnano ogni giorno un tempo alla lettura spirituale; né questo è solo per occupare in qualche modo una parte della giornata. Il fatto stesso che tale pratica sia posta in linea con la meditazione, dimostra che è di eguale importanza.

Ma non di questa soltanto io voglio parlarvi, ma dell'importanza delle letture spirituali in genere, che si fanno in comune e in privato. Certamente la prima ha una speciale benedizione di Dio e non la si deve mai omettere; quando, per obbedienza, non la si può fare nel tempo e nel luogo destinato, si faccia in privato supplendovi possibilmente con lo stesso libro. Purtroppo invece la lettura spirituale si omette facilmente più delle altre pie pratiche. Perché? Perché non se ne apprezza il valore.

NECESSITA ED ECCELLENZA - Per lettura spirituale intendiamo la lettura che si fa sul libro di ascetica o su altri del genere, sia in pubblico sia in privato, per formarci allo spirito sacerdotale, religioso, missionario. Scrive i1 P. Giordano che la lettura spirituale è uno degli elementi della vita interiore. S. Bernardo, parlando della perfezione, dice che a questa si ascende per tre gradi: la lettura, la meditazione e la preghiera. E porta, a questo proposito, la similitudine del cibo materiale: la lettura è quella che porta il cibo alla bocca la meditazione lo mastica, la preghiera lo gusta e ne assicura il buon profitto (872). S. Girolamo dava a Nepoziano lo stesso consiglio: "Non tralasciare l'esercizio della lettura quotidiana " (873). S. Atanasio ammonisce che, senza di essa, nessuno può mantenersi unito a Dio. S. Francesco di Sales aggiunge che le letture pie sono l'olio della lampada dell'orazione (874).

Le letture spirituali sono inoltre necessarie per convertire le anime, e Dio ne dimostrò più d'una volta l'efficacia. S. Ignazio fu convertito dalla lettura spirituale. Essendo stato ferito all'assedio di Pamplona, fu portato all'ospedale. Quivi, mentre tutto infervorato delle cose militari, non vedeva l'ora di ritornare alle sue imprese guerresche, casualmente gli venne in mano un libro di cose spirituali. In sulle prime lo lesse per curiosità e passatempo, poi ne fu colpito, cominciò a meditarlo; e così si operò la sua meravigliosa trasformazione (875).

Lo stesso avvenne a S. Agostino. Le preghiere e le lacrime di sua madre non avevano ancora ottenuto di ritrarlo dalla sua vita mondana e dai suoi errori, e le stesse conferenze di S. Ambrogio non riuscivano a convincerlo. Egli stesso afferma che le passioni facevano ressa al suo cuore, come per dirgli: "Come farai a stare senza di noi? hai il coraggio di lasciarci? ". Stette così lunghi anni tergiversando, finché un giorno gli capitò sott'occhio quella frase di S. Paolo: Come in pieno giorno camminiamo onestamente, non in crapule e ubriacature, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo (876). Questo bastò perché rompesse le catene del peccato e mutasse vita. Egli stesso asserisce che, a quella semplice lettura, tutti i dubbi sparirono: Omnes dubitationes fugerunt (877).

S. Giovanni Colombini, ammogliato, faceva l'usuraio, né altro pensava che ad aumentare il suo patrimonio. Un giorno egli rincasa per il pranzo e trova che non è ancora preparato. Monta su tutte le furie e non c'è verso di calmarlo. Allora la moglie gli porge un libro: "Leggi qui! ". Era la Vita di S. Pelagia penitente. Egli dapprima lo ributta con disprezzo, dando della pizzochera alla moglie; ma poi, tanto per passare il tempo lo riprende, comincia a leggere e... quando la moglie viene a chiamarlo per il pranzo, le risponde: "Hai fatto aspettare me, adesso aspetta tu! ". E volle terminare il libro. La sua trasformazione fu subito completa: smise di fare l'usuraio, cominciò a largheggiare in elemosine, a darsi ad una vita d'intensa pietà; sì che la moglie se ne lamentava poi col Signore, dicendo: "Adesso è troppo! Ti ho chiesto la grazia di farne un buon cristiano e mi hai dato un santo! ". Perseverò e fu fondatore di un nuovo Ordine Religioso (878).

Questi fatti stanno a dimostrare l'importanza della lettura spirituale. Non solamente essa giova alla conversione delle anime già dedite al mondo, ma anche a noi: per riempire la nostra mente e il nostro cuore di roba buona, e così non lasciar posto a pensieri cattivi inutili. Nella preghiera - secondo che si esprime S. Girolamo (879) - siamo noi che parliamo a Dio nella lettura spirituale è Dio che parla a noi. Più volte ho udito ripetere da pie persone: " Mi fa maggior bene la Vita di un Santo, che non tutto un trattato di ascetica ". Fa infatti sempre del bene, anche a noi sacerdoti, vedere la virtù in pratica. Noi stessi talora ci sentiamo più scossi ed animati alla perfezione dalla lettura della Vita di un Santo o dai libri scritti dai Santi, che dalla stessa meditazione. Bisogna dunque compenetrarci dell'importanza di questa pia pratica, procurare di non ometterla, cercare di trovarsi a tempo, essendo questo un nostro preciso dovere.

LA SCELTA DEI LIBRI - Riguardo alla lettura spirituale, la prima cosa da considerare è la scelta dei libri. Voi fortunati che non avete da pensare a questo, la scelta essendo fatta dai Superiori che sono guidati anche in questo da particolari lumi del Signore, e poi hanno esperienza. Quanto tempo perduto nella lettura di libri per lo meno inutili! Lo dico anche per me riferendomi al tempo in cui ero seminarista, ché nessuno ci suggeriva i libri da leggere. La scelta è di massima importanza: sia per la lettura spirituale propriamente detta, che per la lettura in refettorio. Se non si fanno letture buone, letture adatte, si perde solamente tempo. Fortunati voi, ripeto, per il fatto che la scelta è fatta dai Superiori: i quali, come già S. Giuseppe Cafasso al Convitto Ecclesiastico, in vari anni vi fanno passare quanto vi è di buono e di utile: incominciando dalla S. Scrittura con traduzione e note, poi l'Imitazione di Cristo, ripetuta varie volte lungo l'anno; le Vite dei Santi; prediche e istruzioni classiche, Storia Ecclesiastica, ecc.

In generale, diffidiamo dei libri moderni, sovente non precisi e leggeri. Non è molto che mi venne in mano un libro riguardante le Suore; vi erano tante espressioni imprecise. Sono per lo più traduzioni fatte dal francese, tanto per fare un libro. Noi abbiamo le fonti: i Santi. Non hanno solo l'approvazione del la Chiesa, ma l'unzione della santità. Quanta materia nei libri dei Santi Padri!... Rifiutare anche quei libri che non sono cattivi, ma nei quali c'è poco di buono, e attenersi invece al migliore, al più perfetto.

COME DEVE FARSI LA LETTURA - Dobbiamo procurare che quel che si legge entri nel cuore. Non contentarci cioè di leggere per imparare, per prendere note per noi e per gli altri, ma nutrirne l'anima. Lectionibus divinis est anima nutrienda, dice S. Agostino (880). S. Bernardo insegna che in queste letture non dobbiamo cercare tanto la scienza, quanto il sapore, cioè l'unzione, quello che fa per l'anima nostra (881). Anche la scienza, sì, ma questa viene dopo. Se uno, per primo scopo della lettura spirituale, si propone la scienza, come l'avvocato che studia per gli altri, non ne consegue l'effetto principale. Applichiamo prima a noi, allora ci servirà anche per gli altri. Di qualunque lettura si può dire: Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta (882). Di S. Efrem sta scritto che dipingeva nella sua persona, nei suoi atti, nel suo portamento, quella pagina che aveva letto: Pingebat actibus paginam quam legerat (883).

La lettura spirituale, qualunque sia, va ancora fatta con buon spirito. Non essere perciò di quelli il cui primo scopo è di criticare; non essere sofisti. Ciò avviene anche per le prediche: non è tanto il popolo che critica, quanto noi sacerdoti; e questo porta via il frutto. Bisogna pigliare le cose con semplicità; allora sì, che la lettura è come una rugiada benefica per l'anima nostra! Certi saputelli trovano sovente a ridire su di un libro: o perché è antico, o perché contiene qualcosa che non va loro a genio. Il Signore non si comunica a queste anime; bisogna avere spirito di semplicità. Ciò che impedisce il frutto della lettura spirituale è la vana curiosità, come ciò che impedisce il frutto delle prediche è la critica. Non voglio dire con questo che non si debba badare alla lingua e allo stile.

A ciò ottenere, è necessario che chi legge, legga bene, posatamente: tanto chi legge per proprio conto come chi legge per la comunità. Leggere con riflessione e, nelle letture private, rileggere i punti più salienti quelli che sentiamo che ci fanno del bene. Il lettore deve inoltre procurare di leggere con senso; essere lui per il primo compenetrato di ciò che legge. Leggere chiaro e non fare cantilena. Poi ancora, leggere adagio.

Finalmente è necessario che, dopo ogni lettura spirituale, uno porti via qualche buon sentimento, qualche riflessione, per gustarla anche dopo. È cosa encomiabile e da raccomandarsi il riportare su di uno zibaldone i detti e i fatti che più colpirono, i quali serviranno per noi e per gli altri. Se uno sta attento a queste letture fin dai primi anni, e si regola come ho detto, quanta materia può raccogliere! Verrà un giorno che la mente avrà bisogno di essere piena, e allora sarà piena di roba buona. Quando ero chierico, e leggevo e udivo qualche cosa che mi faceva impressione, la copiavo; quello zibaldone mi serve ancora al presente. Felici voi, se non perderete tanto bene in questi anni di formazione! Riuscirete pieni di spirito ecclesiastico, religioso e missionario, e arricchirete la mente di quanto vi abbisognerà per il futuro!

LA LETTURA IN REFETTORIO - Ciò che ho detto della lettura spirituale, serve anche per la lettura che si fa in refettorio. Non bisogna credere che in refettorio si legga solo per non lasciar parlare, no; ma per istruirci. E quante belle e utili cognizioni si acquistano in un anno e nei tanti anni che si passano qui! E ciò senza fatica, anzi col godimento e sollevandoci dalla materialità del cibo. La lettura è cibo; l'orazione che fate prima dei pasti sia anche per ottenere la benedizione di Dio su questo cibo spirituale. Bisogna mangiare spiritualmente. Il cibo materiale va giù da sé, senza che abbiamo bisogno di pensarci; quindi è molto meglio in refettorio tener desta l'attenzione su quanto si legge.

Voglio che facciate molto caso delle letture in refettorio, affinché riescano utili. Che vale star qui degli anni, udire tante belle cose, le quali per altro non sono che suoni, se si pensa ad altro? E' segno di pigrizia spirituale; viviamo il tempo inutilmente.

Domandavo a un Padre Gesuita della Casa di Torino, dove son pochi, se facevano lettura. Mi rispose: " Sempre e tutto il tempo ". Mons. Gastaldi a cui il governo aveva rifiutato l'exequatur, stette tre anni in seminario: faceva pranzo con noi, udiva la lettura a I tavola e ci correggeva. E noi eravamo contenti e fortunati di questa scuola particolare. Quando poi Mons.Gastaldi lasciò il seminario, toccò a me leggergli un omaggio di ringraziamento e dirgli che ci rincresceva che ci lasciasse. Rispose: "Rincresce anche a me; se non fosse che recherei danno ai miei successori, starei qui con voi. In particolare mi rincresce lasciare il seminario proprio per la lettura a tavola. Tante cose non avrò più tempo a leggerle ".

Quando uno non si trova con gli altri in refettorio, non deve lasciare quel vuoto, ma fare come si faceva noi in seminario: chiedevamo il permesso all'Assistente di andar a prendere il libro e supplire a quello che non avevamo udito.

In comunità poi, è tanto bello comunicarsi a vicenda quanto è stato detto o letto: dire le nostre impressioni, quello che maggiormente ci ha colpiti; e ciò fatto senza avere la pretesa di fare una predica, riesce proficuo per tutti. Dobbiamo trarre profitto da tutto, perché la nostra preparazione è breve. La nostra anima dev'essere come una guardaroba, nella quale si aggiunge tela a tela. Così, in Missione, si troverà che il nostro magazzeno è pieno di tante cose buone e utili.

LA SACRA SCRITTURA - Si legge nel libro dei Maccabei che Ario, re degli Spartani, scrisse a Gionata per rinnovare l'antica alleanza col popolo Giudaico, offrendo in loro soccorso i propri possedimenti e i propri armenti. Gionata, che era Sommo Sacerdote, gli diede questa bella risposta: Noi non abbiamo di ciò alcun bisogno, avendo per nostro sostegno i libri santi, che sono in nostra mano (884). A consolarli in mezzo a tante tribolazioni bastava la Sacra Scrittura. La stessa cosa ripeteva S. Paolo nella Lettera ai Romani, dicendo: Tutto quello che fu scritto, fu scritto per nostro ammaestramento, affinché, mediante la perseveranza e la consolazione della Scrittura, noi conserviamo la speranza (885). E voleva dire che la lettura della Sacra Scrittura fortifica la nostra speranza e ci consola nelle tribolazioni della vita.

I Santi perciò chiamavano la S. Scrittura: arsenale di ogni offensiva e difensiva, ossia un deposito di ogni sorta di rimedi. Ciò conferma S. Agostino, scrivendo che non vi è morbo dell'anima, che non abbia nella S. Scrittura il suo medicamento (886). S. Girolamo giunge ad asserire che la nostra vita vale ben poco, se ignoriamo la S. Scrittura (887). " In essa - dice S. Gregorio Magno - dobbiamo riconoscere il cuore di Dio " (888). S. Carlo chiamava la S. Scrittura "il suo giardino " e soleva leggerla a capo scoperto e in ginocchio. S. Agostino la chiamava " la sua casta delizia " (889).

Eccellentissima in sé, la S. Scrittura è di somma utilità per le anime nostre e per il nostro ministero. Ciò dichiarava molto bene S. Paolo a Timoteo, scrivendo: Tutta la Scrittura è divinamente ispirata, e utile ad insegnare, a redarguire, a correggere, a educare alla giustizia. E aggiunge: affinché l'uomo di Dio sia perfetto e reso adatto a qualsiasi opera buona (890). Essa è ancora l'antidoto dei vizi secondo quella bella sentenza di S. Girolamo: " Ama la scienza delle Scritture e non amerai i vizi della carne " (891).

Vedete l'importanza della S. Scrittura per noi e per gli altri! Quando S. Agostino fu ordinato Sacerdote, ebbe dal Vescovo l'incarico di predicare. Non potendosi egli schermire, chiese un mese di tempo per prepararsi I sulla S. Scrittura. Cultura profana ne aveva molta; non così di quella Sacra. S. Girolamo vuole che la parola del sacerdote sia condita di S. Scrittura (892). Lì c'è tutto; è parola di Dio, parola viva e calda.

Una volta non esistevano i trattati; i Santi, i Dottori della Chiesa imparavano e insegnavano la S. Scrittura. I veri trattati vennero dopo; S. Giovanni Damasceno fu uno dei primi ad ordinare, a mo' di trattato, la materia teologica. Tutti i Santi insistono sulla lettura dei libri sacri;. E una vergogna che molti preti, e anche tanti di noi, non l'abbiano ancora letta tutta. Quanti sono in seminario che hanno la Bibbia? Mons. Gastaldi aveva fatto una revisione dei libri che si avevano, e per prima cosa ordinò che tutti avessero la Bibbia, l'Imitazione, il catechismo della Diocesi, il rituale.

Bisogna che la leggiamo per il bene nostro e per il bene degli altri. S. Girolamo scriveva alla vergine S. Eustochio: " Il sonno ti colga con in mano il codice della S. Scrittura " (893). La S. Scrittura fece di questa vergine un'anima virile. Citare la S. Scrittura vale assai più che citare poeti e autori profani. Tanti citano cose anche buone, ma non hanno efficacia.

Ci vogliono letture sode; bisogna che riempiamo la mente di idee esatte e il cuore di sentimenti giusti, non di leggerezza e sensibilità. Voi siete giovani e vi pare di farvi belli, di far vedere che siete istruiti citando poeti, ecc. Tutte parole inutili! Scrittura ci vuole! Ricordate il fatto di S. Girolamo quando ancora amava studiare Cicerone e Plauto, e trovava che la S. Scrittura aveva un latino da sacrestia. " Non sei cristiano, ma Ciceroniano! " sentì rimproverarsi in sogno (894). Attenzione anche voi a non essere smorfiosi! Sarà latino da sacrestia, ma c'è sostanza; e noi dobbiamo andare alla sostanza delle cose, non lasciarci portar via il midollo per tenerci l'accessorio.

Come usare la S. Scrittura? Anzitutto leggerla attentamente o stare attenti quando la si legge, specialmente in refettorio; poi bisogna scrutarla. Scrutate le Scritture... esse rendono testimonianza di me (895). S. Agostino afferma che le parole di Dio hanno una profondità meravigliosa (896). Sono come un pozzo profondo, che esige fatica a tirar su l'acqua, ma è fatica dolce e consolante. Sbagliano coloro che credono che basti aver tra mano la S. Scrittura, per capir tutto. Solo ai semplici Dio si rivela, mentre si nasconde ai superbi. Per ben comprendere la S. Scrittura bisogna pregare e mantenere grande purità di vita. L'Imitazione dice: " Chi vuole comprendere bene e gustare le parole di N. S. Gesù Cristo, deve sforzarsi di conformare la propria vita alla vita di Lui "(897). Si potranno e si dovranno pure usare i criteri d'ermeneutica, naturali e teologici, ma con moderazione, e presi a sane fonti.

La Chiesa chiama S. Girolamo il massimo dei Dottori nell'esporre le Sacre Scritture. Benedetto XV, per il XV centenario della morte del Santo, 1920, scrisse a tutto l'Episcopato Cattolico la Lettera " Spiritus Paraclitus " nella quale, fra l'altro, conferma che tutta la Sacra Scrittura deve ritenersi divinamente ispirata, e ne inculca lo studio per la pietà e per la predicazione. Dovete raccomandarvi a questo Santo, perché vi ottenga un vivo amore ai Sacri Libri e il dono di ben comprenderli. La nostra biblioteca è una delle più ricche in fatto di Sacra Scrittura. Anche in Missione un po' di biblioteca l'avrete. Nei giorni piovosi che fare? Leggete un poco.

Tutto questo vi dico perché continuiate a leggere attentamente la S. Scrittura, perché vi prendiate affetto. È il nostro libro. In esso si trova rimedio a tutto; si trova tutto ciò che può tornar utile a noi e agli altri. Chi legge la S. Scrittura, si riempie di buon spirito. Anche fra gli studi un po' di tempo si trova, e bisogna leggerla, specialmente le Lettere di S. Paolo. Non solo sapere che il tale libro è divino, è integro, ecc., ma gustarlo, farsene un nutrimento vitale. Ah, la Scrittura! Più si legge, più si studia e più uno l'ama e vi si diletta!

Nell'Istituto questo è lo studio primo, che forma materia di tutti i corsi; e quando avrete terminati gli i altri studi, questo dovete continuarlo. Desidero che prendiate affezione alla S. Scrittura!

L'IMITAZIONE DI CRISTO - Tenete questo come mio ricordo: accanto alla S. Scrittura mettete l'Imitazione di Cristo. Questo libro mi ha accompagnato tutta la vita. Ne ho regalate tante copie, ma la mia l'ho sempre tenuta e mi ha servito sempre. In seminario ne avevo fatto un compendio; ogni mattina, prima della Messa, ne leggevo qualche punto, che poi ruminavo lungo il giorno e alla sera mi domandavo: " Che cos'è che mi ha fatto più impressione? "; e lo scrivevo e lo conservo ancora.

Quand'ero da D. Bosco, all'Oratorio, ce la facevano studiare. Nei primi due anni di ginnasio si studiava l'Imitazione, nei tre anni seguenti S. Paolo. Era un po' duro, eppure lo sapevamo portar bene, benché ci assegnassero la lezione al sabato mattino per la domenica. Ed è questa - I'Imitazione - che vorrei si facesse studiare nei primi anni del ginnasio. Mons. Galetti, Vescovo di Alba, la sapeva tutta a memoria, e proprio da questo studio aveva ottenuto l'unzione del suo parlare.

Attenti dunque alla lettura dell'Imitazione: libro prezioso che, se ben meditato, vi servirà anche per il confessionale. Non ricorderete forse le testuali parole, ma vi usciranno dalla bocca parole che toccano il cuore. Leggere l'Imitazione e non sentirsi scosso è impossibile. S. Giuseppe Cafasso, lungo il giorno, apriva sovente il libro dell'Imitazione, e il primo punto che gli capitava sott'occhio, lo trovava sempre a proposito, cioè corrispondente ai bisogni dell'anima sua.

Sono espressioni che scaldano il cuore. Fili, non te frangant labores quos assumpsisti propter me usquequaque! Figliuolo, in nessun modo ti abbattano le fatiche intraprese per me! (898). Quell'usquequaque vale un Perù! Si vede che l'Autore comprendeva il cuore dell'uomo. E poi quell'altra: Summum studium nostrum sit in vita Jesu Christi meditari. Tutto il nostro studio sia di meditare la vita di N. S. Gesù Cristo (899).impossibile che il cuore non s'intenerisca.

Bisogna leggerla, rileggerla; uno si forma un corredo non solo per la mente, ma più per il cuore.

La confessione

Su questo argomento non voglio parlare come Teologo, perché avrete modo e tempo di studiare tale materia. Neppure intendo ripetervi ciò che già conoscete attraverso il catechismo: le condizioni cioè per fare una buona confessione. E nemmeno voglio parlarvi della confessione dei peccati mortali, i quali, come sapete, non vengono rimessi che per mezzo del Sacramento della Penitenza in re o in voto. Vi parlerò invece della confessione dei peccati veniali, che formano la materia delle nostre confessioni usuali.

I peccati veniali non sono materia necessaria della confessione sacramentale. Vi sono altri mezzi per averne il perdono, come i sacramentali, purché vi sia sempre il dolore. Tuttavia la confessione è sempre il mezzo primo e principale per mondarci da essi. La ragione è che essi restano perdonati in modo più sicuro, essendo che il Sacramento opera ex opere operato ed è frutto speciale del Sangue di N. S. Gesù Cristo, che allora ci viene applicato. S. Giovanni ci dice che il Sangue di Gesù Cristo ci purifica da ogni peccato (900); quindi anche dai nostri peccati quotidiani, ché tutti manchiamo in molte cose (901). E non solo, attraverso il Sacramento, i peccati restano perdonati in modo più sicuro, ma anche con più grazia, dicendo S. Tommaso che la grazia sacramentale aggiunge sempre qualcosa alla grazia comunemente detta (902).

Un altro frutto del Sacramento della Penitenza è che esso conferma l'anima nel bene e nella purità di coscienza. Il P. Bruno dice che la confessione è il grande mezzo per acquistare una sempre maggior purità di anima(903). Che è pure quello che asserisce S Agostino: " Se vuoi sanità, bellezza e santità d'anima, ama la confessione ". Sennonché questo frutto, stante la nostra estrema debolezza, per lo più dura pochi giorni, poi il fervore scema nuovamente e bisogna rinnovarlo. È per questo che in alcune comunità, come alla Visitazione, si confessano due volte la settimana (quantunque ciò non sia obbligatorio), e i Filippini tre volte la settimana. Così nelle nostre prime Costituzioni c'era la regola di confessarsi, in Missione potendolo, due volte la settimana.

In terzo luogo, il Sacramento della Penitenza ci conferma nell'orrore al peccato e ci dà forza per non ricadervi. Dice il Dubois: " Nulla giova meglio a distruggere i peccati, che confessarsi spesso con le dovute disposizioni " (904).

In quarto luogo esso giova a farci esercitare molte virtù. S. Giovanni Bosco asserisce che in nessun altro esercizio si praticano tante virtù, come nella confessione. Si esercita infatti la fede, la speranza, la carità, lumiltà, ecc. (905).

In quinto luogo è utile, e direi necessario, per avere il vero spirito di Nostro Signore. Apparendo un giorno a S. Brigida, Gesù le diceva: " Se vuoi acquistare e conservare il mio spirito, ti conviene confessarti sovente dei peccati, negligenze e imperfezioni (906). L'anima che si confessa di frequente è più idonea alla grazia del Signore al suo spirito.

In sesto luogo la confessione frequente fa sì che non si abbia bisogno di confessarsi. È il P. Bruno che - 629 lo dice: " Confessarsi senza bisogno, per non aver mai bisogno di confessarsi ". È una cosa orribile, per un Sacerdote, aver bisogno di confessarsi, poiché è solo dei peccati mortali che siamo obbligati a confessarci. Che consolazione, dopo dieci, venti, cinquant'anni, non aver mai avuto bisogno di confessarsi! Come fare per giungere a questo? Confessarci sovente e bene.

Ho detto: confessarci bene. Questo è importante. S. Giuseppe Cafasso diceva che non sarà mai un buon confessore, chi non fu un buon penitente. Non tutti sanno confessarsi bene. Specialmente nelle confessioni delle anime pie si trova talora più parole che sostanza; non si fissano su quello che è necessario e fanno un guazzabuglio. Taluni si confessano di ciò che non è peccato. " Mi accuso di non aver amato Dio come lo merita ". Qui non c'è materia di assoluzione! Chi è che può dire di amar Dio come lo merita?... Altri attribuiscono tutta la colpa al prossimo e non a se stessi. Si dice: " Il demonio mi ha tentato "; oppure: " La gallina ha fatto cadere quel tale oggetto e mi ha fatto fare un atto d'impazienza ". Ma che gallina! sei tu che hai commesso l'impazienza.

Sono relativamente pochi quelli che si confessano bene. S. Alfonso scrive: " Chi sa confessarsi, sa salvarsi ". Mons. Rossi, Vescovo di Pinerolo, aggiunge che altro è sapere, altro è fare; non tutti mettono in pratica ciò che sanno, quindi non tutti si confessano bene. Mons. Formica, Vescovo di Cuneo, diceva al P. Bruno: " Predicando al Clero, insista perché non si facciano le confessioni con tanta disinvoltura ". S. Vincenzo de' Paoli cosi esortava le anime: "Andate a confessarvi con tale confidenza che nulla tolga alla riverenza; e con tale riverenza, che nulla tolga alla confidenza ".

Da voi non succede, perché avete il giorno e l'ora fissa per la confessione, ma nelle parrocchie sì: si va per due parole, si chiacchiera di un po' di tutto e poi: "Su confessiamoci! ". Eh, no! Bisogna almeno passare un momento in chiesa, sapere che si passa dallo spirito degli affari del mondo, dal ridere, dal bere, a un sacramento!

Ora, la prima condizione per ben confessarci è che ci accostiamo con spirito di fede: vedere Gesù in qualsiasi confessore. La scelta dei confessori, sia in comunità che in Missione, è fatta dai Superiori in nome di Dio. Bisogna ravvivare la fede, pensando che ci confessiamo da Nostro Signore. Ego te absolvo. Possiamo invece scegliere tra i diversi confessori della comunità. Il ven. Olier si confessava da S. Vincenzo de' Paoli, ma dovette lasciarlo, perché non s'intendevano. Uno può! essere santo e non fare per me. S. Teresa ricercava nel confessore la scienza, perché a quella essa non poteva supplire.

Quando però uno si è scelto il confessore, è bene che si confessi sempre dal medesimo; non cercare un confessore per i peccati grossi e un confessore per quelli piccoli. Certo c'è libertà, ma non va. Va per l'assoluzione, non per la direzione. Quando uno ha bisogno del medico, non va da quello che gli piace di più, ma da quello che ne sa di più. Così dei confessori: bisogna preferire quelli che ci scuotono, che ci parlano con schiettezza e verità. S. Giuseppe Cafasso non approvava coloro che, confessando i sacerdoti, dicono:" I suoi doveri li sa! ". Li sa, ma non pensa a compierli.

D'altra parte, non andare all'eccesso: perché manca quel tal confessore, non mi confesso. Se non c'è uno, si va da un altro... E confessiamoci anche che ci vedano! Non è male che i secolari vedano che anche noi preti un po' siamo seduti in confessionale e un po' inginocchiati al confessionale. Dobbiamo pensare che il confessore, in quell'atto, è superiore a noi, chiunque egli sia. Se un Cappuccino confessa il Papa, in quell'atto è superiore al Papa, che è lì penitente. Mi confesso a uno che è padre, giudice e medico.

La seconda condizione per ben confessarci, è di far bene l'esame. Ho già detto che non siamo obbligati a confessare i peccati veniali; tuttavia, se uno vuole riceverne l'assoluzione, bisogna che confessi almeno i principali. Ma per questo ci vuole un po' di esame. Non scrupoli, né confessare le virtù o i peccati degli altri, ma i propri veri, avvertiti, volontari, anche piccoli. S. Agostino scrive: " Confessati sempre, perché sempre hai di che confessarti; è infatti difficile in questa vita che uno si mantenga così mondo, che non trovi nulla da confessare ". Il nostro esame sia su tutte le nostre azioni, parole, pensieri, e non solamente su due o tre cose solite. Alcuni, ad esempio, non si esaminano mai sul tempo perduto. Dice lo Scaramelli (907) che siamo soliti a confessare sempre le stesse cose, perché non facciamo l'esame come si deve. Se uno sta attento a tutti i difetti della giornata, e poi concentra in uno gli esami di tutta la settimana, le mancanze le trova.

Esaminiamoci inoltre su quei difetti che sono la causa dei peccati di cui ci confessiamo; il che talora è necessario anche per l'integrità. " Ho commesso una mancanza contro la carità ". Sì, ma va più avanti. Perché l'hai commessa? Perché verso quel compagno nutri un po' d'invidia. Non confessare quindi solo l'atto esterno contro la carità, ma anche quello interno d'invidia: " Ho mancato di carità per motivo d'invidia ".

Poi ci vuole il dolore. E qui che manchiamo più facilmente. Siccome per lo più ci confessiamo di cose piccole, andiamo a confessarci senza dolore. O remoto o prossimo, come dicono i Teologi, bisogna che il dolore ci sia. Non è necessario sentirlo, ma desiderare di averlo. S. Tommaso insegna che il dolore è duplice: uno nella volontà, l'altro nella parte sensitiva. Solo il primo è necessario. E in che consiste? Risponde ancora S. Tommaso che il dolore è nient'altro che essere dispiacenti di aver fatto quel peccato (908). In pratica, chi lo domanda a Dio e vuole non più commettere il peccato, stia tranquillo, sebbene tema o sia quasi certo di ricadervi. Mons. Lamotte, Vescovo di Amiens , onde eccitarsi al dolore, faceva tre stazioni: al Paradiso, all'inferno e al Calvario. Io ne aggiungo una quarta: al Purgatorio, dove dovremo pagare fino al l'ultimo centesimo (909).

Per la remissione delle nostre colpe, anche leggere, dobbiamo dunque avere il dolore; ma non per questo dobbiamo sempre riconfessarcene, temere e piangere. I Giansenisti applicavano a sproposito il seguente testo: De peccato propitiato noli esse sine metu (910), che va tradotto: " Circa l'espiazione del peccato non essere senza timore ". Altro è l'espiazione, altro il condono. " Ma - dicono alcuni - S. Pietro continuò sempre a piangere il suo peccato! ".

Spiega bene S. Tommaso(911) che la penitenza è duplice, interna ed esterna. La prima deve durare tutta la vita, ché sempre deve dispiacere all'uomo di aver peccato. S. Luigi non cessò di piangere i due o tre suoi peccatucci. S. Paolo pianse per tutta la vita di aver perseguitato la Chiesa; eppure aveva ricevuto il battesimo ed era quindi sicuro che tutto era stato perdonato. S. Agostino, moribondo, domandava ancora perdono dei suoi peccati e recitava i Salmi penitenziali.

La seconda penitenza è quella esterna; e questa - dice sempre S. Tommaso (911) - non è necessario che duri fino al termine della vita, ma solo per un determinato tempo, secondo la natura del peccato e il giudizio del confessore. Quindi non ritornare sempre sulle colpe commesse. Siccome un peccato è perdonato, non pensarci più, perché il Signore non abbia a dirci: Usquequo gravi corde? (912). Fino a quando te ne stai sempre in pena? Il dolore stia, ma confessarcene non più; tutt'al più una seconda volta e basta!

Stiamo attenti ad apprezzare convenientemente questo Sacramento. Sarebbe pur bene, come facevano i Santi, confessarci tutti i giorni; ma se per buone ragioni ciò non è possibile, almeno facciamo bene la confessione settimanale. La prescrive il Codice di Diritto Canonico, ed è di regola.

E' una santa pratica; e uno non deve sentirne il peso.

E poi: esami puliti e confessione precisa e linda; non avvolgere le cose in tanta nebbia, che uno finisce per non confessarsi, e anche si fa perdere la pazienza al confessore, nonché ai compagni che attendono. Un sacerdote che stava per intraprendere l'ufficio di confessore presso un Monastero, venne a chiedermi consiglio al riguardo. Gli risposi: " Sia breve; il confessionale non è un pulpito. Lei è Maestro, non predicatore ". Sta però a noi il non dire le cose ingarbugliate, non fare la storia del lupo. Facendo le cose lunghe, si va a rischio di fare delle confessioni nulle per mancanza di dolore.

In conclusione, ringraziamo il Signore che ci ha dato questo gran beneficio della confessione e sappiamo valercene per la nostra santificazione.

Ritiro mensile

Vi sono diverse specie di Ritiri: l'annuale o esercizi spirituali, che durano una settimana o dieci giorni, e una volta anche quattro settimane, come tuttora presso i Gesuiti. Altri Ritiri di tre giorni si praticano, presso certe comunità di giovani, in principio dell'anno o per Pasqua. Quello che facciamo oggi si dice Ritiro mensile, perché si pratica una volta al mese, o per lo più in principio: nel primo giorno o nella prima domenica, o in altro giorno più libero dalle occupazioni esterne. Esso consiste in due cose: nell'esame del mese passato e nell'apparecchio alla morte. La prima cosa è essenziale al Ritiro mensile, la seconda è di aiuto alla prima.

Di quale importanza esso sia, appare dalla stima che ne fecero i Santi e che ne fanno le Comunità e anche persone private. Il Card. Lavigerie lasciò ai Padri Bianchi, come pratiche particolarmente raccomandate, quattro cose: gli Esercizi Spirituali, il Ritiro mensile, la meditazione e l'obbedienza.

Esso serve a rinnovare inno i propositi ed il fervore degli esercizi spirituali, nonché a spronarci nella via della virtù. Terminati i santi spirituali esercizi, ci sentiamo una volontà decisa di farci santi; ma passano pochi giorni e la miseria umana e le insidie del demonio fanno dimenticare quelle forti risoluzioni, e noi ritorniamo ben presto quelli di prima. Venga il Ritiro mensile, e noi ritorniamo sui passati Esercizi, ci scuotiamo, ripigliamo la buona volontà che avevamo alla chiusura di essi.

Un commerciante prudente, per non fare bancarotta, ogni anno fa i suoi conti delle entrate e uscite. Ma ciò non gli basta; li fa ogni trimestre, e buon per lui se ogni mese. Così noi, per ciò che riguarda l'anima nostra: considerare a qual grado siamo in virtù, quali e quanti i difetti da sradicare, poi tirare le somme, e con una sottrazione tra il buono e il cattivo, osservare quale dei due abbia la prevalenza. Come conclusione verrà il proponimento di avanzare in perfezione, nel nuovo mese, con il combattere gli uni ed esercitarci nelle altre.

È certamente un rinnovamento di spirito la confessione settimanale, come abbiam detto; nelle stesse disposizioni ci sentiamo dopo ogni Comunione. Ma purtroppo questi fuochi, sparsi fra le occupazioni del giorno, durano poco e talora non ne sentiamo neppure il calore, per l'abitudine contratta. Il Ritiro mensile, essendo di un giorno intero, nel quale, se non si lasciano tutte le occupazioni, si lasciano le più distraenti, e tutto il giorno si occupa nell'unum necessarium, può ben scuoterci e ritornarci al primo fervore. Quegli esami lunghi e minuti, il pensiero della morte meditata di proposito, scuotono salutarmente. Io aspetto da questa pia pratica, se bene si osserverà nel nostro Istituto, gran bene per noi e per il nostro apostolato.

Ma bisogna farlo bene. E quale ne è il modo? Anzitutto il ritiro mensile è un giorno di silenzio. Badate però che non sia un silenzio muto. Muto sì, con le cose che possono recar disturbo, ma loquace con Dio. Silenzio e raccoglimento. Si deve già sempre essere raccolti e questa Casa dovrebbe essere Casa di raccoglimento continuo, ma nel ritiro mensile lo deve essere di più come negli Esercizi spirituali, ma per un sol giorno.

È ancora un giorno di preghiera, per impetrare dal Signore che ci illumini a fare i conti senza amor proprio, come li farà Lui nel giorno del Giudizio. Tutti gli atti di questo giorno devono essere come una preghiera, per ottenere tale grazia e prepararci alla morte.

Il pensiero dominante dev'essere quello della morte. Si narra di un cacciatore che, nell'inseguire una fiera, passò davanti a una spelonca. Entratovi per curiosità, si trovò di fronte a un non so che, che sembrava un essere umano. Era un romita. Vistolo in quello stato, gli domandò che cosa mai facesse, e da quanto tempo si trovasse là. Rispose che vi stava da quarant'anni e che faceva una cosa sola: Disco mori!... Imparo a morire!... Anche noi, almeno un giorno al mese, impariamo a morire.

La parte però più importante, come ho detto, è quella dell'esame. Sono due gli esami, come già fu spiegato parlando dell'esame di coscienza: esame dei peccati ed esame di perfezione. Il primo è sui peccati gravi o veniali più volontari commessi nel mese e poi confessati; ciò serve ad eccitare meglio il dolore e a farci meglio conoscere dal confessore. Il secondo non si fa per la confessione, ma per vedere il nostro profitto nelle virtù e nella perfezione. Il commerciante non tien conto solo delle perdite, ma bada ancora al profitto e poi ai mezzi di guadagnare sempre più. In questo esame di perfezione deve principalmente fissarsi chi fa il Ritiro mensile: rileggere gli appunti e i propositi degli ultimi Esercizi, vedere come li ha messi in pratica nel mese decorso.

Specialmente ci si deve esaminare sulla passione o vizio predominante, che si propose di schiantare. Che se prima eravamo soliti cadere tante volte e ora di - meno, allora vi è del profitto. Uno potrà dire: " Sono sempre disubbidiente! ". Sì, tuttavia siccome non manchi più come prima, hai fatto un passo avanti.

All'esame sul vizio dominante, si aggiunge l'esame I sulla particolare virtù che abbiamo risoluto d'acquistare, e che per lo più è la virtù opposta al vizio dominante. Non basta, infatti, che proponiamo d'essere buoni in tutto; è un proposito troppo generale e, in pratica, poco concludente. Bisogna aggiungere ad esso un proposito particolare su di una virtù particolare, che avremo di mira durante il mese. Per l'affinità che esiste fra le virtù, esercitandone una, lavoreremo anche per le altre. In principio del mese proponemmo di essere più uniti a Nostro Signore con la preghiera, o più obbedienti, o più caritatevoli. L'abbiamo fatto?... non vi troviamo delle deficienze?... non vi furono forse dei giorni in cui la tiepidezza prese il sopravvento?

Dopo questo esame, che è il principale, dobbiamo esaminarci su tutti i nostri doveri: dalla levata, su su, fino al riposo della sera. Se troviamo che abbiamo fatto profitto diciamo Deo Gratias; il Signore, che ci aiutò nel mese decorso, ci aiuterà ancor più nel mese entrante, perché grazia chiama grazia. Se invece siamo andati avanti un po' freddamente, chiediamo perdono al Signore e poi avanti di nuovo.

Sovente, per le anime principianti, spaventa il pensiero di star buone un mese intero, perché temono di non riuscire. È meglio che propongano a se stesse: " Voglio star buono un giorno o anche solo mezza giornata ". Se poi uno non riuscisse, ricominci il domani, ricominci tante volte al giorno, senza scoraggiarsi mai; le sue cadute o infedeltà le ponga nel Cuore di Gesù dicendo: "Signore, bruciatele col vostro amore ! ".

Si termina la giornata rimettendoci al beneplacito di Dio, con l'accettazione della morte e con la preghiera della buona morte; pregando nello stesso tempo la Madonna che ci ottenga ancora un mese, che forse sarà l'ultimo, e lo sarà certamente una volta. Con questi pensieri cominciare un nuovo mese e trascorrerlo in modo da essere ben preparati a morire al fine di esso.

È pure buona cosa, come già vi ho detto, prendersi un Santo protettore del mese, di cui si fa la festa durante lo stesso mese, per invocarlo e imitarne le virtù.

Felici le comunità e felice il nostro Istituto se si pratica bene il ritiro mensile!... Santa pratica, questa, che nel nostro Istituto rimarrà ben ferma!

PRIMO RITIRO MENSILE DOPO GLI ESERCIZI SPIRITUALI - Fate oggi il primo ritiro mensile dopo i santi spirituali esercizi, e questo ritiro ha particolare importanza. Dovete esaminarvi sul mese passato, specialmente sui propositi degli Esercizi, per vedere come li avete osservati.

Io vi classifico in tre classi: quelli che li hanno osservati bene; altri che li praticarono alquanto o per qualche tempo, ma non interamente; altri che non ne fecero nulla trascurandoli o addirittura dimenticandoli. Vi parlo liberamente, proprio come la penso. Per la mia lunga esperienza, metto alcuni di voi nella prima classe; i più nella seconda; nella terza non voglio mettere alcuno e spero di non sbagliarmi. Sarà così? Dal vostro esame davanti a Dio ciascuno si collochi nella classe che gli spetta.

Coi primi mi rallegro in Domino e dico loro di dar lode a Dio, da cui solo procede ogni bene, e senza la cui grazia siamo capaci a nulla, se non a far peccati. Tuttavia potrete dire con S. Paolo: la grazia di Dio con me (913) cioè con la nostra buona volontà, con la nostra cooperazione. Continuate un secondo mese con sempre maggior impegno.

Ai secondi dico che chiedano perdono delle negligenze, esaminino la causa delle loro infedeltà alle promesse fatte, ed oggi stesso pongano una più forte volontà e risoluzione di osservarle. Cosi, nel prossimo Ritiro, potranno trovarsi nella prima classe. Il Signore non manca da parte sua di aiutarli; sta a loro scuotersi e ricominciare con più energica volontà. Raccomandatevi al vostro Angelo Custode e pensate alla santa soddisfazione che proverete fra un mese, al cumulo di grazie che avrete ottenuto, ai tanti meriti che vi sarete acquistati.

Dei terzi non parlo, perché questa Casa non è fatta per loro. Siam qui per farci santi Missionari, e costoro non si faranno mai santi. Quindi o si scuotano una buona volta e seriamente, o via dall'Istituto!

Immaginiamoci tutti di terminare oggi gli Esercizi spirituali e riprendiamo quelle disposizioni interiori che avevamo quando cantammo il Te Deum. Rileggiamo anche materialmente quel piccolo foglietto dei proponimenti, per ricordarli ogni sabato quando ci confessiamo, ogni mattina nella meditazione, e tutti i giorni nelle due Visite a Gesù Sacramentato e nei due esami.

Ma per riuscirvi, bisogna fare come il cieco del Vangelo, rivolgerci cioè a Gesù nel santo tabernacolo e dirgli: Maestro, che io veda! (914). Purtroppo è cosi: siamo cosi materiali, che non vediamo e non comprendiamo quanto sia bello servire il Signore con generosità. Chi dunque propose di essere più obbediente, dica a Gesù che gli faccia vedere e stimare il bello del l'obbedienza cieca. E cosi di tutte le altre virtù. Gesù è realmente qui per noi soli, per ottenerci tutte le grazie. Ricorriamo a Lui e confidiamo.

PRIMO RITIRO DOPO LA PROFESSIONE RELIGIOSA - Un podi esame oggi, che è ritiro mensile. Nel Noviziato voi avete posto il fondamento, ora dovete costruire... Sono contento di questo mese?... Trovo niente in me da perfezionare?... Esaminatevi soprattutto sui santi Voti: sono obbediente in tutto?... Casto?... Ho vero spirito di povertà?...

È comodo fare il voto di povertà e poi non volerne sentire gli effetti... L'obbedienza, poi, importa qualcosa di più del semplice voto; il voto si può praticare solo qualche volta, la virtù sempre... Della castità non parliamone. Sono solito, o meglio ero solito negli anni passati di parlare sempre della castità, di Gesù Sacramentato e dello spirito di povertà... Attenti ai tre voti! Essi sono la vostra forza. Nel noviziato avete compreso la necessità di essere poveri, casti, obbedienti; e ora fate. Ogni mese lavorate come se fosse il primo dopo la Professione.

Tutte le anime sante son passate per questa strada avevano fermezza nelle cose. Non erano di quelli che oggi vogliono, e domani no; di quelli continuamente soggetti ad alti e bassi, no!... Siate uomini!.. Dobbiamo imparare a nostre spese e non aspettare che siano santi gli altri, per santificarci. Diciamo: " Io voglio! ". Ah, quando penso a S. Paolo, alla sua fermezza! Era un uomo energico!... E il Signore non l'ha trattato davvero a biscottini. Non si legge che sia disceso dal Cielo a confortarlo, eccetto quando lo rapì fino al terzo cielo; ma lo fece passare per ogni sorta di tribolazioni... E fu due anni prigioniero a Roma, legato con un altro carcerato... Non era un perdere tempo questo? con tanto lavoro che aveva da fare?... Il Signore non aveva bisogno che corresse tanto; gli bastava che facesse la sua volontà. Se meditiamo questi fatti, c'è di che confonderci...

Passate questo nuovo mese come il primo dopo la Professione. Forse non avete rimproveri da farvi, ma trovate che potevate far meglio: essere più precisi, più attenti, meno pretensione che i superiori si inchinino a Voi, più carità nel sopportarvi a vicenda, ecc. Allora il Signore benedice e le cose andranno bene.

Esercizi spirituali annuali

Per fare bene gli Esercizi occorre una preparazione remota: disporre fin d'ora, testa e cuore, per approfittare delle grazie che il Signore vi tien preparate.

Prepararsi con la preghiera: invocando sovente lo Spirito Santo, che venga in nostro aiuto, affinché non abbiamo da ricevere invano la grazia di Dio. Indirizzate a questo scopo tutto quanto fate. Gli Esercizi sono una grande grazia, che ordinariamente il Signore concede tutta intera solo a chi insistentemente la chiede. Disponete l'anima, la mente, il cuore, prima di entrare nella grande preghiera degli Esercizi spirituali.

Prepararsi inoltre con generosità. Ognuno dica: " Voglio che questi Esercizi siano i migliori di tutta la mia vita ". Mettersi perciò fin d'ora nella disposizione d'anima di nulla rifiutare alla grazia, di volerla invece ricevere piena, completa.

Nei prossimi Esercizi bisogna esaminare il profitto dell'anno: se siamo stati generosi o se invece non abbiamo da scuoterci. Se il Signore non ci vede generosi, ci lascia. Ecco perché taluni non corrispondono alla vocazione: perché non corrispondono alle ispirazioni del Signore. Il Signore non vuole aver le cose per forza. Quando le cose non si fanno per amore, Egli restringe la mano e ci dà solo più la grazia sufficiente, mentre ci vuole un torrente, un fiume di grazia!

Poi bisogna pensare alla vocazione. Chi non ha i voti perpetui, è libero. Se uno non si sente di riuscire quello che dovrebbe essere, nonostante i mezzi a sua disposizione, non può rimanere qui. Meglio un buon cristiano, che un cattivo Religioso. " Ma che dirà la gente, se io ritorno a casa? ". Lasciate che il mondo dica quello che vuole, purché salviate l'anima vostra. Se, durante gli Esercizi, il Signore vi farà sentire che non siete chiamati a questo stato, costi quel che costi, bisogna lasciarlo. Ad altri invece dirà: "Ti voglio, sì, ma con la testa interamente qui, non mezza nel mondo e mezza qui ".

Verranno due buoni predicatori, ma ci verrà anche il diavolo; questi entra anche a porte chiuse. Tocca a voi non permettergli l'entrata. Diciamo anche noi con il Salmista: Juravi et statui! (915). Sì, ho giurato e giuro di farmi santo! E facciamo da parte nostra quel che possiamo.

INCOMINCIANDO GLI ESERCIZI - Nostro Signore era solito lasciar di tanto in tanto le stesse opere di zelo e di carità, per ritirarsi in luogo appartato a pregare. Non è che avesse bisogno di ciò, per essere Egli di continuo unito al Padre, ma affinché imparassimo, sul suo esempio, a lasciare per qualche tempo le opere esterne, anche buone, per attendere a Dio e all'anima nostra. Con Sé, infatti, chiamava gli Apostoli: Venite in disparte in un luogo solitario, e riposatevi un poco (916).

Lo stesso invito rivolge a voi; e voi lasciate tutte le altre occupazioni, per pensare solo più all'anima vostra, in questa solitudine del nostro Istituto, in questa silenziosa cappella, in questo luogo appartato dal mondo. Vi fermerete in questa solitudine per fare i santi spirituali esercizi annuali, che sono di otto giorni... e non sono lunghi. Di voi alcuni già li fecero altre volte, altri non ancora. Sono giorni di pace, giorni di grazie, giorni di cui dovremo ringraziare il Signore per tutta l'eternità. È necessario, però, sapere in che modo si devono fare. Il predicatore vi dirà tante belle cose, tuttavia credo mio dovere aggiungere una mia parola al riguardo essendo che vi conosco più intimamente.

Quante cose potrei dirvi sull'efficacia degli Esercizi spirituali nel mondo! Nei paesi, quando si dettano gli Esercizi, quante conversioni avvengono di peccatori induriti nel male! Quante anime tiepide s'infervorono e si santificarono! In quei luoghi, poi, come al santuario di S. Ignazio, dove annualmente si fanno gli esercizi, si vedono sempre miracoli, sia fra i sacerdoti, si a fra i secolari.

Gli Esercizi sono veramente i giorni accettevoli, i giorni della salute. Tutte le comunità Religiose vi danno grande importanza. Non parlo dei Gesuiti, per quali gli Esercizi sono tutto e li fanno talora della durata di un mese.

La Pia Società Salesiana, nel suo Regolamento, ha queste parole: "Gli Esercizi spirituali sono il tempo più importante di tutto l'anno; e fatti a dovere, dovrebbero dare forte impulso, anno per anno, verso la perfezione religiosa. Se non si esce dagli Esercizi con quel frutto che di per sé e con la grazia di Dio sogliono portare, è indizio che non furono fatti con sufficiente impegno. Bisogna dunque mettere la buona volontà di farli bene. La vostra vita dev'essere impregnata di spirito, perciò entrate con santo entusiasmo in questo corso di Esercizi.

Tutti ne abbisognate. Ne abbisognate (oh, quanto!) voi che siete prossimi a partire per le Missioni. È vero che anche laggiù farete ogni anno gli Esercizi; ma ora è il vero tempo di sistemare la vostra futura vita di zelo e di sacrificio. Dalla generosità vostra nell'offrirvi a Dio in questi giorni, dipende l'abbondanza delle grazie che otterrete per il viaggio e per la permanenza colà; dipende lo spirito con cui vivrete e il frutto del vostro apostolato. Per carità! fateli bene, fateli con tutto l'impegno, come se fossero stabiliti solo per voi.

Sono necessari per quelli fra voi che rimangono qui: per i Sacerdoti, al fine di sempre più infervorarsi nello spirito della loro dignità; per coloro che sono prossimi alle sacre Ordinazioni, per ben prepararsi alle medesime.

Sono necessari per voi che siete nel Noviziato o che vi entrate o ne siete usciti da poco. Lo scopo del Noviziato è di formare i membri allo spirito dell'Istituto, a vincere le passioni, ad ornarsi delle virtù religiose ed apostoliche. La coscienza vi dice di aver fatto tutto il possibile?... O se state per iniziare il Noviziato, avete la ferma volontà di attendervi con tutto l'impegno? Guai a chi trova un peso il Noviziato e vorrebbe terminarlo per amore della libertà! È in costoro che io trovo i soggetti più nocivi per la comunità!

Per chi, poi, deve fare la Vestizione o Professione religiosa, gli Esercizi costituiscono il momento classico straordinario, del quale si farà poi sempre l'anniversario. Tutti dunque ne avete bisogno. Chi è già santo, per santificarsi sempre più; chi è solo a mezza strada, per infervorarsi e prendere risoluzioni stabili. Chi non li ha mai fatti, ne abbisogna per sistemare tutta la vita passata; coloro invece che già li fecero altre volte, anch'essi molto ne abbisognano per esaminarsi sul profitto fatto.

COME FARE GLI ESERCIZI - Che cosa farete durante questi santi giorni? Pregare di più, pregare volentieri, pregar bene: questa è la prima cosa. Dopo ci sono le meditazioni e le istruzioni: ascoltatele attentamente, senza muovervi tanto, e ciò anche per riguardo al predicatore. Il demonio vi caccerà addosso un po' di noia, vi farà sembrare troppo lunghe le prediche o anche vi manderà qualche maluccio. E voi sopportate quest'ultimo con pazienza e respingete il resto con un: Vade retro, satana! (252).

Ci sono poi le riflessioni. Le prediche aiutano, ma siete voi che dovete andare fino in fondo al vostro cuore. Se potessimo aprirlo questo povero cuore, se potessimo scandagliarlo fin nel più intimo dei suoi recessi!... Ma per questo è necessario il silenzio; trascorrere gli Esercizi senza dire una sola parola non necessaria, neppur una. Non dovrebbe essere un sacrificio il non parlare, piuttosto il parlare è un sacrificio.

Non basta tuttavia il silenzio esterno di parole e di sguardi, ci vuole anche quello interno: star raccolti, frenare la fantasia, scacciar via i pensieri inutili. Fate come S. Bernardo che, entrando in chiesa, diceva: " Pensieri, cure, preoccupazioni, adesso state fuori, vi riprenderò dopo "(917). Riflettete invece su ciò che avete udito, meditatelo, ruminatelo fra voi e voi. Insomma, star uniti a Dio e parlare con Lui. Dio e l'anima mia, nient'altro. È un tempo prezioso quello degli Esercizi e non bisogna perderne una briciola. Pensate al frutto di santificazione che S. Francesco Zaverio trasse dai suoi primi Esercizi e cercate d'imitarlo.

Per voi gli Esercizi consistono essenzialmente in due cose: nella riforma di voi stessi e nella scelta dello stato. Anzitutto la riforma di voi stessi. Gli Esercizi sono infatti ordinati a fare una rivista minuta di tutta la vita, per fare poi, a metà dei medesimi, una buona confessione: in modo da non aver mai più pene del passato, nemmeno in punto di morte . Entrando in questa Casa, è necessario lasciar fuori tutto quello che è di mondo, con una buona confessione su tutto. Ciò naturalmente per chi non fece mai gli Esercizi e la confessione generale per bene. Chi invece l'ha già fatta, non la ripeta, specialmente se il confessore gli impose di non pensare più al passato. In questo caso, si fa la confessione dall'ultima confessione generale fino al presente, o anche solo la confessione annuale.

Facendo l'esame per la confessione generale - parlo a quelli a cui può essere necessaria - non bisogna inquietarsi; non dovete esaminarvi con i lumi che avete adesso, ma con i lumi e le intenzioni che avevate quando commetteste la colpa. Per quanto poi riguarda la confessione annuale, ritenete che basta dire le cose più salienti che capitarono lungo l'anno, una specie di compendio delle confessioni settimanali; e poi, anche qui, metterci una pietra sopra e non pensarci più. Non fa bisogno che venga un Angelo dal cielo a dirvi che siete perdonati, ve lo dico io.

La confessione, sebbene sia gran cosa, non è però il solo e neppure il principale scopo degli Esercizi. Non basta piangere il passato e confessarlo, dobbiamo anche proporre per l'avvenire. E nemmeno questo basta. Si tratta, negli Esercizi, di cercare le radici dei nostri peccati. Perché mai, dopo tante confessioni, dopo tanti propositi siamo sempre i medesimi, ci sono sempre le stesse ricadute, sempre gli stessi difetti? Perché non siamo mai andati alla radice dei nostri peccati e difetti; ci accontentiamo di esaminarci superficialmente, senza penetrare fino al fondo dell'anima nostra, per scoprirvi il perché di quelle continue mancanze di carità, di quell'orgoglio...

Quand'ero Direttore spirituale in seminario, mi accadeva talvolta di dire sul conto di certi seminaristi che non vi era nulla di male, ma neppure nulla di bene. Lasciai volentieri il seminario, per non aver più la responsabilità di tali anime e di tale carica.

Il fine degli Esercizi è dunque quello di sfondare la porta del nostro cuore, per scrutarlo fino in fondo; vedere donde viene quel peccato o difetto abituale. Gesù in questi giorni ci dice: Fode parietem! (918). Giù, giù quel muro che non ,ci lascia veder bene fin le ultime radichette delle nostre passioni!

Mons. Serafini, Abate Benedettino e Segretario della Congregazione dei Religiosi, in una sua visita alla Consolata, mi diceva che, secondo la sua esperienza, le Congregazioni perdono lo spirito e sono rovinate non dai cattivi, i quali o presto o tardi lasciano la Religione, ma da coloro che son sempre i medesimi ne loro difetti quotidiani, e non intraprendono una decisa emendazione. Costoro, perché non fanno cose gravi vengono tollerati; ma verrà giorno che dissolveranno ogni osservanza. E concludeva: " Costoro bisogna mandarli via per tempo, perché non intacchino gli altri. Sovente vengono più vecchi di tutti e seminano la zizzania ". Chi di voi fosse in questo numero, si scuota in questi Esercizi, altrimenti ritorni al secolo. Dunque, coraggio e senza misericordia penetriamo in noi medesimi, sino agli ultimi recessi; diciamo al buon Gesù che ci faccia Egli stesso lume per ben conoscere noi stessi.

Il secondo fine di questi esercizi è di studiare la scelta dello stato e corrispondervi. Già voi avete esaminata la vostra vocazione e siete venuti nell'Istituto con la speranza e anche con la certezza di averla. Ora però, che vi siete in prova e vi si spiega intimamente la natura dell'Istituto e della vostra vocazione apostolica, dovete in primo luogo pregare il Signore che illumini voi e i Superiori, per vedere chiaramente se siete da Dio chiamati a questo stato; studiare le virtù necessarie al medesimo e vedere se proprio il Signore vi vuole, se siete veramente decisi di corrispondere con tutto il cuore e con tutte le forze per riuscire degni Missionari della Consolata; se avete quella fermezza e costanza di volontà da sostenere tutte le cose contrarie, le insidie e i pericoli della vita di Missione. Insomma, non solo avere la vocazione, ma corrispondervi. Chi l'avesse e non corrispondesse, sarebbe peggio. Bisogna dire: "Sono venuto per farmi Missionario; adesso che son qui, e vedo e odo tutto quello che è necessario per essere tale, voglio praticarlo, per riuscire un Missionario in regola! ". Non ci vogliono delle mezze volontà, ma una volontà decisa.

In secondo luogo è necessario mettersi in una santa indifferenza, per fare quello che il Signore vuole da noi. Quindi non solo parlare noi al Signore, ma lasciare che anche Lui parli a noi. Dirgli con Samuele: Parlate, o Signore, che il vostro servo vi ascolta (919), poi ascoltarlo. Ad uno dirà: " Voglio che tu faccia un po' meglio la volontà dei Superiori. Ad un altro dirà di stare più attento in quella cosa particolare. Ad un terzo dirà: " Questo non è il tuo posto ", e allora bisogna parlare coi Superiori. State attenti a queste voci, perché vi rivelano la volontà di Dio a vostro riguardo.

In terzo luogo ci vuole fedeltà al regolamento: osservare bene e con prontezza l'orario. Dunque siamo intesi. Ognuno proponga di voler far bene questi Esercizi, in modo da poter dire alla fine: "Mi pare di aver fatto tutto il possibile, tutto quanto stava da me ".

DOPO LA VIA PURGATIVA - Non voglio farvi una seconda predica, solo voglio dirvi due parole. Gli Esercizi non sono ancora alla fine, ma già a buon punto. Ho detto ai predicatori: " Io non voglio qui dentro dei fiacconi, perciò li scuotano! ".

Oltre a questi predicatori, ne avete un altro: Gesù. Ma ricordatevi che c'è anche il diavolo; e questi, siccome ora siete già quasi a metà degli esercizi, potrebbe dirvi: " Sei già un po' stanco... prendi un po' di sollievo... che bisogno c'è di star tanto alla presenza di Dio? ". No, bisogna aver pazienza ancora per qualche giorno; sarete poi contenti alla fine. E intanto star uniti a Gesù e alla Madonna, e pensare a quello che dovete fare. Non scrivete tutte le prediche, ma solo qualche pensiero. Ne abbiamo tanti libri!

In questi giorni avete udito le prediche sulla morte, sul giudizio, ecc.; questo per prepararvi a fare una buona confessione. Queste verità eterne servono appunto a scuoterci per avere il dolore dei peccati. Adesso avete fatto il bucato e sarete sollevati.

Finora però avete fatto solo la parte negativa; resta il più importante: la parte positiva. Mi spiego. Che cosa si fa, quando si costruisce una casa? Prima si fanno gli scavi ben profondi, si tolgono via tutti gli ostacoli, poi si tirano su i muri ben saldi, che non abbiano a crollare al primo soffio di vento. Così voi finora avete scavato le fondamenta, avete preparato il posto ed ora bisogna innalzare l'edificio. È precisamente quello che farete nei restanti giorni. Siete entrati nella via illuminativa: seguire gli esempi di N. S. Gesù Cristo, per uniformarvi a Lui. Lì ci sono tutte le virtù. S. Francesco Zaverio si era scritta una piccola Vita di Nostro Signore, e la leggeva una volta al mese, per imitarlo.

Esaminatevi ben bene: imito io veramente Nostro Signore?... Soprattutto state attenti ai difetti più usuali; generalmente son quelli che vorremmo meno considerare. Quando, per esempio, i predicatori parlano della povertà, non dire: " Questo non fa per me, io sono distaccato dalla roba ". Andate a vedere se c'è proprio questo distacco. E così di tutte le virtù. Nostro Signore era umile e io sono pieno di superbia; Lui era caritatevole, io sono ancora maligno coi miei confratelli; Lui pregava le notti intere e io mi annoio subito... e così via.

Raccomandatevi a tutti i Santi, che vi aiutino e vi ottengano la grazia di ben capire i vostri difetti, per poter fare poi buoni propositi; ché se tutti devono essere imitatori di Gesù, tanto più dovete esserlo voi Missionari. Non dico che tutti i Missionari debbano fare dei miracoli, no; ma, fuori dei miracoli, dobbiamo far tutto quello che fece S. Francesco Zaverio. Se il Signore vede in noi la disposizione sincera di lasciarci lavorare dalla sua grazia, allora ce la darà. Continuiamo bene, ed il Signore ci aiuti, ci benedica, ci dia grazie per noi, per l'Istituto, per tutti.

ULTIMO GIORNO: I PROPONIMENTI - Gli Esercizi volgono al termine; ancora un giorno e saranno finiti. Che cosa dovete fare? Volgere indietro lo sguardo ai giorni passati e vedere come avete corrisposto alle singole grazie. Grazie furono i predicatori pieni di scienza e di unzione; grazie le preghiere, i ritiri, le pratiche esercitate; grazie i lumi che riceveste, i rimproveri che il Signore vi fece sentire. Grande lavoro si è fatto in questi giorni! Ringraziamo il Signore: Egli se lo aspetta questo ringraziamento.

Domani è il giorno dei proponimenti. Proposito generale di tutti è di corrispondere alla vocazione. Ciascuno, poi, deve fare i suoi proponimenti particolari Non basta dire: " D'ora innanzi voglio farmi santo! " Di questi proponimenti il demonio non ha paura, se ne ride; ci spinge anzi a farne molti, certo com'egli è che più grandi sono e numerosi, meno li osserveremo. Bisogna venire al pratico: in che modo voglio farmi santo?

I proponimenti siano pertanto sul difetto dominante, che in questi giorni abbiamo conosciuto, o sulla virtù di cui ci conosciamo più bisognosi. Ma anche qui non bisogna proporre in generale: " Voglio acquistare la tale o tal altra virtù ". No, ma osservati gli atti difettosi che più di frequente commettiamo, o quegli atti virtuosi che più ci mancano, in questi fissiamo i nostri proponimenti. Ad esempio: nelle confessioni settimanali uno si confessa abitualmente di mancanze contro la carità; ora poi avete conosciuto che la causa di tali mancanze è l'invidia... Ecco la radice da distruggere! Oppure sarà una continua distrazione o anche noia nella preghiera, e avete scoperto che la causa sta nella mancanza di raccoglimento. Ebbene, si fa un proponimento particolare su questo. Così dicasi degli altri difetti abituali.

E quanti devono essere? Una dozzina? Non Dirà qualcuno: "Ma io ho bisogno di tutto, sono privo di tutte le virtù! ". Ebbene, comincia ad applicarti all'acquisto di una virtù in particolare, in quel punto in cui vedi che ti è più necessaria. L'acquisto delle virtù, come l'emendazione dei difetti, non si fa tutto ad un tratto, ma per gradi. Anche se abbiamo molti difetti, prendiamo di mira il principale, quello in cui cadiamo più sovente o più gravemente. Se prendiamo troppa roba insieme, concluderemo nulla.

Dunque, non più di due proponimenti, particolari, minuti e sul difetto dominante. Noi siamo generosi col Signore a dargli molte cose, ma poi ci teniamo quella cosetta che dovremmo proprio dargli. Invece il Signore rifiuta tutto il resto e vuole solo quella. Una cosa piccola, da poco e su ciò di cui abbiamo maggior bisogno. Fatti i proponimenti, scriveteli, ma nei minimi termini possibile, non in lunghe pagine.

Questo è il modo di terminare gli Esercizi. Fate ancora un po' di sforzo; il Signore vi benedirà e vi troverete contenti. Ringraziamo il Signore e diciamogli: " Signore, conferma colla tua benedizione e colla tua grazia ciò che abbiam fatto e proposto! ".

LA CONSEGNA DEI PROPONIMENTI - Bene, datemi i vostri proponimenti. Voi avete confidenza in me e me li date, affinché io possa benedirli e anche aggiungere o togliere; poi li deporrò ai piedi della Madonna.

Avete udite tante prediche, tante considerazioni; dunque non resta che incominciare. Non date retta al diavolo, il quale senza dubbio vi dirà: "Oh poveretto, sei stanco... hai già fatto tanto silenzio... prenditi un po' di svago... hai tempo a mettere in pratica i proponimenti ". Non dategli ascolto. Fate pure tutto quello che dovete fare, ma tenete sempre fissi i proponimenti, altrimenti tutto è inutile. Incominciate subito, non fra una settimana, non fra pochi giorni.

Questi proponimenti sono quelli che vi ha ispirato il Signore, quindi: a) Rileggerli nel giorno del ritiro mensile - b) Ricordarli il giorno della confessione ed esaminarsi su di essi - c) Ricordarli nella meditazione del mattino, prevenendo le occasioni che si presenteranno lungo il giorno per praticarli - d) Rinnovarli ogni giorno nella santa Comunione - e) Far l'esame particolare su di essi.

Se si potrà fare qualche altra cosa, correggere qualche difetto in più, ebbene si può fare, ma il proponimento degli esercizi sia sempre il principale. È tentazione del demonio voler cambiare lungo l'anno, sotto l'aspetto del meglio, i proponimenti degli Esercizi, durante i quali avete avuto tanti lumi speciali per conoscere i vostri bisogni e le vostre debolezze.

Fate dunque così: incominciate subito e ripigliateli sempre senza stancarvi mai. Avanti con coraggio e buona volontà!

RESTITUENDO I PROPONIMENTI - Vi restituisco i biglietti dei vostri proponimenti, dopo aver aggiunto, tolto o mutato qualcosa. Li ho messi ai piedi della Madonna e l'ho pregata che li impregnasse di grazia e li rendesse efficaci. Mi piacquero, perché pochi, pratici e secondo il bisogno di ognuno.

Finora, però, avete fatto una cosa sola: il disegno dell'edificio che volete innalzare. Bisogna adesso passare all'esecuzione, col metterli in pratica e non lasciar che prendano la polvere. Ci vuole anche la materialità di rivederli qualche volta. Non dire: " Ma io li so a memoria! "; no, è utile rileggere quella particolare parola.

Il diavolo verrà a tentarvi e magari vi dirà che cadete più di prima. Non dategliela vinta; sempre ricominciare, anche se uno cadesse cinquanta volte al giorno. Anche se dimenticati, trascurati, i proponimenti degli esercizi non vanno cambiati. Fa d'uopo promettere e ripromettere, sempre ripigliarli, mai cambiarli.

Il Signore li ha benedetti e la Madonna pure; adesso bisogna muoversi davvero. I bersaglieri camminano mai adagio, van sempre di corsa. Fate così anche voi. Dice l'Imitazione di Cristo che non bisogna contare il profitto dai nostri anni di Religione. Ci sono dei vecchi in Religione, che sono molto giovani nella perfezione (920). Ricordate ciò che la Scrittura dice di Saulle: che regnò quarant'anni, ma effettivamente, cioè davanti a Dio, solo due anni(921).

S Giacomo dice che la parola di Dio non va solo ascoltata ma praticata. Non basta averli sulla carta i proponimenti. Siate factores verbi Dei (922) e allora i proponimenti saranno una grazia di Dio, porteranno benedizioni. I doni di Dio, quando vi si corrisponde, si moltiplicano; e sovente basta una buona risoluzione. Tutti i Santi erano come noi; sentirono la voce del Signore, si diedero a Lui, corrisposero. Così sia di voi!

giuseppeallamano.consolata.org