28. SPIRITO DI PREGHIERA

Necessità della preghiera

Certamente la prima, la più eccellente e potente preghiera è la santa Messa. Ad essa, come a centro, tendono tutte le altre azioni del Sacerdote, specialmente il Breviario. Ma, dopo la Messa, vi sono altre orazioni. Vediamo prima la natura dell'orazione in genere, la sua eccellenza e necessità.

S. Tommaso dice che la preghiera est elevatio mentis ad Deum (724) elevare la mente, il cuore, tutta l'anima a Dio. " Per essa - soggiunge S. Pietro Canisio - o scongiuriamo i mali, o chiediamo qualche bene per noi o per gli altri, o benediciamo Dio ". Così la preghiera ci eleva alla presenza di Dio e ci mette in colloquio con Lui.

Se uno avesse ottenuto un'udienza dal re, dal Papa, come si presenterebbe con rispetto, con timore! Orbene, se tanto - e giustamente - stimiamo un'udienza del Papa, quanto più quella di Nostro Signore, che è il Papa dei Papi, il Re dei re! Eppure, perché andiamo sovente da Lui, ci siamo avvezzati e non ci fa più quella impressione che dovrebbe farci. Non vi pare che questo pensiero serva a ravvivare la nostra fede?

La preghiera si divide in mentale e vocale. La prima è quella che si fa interiormente, nel nostro spirito e nel nostro cuore, con la meditazione e contemplazione la seconda è quella che si pronuncia esternamente con la voce o con qualche segno. Così il segno di croce, anche senza pronunciare le parole, è preghiera esterna.

Siamo obbligati a pregare? La preghiera è necessaria agli adulti di necessità di precetto e di necessità di mezzo. Questo è di fede.

È necessaria anzitutto, di necessità di precetto. Ciò si prova con molti testi Scritturali, in cui Nostro Signore ci comanda di pregare: Bisogna pregar sempre, senza stancarsi mai (725). Vegliate e pregate (726). S. Paolo ci esorta: Pregate senza cessar mai (727) Nostro Signore, poi, ce ne diede l'esempio: Passò la notte pregando Dio (728). E trovandosi in agonia, pregava più intensamente (729). Ugualmente fecero gli Apostoli: Noi poi continueremo ad applicarci alla preghiera (730).

È necessaria, inoltre, di necessità di mezzo: perché per salvarci abbiamo bisogno di tanti aiuti quotidiani, i quali il Signore stabilì di concedere solo a coloro che li chiedono, secondo che sta scritto: Chiedete e vi sarà dato (405). S. Agostino dice che, se è vero che Dio dà certe grazie, come il principio della fede, anche a chi non prega, le altre, come la perseveranza finale, non le concede che a chi prega (731). Il Concilio di Trento pronuncia l'anatema contro coloro i quali asseriscono che uno possa perseverare nella giustificazione ricevuta - in accepta justitia - senza uno speciale aiuto di Dio (732).

Specialmente in tre casi, secondo i Teologi, l'uomo e obbligato a pregare: a) quando si trova in peccato; b)quando si trova in pericolo di morte; c) quando è assalito da grave tentazione (733). Inoltre, aggiungono i Teologi, l'uomo deve pregare sovente in vita: saepius in vita. Quindi è che S. Alfonso, e con lui tutti gli altri Santi, dicono che chi prega si salva e chi non prega si danna. Il Signore concede la perseveranza finale a chi prega (734).

Vi sono poi altri motivi particolari per cui dobbiamo pregare. Li accennerò brevemente.

1 - Per vivere bene. Afferma S. Agostino che chi impara a pregar bene, impara a vivere bene. Recte novit vivere qui recte novit orare (735). Della stessa opinione è S. Alfonso: " volete sapere - egli dice - se un cristiano, un sacerdote, un Religioso vive come deve? Cercate se ha amore all'orazione ". Di S. Martino leggiamo nel Breviario che la sua vita era una preghiera incessante: teneva occhi e mani sempre innalzati verso il cielo. Oculis ac manibus in coelum semper intentus (736).

2 - Per corrispondere alla vocazione. Chi prega corrisponde alla vocazione e vi sarà fedele; chi non prega non vi corrisponde e la perderà. La perseveranza nella vocazione è una grande grazia di Dio, che non si ottiene se non pregando molto e bene. Per esperienza posso affermare che tutti i giovani e chierici che pregavano, hanno conservato la vocazione chiericale o religiosa; quanti invece non pregavano molto bene, l'hanno perduta e sono usciti dal nostro Istituto o dai seminari. Che se alcuno di costoro giungesse tuttavia ad essere sacerdote, non sarà mai un sacerdote esemplare.

Ai tempi di Mons. Gastaldi alcuni si lamentavano che facesse pregare troppo i chierici, ritenendo fosse meglio impiegare maggior tempo nello studio. Ma egli non s'arrese. Diceva poi a noi: " Mi dicono, cari chierici, che vi faccio pregar troppo. No, no, (e qui si animava nel gesto e nella voce) vi faccio pregare troppo poco! ". Lo stesso dico io a voi: non si prega mai abbastanza.

Vi ho già detto come S. Agostino in punto di morte ai suoi discepoli raccomandasse in particolare la carità e la preghiera. Parrebbe che un Dottore della Chiesa, uno dei più grandi filosofi e teologi di tutti i tempi, avrebbe dovuto raccomandare lo studio, con il quale acquistare molta scienza. I Santi sanno che il molto pregare nulla detrae allo studio, anzi l'aiuta. Se c'è la pietà, c'è l'unione con Dio e tutto il resto viene da sé; poiché quando si prega bene, il Signore dà tutte le grazie di cui abbisogniamo.

3 - Per l'apostolato. La preghiera è specialmente necessaria ai Sacerdoti e ai Missionari. Si racconta del Cardinale Ximenes, Ministro di Stato in Spagna, che, presentatosi un giorno in ritardo al Consiglio dei Ministri, che già s'impazientivano per il suo ritardo, disse loro: " La prima cosa per ben governare è pregare! ". S. Giuseppe Cafasso diceva che il Sacerdote deve essere un uomo di preghiera; che la preghiera (usava un termine un po' materiale ma espressivo) è il suo mestiere (737). S. Francesco Zaverio passava le notti intere davanti al santo Tabernacolo (738).

Che dire di chi porta sì poco amore alla preghiera, da omettere facilmente le stesse preghiere di regola? Perché non si è detto il rosario in comune, lo si dimentica; perché è passata l'ora della lettura spirituale, non la si fa più; e in Missione, perché uno ha fatto un viaggio un po' lungo si crede dispensato dagli esercizi di pietà. Ah, no! Il nostro primo dovere - ricordatelo poi sempre! - non è lo sbracciarsi, ma il pregare.

Il nostro S. Giuseppe Cafasso diceva: " Mi fanno pena i sacerdoti che hanno troppo da lavorare! " (739). La sentenza: " Chi lavora prega ", presa così in generale, non è giusta. Chi lavora per obbedienza e necessità, riferendo il lavoro a Dio, prega; ciò non toglie, però, che debba pregare veramente, anche sottraendo un po' di tempo alle opere di zelo. Infelice chi pensa t troppo agli altri! Ricordate la sentenza di S. Bernardo: che dobbiamo essere non solo canali, ma conche (740). I canali lasciano passare tutta l'acqua, senza nulla ritenere per sé; le conche invece prima riempiono se stesse, poi lasciano passare il soprappiù agli altri.

Può capitare un caso eccezionale: al mattino presto c'era molta gente da confessare e si è stati in confessionale fino a tarda ora; poi c'era da predicare, ecc. Arriva la sera, che si ha ancora la meditazione da fare. Allora sì... Ma questi casi succedono tanto di rado! E tuttavia, anche in questi casi, bisogna supplire con molte giaculatorie. Fuori di questi casi rarissimi, dobbiamo tenerci fedelissimi ai comuni esercizi di pietà.

Un sacerdote che non fa molta orazione non è un vero sacerdote. E che dire del Missionario? Che cosa volete che possa fare uno che non conosce nemmeno il mezzo che l'aiuta a tenersi unito a Dio? E come fare del bene se non stiamo uniti a Dio? Si fa più in un quarto d'ora dopo aver pregato, che in due ore senza preghiera. Tutte le nostre parole non valgono niente, se non c'è la grazia di Dio. Non bisogna certo lasciare di lavorare per poltroneria; ma nemmeno lasciar le preghiere semplicemente perché si ha da lavorare. Durante la guerra 1915-18, molti soldati si credevano dispensati dal Breviario, pel solo fatto di essere soldati; ma venne da Roma la decisione che per essere dispensati ci voleva un motivo grave.

Udite S. Paolo: Io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma è Dio che ha fatto crescere; di modo che nulla è il piantatore, nulla l'innaffiatore, ma è tutto il Dio che fa crescere (741). Non siamo noi che facciamo, è Nostro Signore; s'Egli non benedice, tutto è inutile. S. Alfonso era Vescovo, Superiore di una Congregazione, scriveva di continuo, ma non lasciava per questo di pregare; se non trovava il tempo, se lo prendeva. Fa pena sentir dire: " Non posso pregare perché ho tanto da predicare! ". Sì, tu predichi, ma gridi al vento! Domandate a S. Giuseppe Cafasso, se omise qualche volta il Breviario, il rosario, la meditazione solo perché aveva molto da fare! Se non aveva tempo di giorno, pregava di notte; il sacrestano lo vedeva sul coretto a pregare. Allora sì che poteva comporre quelle belle prediche e quelle accese preghiere a Gesù Sacramentato!

Insomma: è tanto facile scambiare le cose! Prima di tutto bisogna fare santi noi, prima pregare, poi fare del bene agli altri. Bisogna che comprendiate l'importanza di questo. E questo sia detto in generale di tutte le preghiere, e in particolare delle divozioni e delle preghiere fatte a Gesù Sacramentato. Bisogna amarla la preghiera! Sì, pregare, pregare bene! Non credere perduto il tempo che s'impiega a pregare. Qualcuno dice: a In questi tempi ci vuole azione, azione! ". Ebbene, non è mai avvenuto, come in questi tempi, di aver tante Ore di Adorazione! Sì, sì, lavorare; ma c'è più bisogno di preghiera che di altro. Abbiamo bisogno dello spirito di Dio!

Così in Missione: non bisogna credere che si vada solo a lavorare. Là c'è la Regola come qui e si deve trovar tempo per tutto: per la Visita a Gesù Sacramentato, per l'esame, per la meditazione, per le preghiere del mattino e della sera, per il preparamento e ringraziamento alla santa Messa o alla santa Comunione. Più avrete da lavorare e più dovrete pregare. Taluni, con la scusa di far del bene agli altri, non lo fanno più né a sé né agli altri, si rendono inutili a sé e agli altri. Tutto questo vi dico, perché voglio che diventiate uomini di preghiera, da mattina a sera!

Le condizioni della preghiera

Perché la nostra preghiera sia infallibiliter impetratoria, secondo le promesse di Nostro Signore, devono concorrere quattro condizioni.

1 - Chiedere cose convenienti alla salute spirituale ed eterna. Il Signore non dà pietre per pane o serpente per pesce.

2 - Pregare con fiducia di ottenere. Dio è infinitamente buono e desidera darci le grazie; è onnipotente e può darcele; quindi non abbiamo che da chiederle. Chi sa ben pregare, lega le mani a Dio e l'obbliga a concedergli ciò che domanda. Mosè veniva quasi rimproverato da Dio, perché con la sua preghiera gli impediva di castigare il popolo d'Israele.

Certe persone pregano con la paura di ottenere ciò che chiedono. " Chissà se il Signore mi farà questa grazia? ". Al Signore non piace questa pochezza di fede. Ci vuol fiducia e dire: " La voglio! ". Quindi con sicurezza di ottenere diciamo: " Signore, sono tanto superbo, maligno, ho bisogno di umiltà, di dolcezza, di un po' di buona volontà, di energia spirituale, di capacità per rendermi idoneo Missionario! ".

Bisogna strappare le grazie al Signore con la nostra fede, come fece S. Scolastica che fece piovere, a dispetto di S. Benedetto (742). Ci vuole una confidenza tale, da essere un po' audaci, un po' " prepotenti ", da pretendere miracoli. Il Signore non si offende di ciò.

3 - Pregare con umiltà. Se noi andiamo al Signore come il Fariseo, dicendogli: " O Signore, vedi che ho lasciato il mondo, vedi che faccio tanti sacrifici, ecc. ", ritorneremo a mani vuote. Gesù nel Getsemani, benché Dio Egli stesso, si prostrò a terra nel pregare il Padre suo. La posizione che teniamo pregando è in ginocchio, posizione umile che deve rappresentare l'umiltà del cuore. " Guarda, Signore, - dobbiamo dirgli - nulla io merito, ma appoggiato ai meriti del tuo Divin Figlio ti prego di concedermi la grazia di cui ho tanto bisogno ". Le richieste di grazie devono passare per il ruscello che è Maria SS., poi per il fiume che è Nostro Signore, e andare al mare che è il Divin Padre.

4 - Pregare con perseveranza, senza scoraggiarci se Dio non esaudisce subito le nostre preghiere. S. Giovanni Crisostomo dice che l'uomo della piscina, di cui parla il Vangelo, fu guarito in vista della sua costanza (743). Trent'otto anni egli aspettò la sua guarigione. Quando l'acqua della piscina si muoveva, c'era nessuno che l'aiutasse a discendere in essa e un altro lo precedeva sempre. Tuttavia perseverò e, dopo trentotto anni, Gesù gli fece la grazia.

Se è una grazia spirituale, o anche temporale ma non contraria al bene dell'anima nostra, bisogna battere, insistere. Bussiamo alla porta; se non ci viene aperto, bussiamo più forte; se ciò non basta, rompiamo la porta! È Nostro Signore stesso che c'insegna a far così, nella parabola di quel tale che andò ad importunare l'amico nottetempo, finché ebbe il pane che desiderava (744).

Generalmente, quando per ottenere qualche graziasi fa una novena ai Santi, non la si ottiene subito; sembra che i Santi per quella prima volta non odano; se ne fa una seconda, e il Santo comincia a udire; se ne fa una terza, e il Santo apre e ci ottiene la grazia. Quando poi non riceviamo la grazia richiesta, pensiamo che neppur un filo, neppure una parola delle nostre preghiere è caduta nel vuoto.

La preghiera vocale

Abbiam detto che la preghiera si divide in vocale e mentale. Diciamo prima qualche parola sulla preghiera vocale che è quella che si fa pronunciando le parole, senza tuttavia che sia necessario che queste vengano udite dai vicini.

Le preghiere vocali si dividono a loro volta in pubbliche e private. Son pubbliche se si fanno a nome della Chiesa, coll'autorità dei suoi ministri, come è la Santa Messa e il Divino Ufficio. Private sono tutte le altre. Le preghiere private si suddividono in comuni e particolari: a seconda che si recitano assieme in comunità, e sono da questa regolate; o scelte da ciascuno secondo la propria divozione. Si suddividono ancora in preghiere continuate e giaculatorie.

NECESSITA DELLA PREGHIERA VOCALE - Le preghiere vocali sono necessarie, come è necessario il culto esterno. L'uomo consta di anima e di corpo, e tutti e due devono dimostrare la loro dipendenza da Dio. Così non basta la preghiera mentale dell'anima, ma si esige che partecipino anche le potenze del corpo, specialmente la lingua, per manifestare esternamente gli affetti interni verso Dio.

S. Agostino, senza voler definire fino a qual punto la preghiera vocale sia necessaria, dice tuttavia che, a farcene conoscere il pregio, basta l'esempio di Nostro Signore, che tante volte pregò vocalmente e così insegnò a fare a noi (745). Quando nel Vangelo ci dice: " Pregate ", non intende solo la preghiera mentale, ma anche la vocale.

In secondo luogo, la preghiera vocale eccita ed aiuta quella mentale, allo stesso modo che il culto esterno è di sostegno al culto interno.

In terzo luogo, la preghiera vocale è, direi così, un frutto naturale e spontaneo di quella mentale, allo stesso modo che il culto esterno è quasi necessaria conseguenza di quello interno. Quando uno è pieno di amor di Dio, quando si sente tutto infervorato, gli viene spontaneo manifestare i propri sentimenti: il che appunto si fa con la preghiera. S. Bernardo dice che la meditazione ci fa vedere quello che ci manca, la preghiera ottiene che non ci manchi; la meditazione insegna la via, la preghiera ci fa camminare in essa; la meditazione ci fa conoscere i pericoli, la preghiera ce li fa evitare (746).

La preghiera vocale è dunque di somma necessità. Chi dicesse: " A me basta l'orazione mentale ", direbbe uno sproposito. Anche le preghiere pubbliche della Chiesa sono vocali. Non si può dir Messa solo mentalmente. E così il Breviario. Il P. Segneri, in punto di morte, si doleva di non aver stimato abbastanza la preghiera vocale. Confessava che, quand'era studente in Teologia, preferiva l'orazione mentale e a questa si atteneva (all'infuori delle preghiere vocali d'obbligo); ma poi, o per divina ispirazione o per l'altro, cambiò idea. Una aiuta l'altra.

COME PREGARE VOCALMENTE - Anzitutto non basta pregare con la sola lingua e con le labbra. Il Signore, per mezzo di Isaia, così rimproverava il popolo giudaico: Questo popolo s'avvicina a me colle parole e mi onora con le labbra, ma con il cuore è lontano da me (747). Non basta formulare con le labbra tanti Pater noster; la preghiera suppone l'attenzione della mente e l'affetto del cuore. Fare attenzione a quello che si dice, capirne e seguirne il senso, parlare a Dio a cuore a cuore.

In secondo luogo bisogna recitarle intere; non mangiarle, non mozzicarle: sia quelle l'obbligo, perché il demonio non abbia da raccoglierle a nostra condanna, sia quelle libere, perché si mancherebbe di riverenza alla preghiera.

Le preghiere comuni siano recitate o cantate da tutti, perché tutti diano gloria e maggior gloria a Dio, senza temere per la sanità corporale. Avviene talora nelle preghiere in comune, che tre o quattro le recitano mentre gli altri non si odono. Non abbiate paura che il pregare o il cantare vi faccia male. Il Can. Soldati, Rettore del seminario di Torino, diceva a noi chierici: " Il canto della Settimana Santa non ha mai fatto intisichire nessuno, e nessuno è morto per le funzioni del Venerdì e del Sabato Santo ".

In Comunità bisogna che cantino tutti, cantino come si deve. Lo stesso dicasi delle preghiere. Qualcuno le dice piano piano, da farsi appena sentire. Ma su, diamo lode a Nostro Signore anche con la voce, facciamo coro! C'è bisogno che ci diano una spinta?... Ho già fatto attenzione che, quando qualcuno rimane così quasi muto, se noi per parte nostra diciamo forte, anche lui si scuote. Perciò voglio che il Superiore, quando qualcuno pregando non muove le labbra, lo avvisi.

S. Bernardo ebbe un giorno una visione. Mentre i frati erano in Coro, vide un Angelo che scriveva i nomi dei singoli frati. Alcuni li scriveva in oro, altri in argento, altri in nero e di altri scriveva nulla. Alla domanda del Santo rispose: " Il nome scritto in oro è di quelli che recitano bene il Divino Ufficio; quello scritto in argento è di coloro che lo recitano meno bene; quello scritto in nero è di coloro che fanno le cose materialmente, senza la dovuta attenzione; gli altri, di cui nulla scrivo, sono quelli che dormono o non pregano (748).

È certo che la preghiera in comune ha molta forza e il Signore l'ascolta più volentieri, com'Egli stesso ha promesso nel Vangelo. Sia dunque nostro impegno, nelle preghiere in comune, di unire la nostra voce a quella degli altri; e se anche il Signore in quel momento vi mandasse delle estasi, ditegli: " Signore, lasciate stare le estasi, ora ho da pregare in comune! ".

Bisogna inoltre pregare in posizione di rispetto, non occupandosi d'altro. Si può tuttavia pregare lavorando, purché i lavori non assorbiscano totalmente la mente e non si tratti di preghiere strettamente d'obbligo.

Notiamo ancora che le preghiere in comune debbono preferirsi alle particolari. Non potendo farle tutte, omettere le particolari. Le particolari si possono, in chi si sente attratto, cambiare con le mentali; non così le comuni almeno le obbligatorie. Le particolari, poi, è meglio che siano poche e ben dette, che molte e dette in fretta, senza attenzione; non ometterle con troppa facilità; non cambiarle tutti i momenti. Ci sono delle persone che vogliono dire tutte le preghiere nuove che incontrano! No, è meglio essere costanti in quelle che ci siamo prefissi.

Lo Scaramelli racconta che il Da Kempis, molto divoto della Madonna, ebbe un giorno una visione. Vide la Madonna discendere dal Cielo e abbracciare tutti i suoi compagni, ma quando fu vicina a lui, lo guardò severa e se ne partì. Richiesta poi da lui del perché, rispose: " Perché una volta recitavi divotamente le preghiere in mio onore, ora le hai lasciate. Ripigliale e abbraccierò anche te " (749).

Facciamo tutti il proposito di recitar bene le nostre preghiere vocali, con divozione interna ed esterna, e senza tanta fretta. La preghiera vocale, se detta bene e adagio, diventa anche preghiera mentale. Non c'è mai motivo di pregare in fretta. Se non fate ora questo sforzo, in Missione pregherete poi male e darete scandalo agli indigeni.

Le nostre preghiera vocali

Nel nostro Istituto è prescritta almeno un' ora di orazioni vocali distribuite secondo l'orario della comunità. Notiamo subito quell' " almeno "; esso sta ad indicare il minimo indispensabile.

Or io domando: perché queste preghiere, invece di recitarle tutte di seguito, sono state distribuite lungo i l giorno? Perché ci aiutino a santificare la giornata, con mantener vivo in noi, durante le singole azioni, l'amore di Dio. S. Paolo ci esorta: Quantunque cosa facciate o con parole o con opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di Lui (750). Ogni nostra azione, spirituale o materiale, deve incominciare da Dio e terminare in Dio. Le preghiere ci aiutano a ciò praticare; sono, direi, le pietre miliari sparse lungo il cammino della giornata, per farci rientrare in noi stessi e mantenerci uniti a Dio. A questi punti fissi possiamo aggiungere aspirazioni, giaculatorie, comunioni spirituali, o ricordare i propositi della meditazione. Questo è lo spirito che deve accompagnarci in tutto il giorno e tutti i giorni; allora la nostra vita sarà veramente tutta del Signore che ce ne darà il merito.

Passiamo ora brevemente in rassegna alcune di queste preghiere, onde meglio assaporarle. Del Deo gratias con cui al mattino, appena svegli, rispondiamo al Benedicamus Domino, ho già parlato. Sì, è cosa giusta e doverosa ringraziare il Signore della buona notte a noi concessa, mentre molti la passarono nella sofferenza ed altri ancora morirono, forse di morte improvvisa. I sacerdoti devono aspettarsi più degli altri di morire di morte subitanea, perché predicano sempre agli altri di tenersi preparati. Dunque ringraziamo il Signore che ci dà un giorno di più.

Segue il segno della croce, perché tutto quello che facciamo, dobbiamo farlo in onore del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, a gloria della SS. Trinità.

Si recita poi il Veni Creator: il quale inno, se ben capito e divotamente recitato, non può non riempirci di fervore per trascorrere santamente la giornata. In esso s'invoca dapprima affettuosamente lo Spirito Santo, perché ci riempia della sua grazia, prima che il demonio venga a disturbarci. Seguono, a mo' d'invocazione, diversi nomi Scritturali, significanti i diversi effetti dello Spirito Santo nelle anime nostre. Paracleto, Dono di Dio, fonte viva, fuoco, carità... Quindi si chiedono i suoi sette doni e alcune grazie particolari: che ci illumini la mente, onde ben conoscere il Padre e il Figlio, e c'infiammi del santo amore. Lo si termina con la solita lode alle tre Divine Persone.

Tralasciando per ora le altre preghiere, mi soffermo a quelle che diciamo prima e dopo i pasti: tutte ridondanti di alti pensieri e di accesi affetti verso Dio. La Chiesa, con queste preghiere, vuol farci ricordare che tutte le cose, anche le materiali, sono del Signore e ci vengono dalla sua bontà verso di noi, e che perciò noi dobbiamo da esse sollevarci a Lui. O Signore, prendiamo questo cibo perché così Tu hai stabilito, ma il nostro pensiero voglio che sia rivolto a Te e al Cielo!... Dopo il pasto, ringraziamo il Signore del cibo dato con tanta abbondanza a noi poverelli, e lo preghiamo anche per i nostri benefattori: Retribuere dignare Domine, omnibus nobis bona facientibus propter nomen tuum, vitam aeternam. Ricordatevi che il propter nomen tuum va unito alla prima frase, non al vitam aeternam. Preghiamo cioè per quelli che ci fanno del bene per amore del Signore. Segue il Fidelium animae... Prima abbiamo pregato per i benefattori viventi (cosa che dobbiamo sempre fare), adesso per quelli defunti.

Vedete come son belle queste preghiere! Se le dicessimo con fede, con sentimento, sentiremmo che ci portano via e non ricordiamo nemmen più che cosa abbiamo mangiato, né pensiamo a quello che mangeremo. Ma bisogna dirle bene.

Proponete dunque di recitare sempre bene le preghiere di comunità, tutte, anche le più piccole; e non dubitate che il Signore vi benedirà. Basterebbe una preghiera sola, ma ben meditata; tuttavia, per la nostra " miseria " se ne sono aggiunte tante altre approvate dalla Chiesa. Queste diciamole pure, ma con senso, con affetto.

A tal fine vi faccio ancora osservare che quasi tutte le preghiere che voi recitate sono indulgenziate. San Giuseppe Cafasso voleva che si desse grande importanza alle Indulgenze. Guai a chi non le stima! Non sono cose da teste piccole! Le Indulgenze tantum valent quantum sonant. Quando non si acquistano plenarie, si acquistano almeno parziali. Se le plenarie non si potessero mai acquistare, sarebbe inutile che la Chiesa le concedesse. Cerchiamo di lucrarne più che possiamo. Sono i Giansenisti che hanno messo tanti " ma ". Se di tutte queste Indulgenze non ne abbiamo bisogno noi, servono per le anime del Purgatorio; state certi che non sono mai perdute.

Orazione mentale

ECCELLENZA E NECESSITA - Tra i mezzi per acquistare la perfezione, uno dei principali è certamente la santa meditazione, detta anche orazione mentale. Vorrei che tutti vi compenetraste della sua importanza, ne prendeste affetto e ve ne formaste l'abito durevole. Non solo imparare a farla bene, ma prendervi gusto. Chi fosse riuscito ad affezionarsi alla meditazione, avrebbe già fatto un gran passo nella via della propria perfezione.

Ma è necessario che lo facciate adesso, perché se uno vi si affeziona da chierico, in seguito troverà sempre tempo a farla; altrimenti la lascierà. Mons. Rossi, già Vescovo di Pinerolo, nel suo Manuale del seminarista, dice che su dieci seminaristi che non si abituano a far bene la meditazione in seminario, forse neppur uno la farà da sacerdote; su dieci che la fanno in seminario, non più di cinque continueranno a farla bene nel ministero; degli altri: una parte la faranno alla meglio, una parte la lasceranno (751). Per voi non sarà così, perché anche in Missione avrete il tempo fisso per sì santo esercizio.

La meditazione è anzitutto necessaria per evitare i peccati. Memorare novissima tua et in aeternum non peccabis (752). S. Alfonso dice che meditazione e peccato non possono stare insieme (266); mentre col peccato può stare ogni altra opera buona, anche la santa Comunione. La stessa cosa, benché con altre parole, asserisce S. Teresa, dicendo che chi non fa meditazione, non ha bisogno che il demonio lo tenti e trascini nell'inferno, ci va da sé (754). Nella sacra Scrittura leggiamo: Tutta desolata dalla devastazione è la terra, perché nessuno riflette dentro il suo cuore (755). Quindi Suarez ritiene la meditazione moralmente necessaria, perché senza di essa non solo è difficile conseguire la perfezione, ma anche solo durare lungo tempo in grazia di Dio (756).

È ancora necessaria per acquistare lo spirito di pietà, la divozione, l'amore di Dio e quindi la perfezione. S. Alfonso lasciò scritto che tutti i Santi si santificarono per l orazione mentale (757) e che, perciò, la meditazione è la via più breve per giungere alla perfezione. S. Carlo Borromeo non ammetteva nessuno alle Sacre Ordinazioni, se non sapeva far bene la meditazione (758). E aveva ragione, perché è di qui che i preti attingono lo spirito.

È poi ancora necessaria per far del bene alle anime. S. Paolo della Croce scrive che se saremo uomini di orazione, Dio si servirà di noi, sebbene miserabili e poverelli, per fare cose grandi per la sua gloria; altrimenti non faremo nulla di buono(759). Sta scritto: Beato l'uomo... che nella legge del Signore medita giorno e notte. Egli è come un albero piantato lungo correnti d'acqua, che darà frutto a suo tempo (760). Ecco perché i Santi operarono un sì gran bene: meditavano bene e lungamente.

Tenete perciò a mente il detto di S. Alfonso: doversi ritenere come perduto il giorno in cui non si fa meditazione (761). Un giorno venne da me un vicecurato e mi disse: " Io antepongo la meditazione al Breviario. Al mattino per prima cosa ci sarebbe da recitare il Breviario, invece io per prima cosa, avanti o dopo Messa, secondo l'ora in cui celebro, faccio la meditazione. Certi giorni poi, per attendere al ministero, devo dire tutto il Breviario alla sera; tuttavia antepongo la meditazione, perché se si lascia sfuggire il tempo propizio, non si fa più. Questa è la mia idea; adesso mi dica lei se faccio bene o male ". Gli risposi: " Sì, sì, fa bene, credo che faccia bene; perché è vero che il Breviario è d'obbligo, tuttavia per il Breviario tutto il giorno è buono, mentre la meditazione, se non si fa in quella mezz'oretta, dopo non si fa più. Perciò credo di poterla assicurare e incoraggiare a continuare così ".

Credo più necessaria la meditazione del Breviario, in questo senso: che chi fa bene la meditazione, dirà anche bene il Breviario. Eppure, anche fra i Religiosi, non si dà sempre alla meditazione la dovuta importanza; la si lascia con facilità, o non si fa bene e con profitto. Il motivo, o almeno uno dei motivi è che non abbiamo imparato a farla bene; e anche perché non ci prepariamo, non ci applichiamo a dovere e non pratichiamo le risoluzioni prese in essa. Veniamo dunque alla pratica.

MEDITAZIONE IN SENSO LARGO - Dobbiamo anzitutto distinguere la meditazione presa in senso largo, da quella metodica. La prima si può fare da tutti e tutto il giorno. Quanto amo la tua legge! Tutto il giorno io medito in essa (762). La fanno anche le povere donnicciole di campagna, le quali, andando al campo, cominciano a dire: " Signore, vi ringrazio del bel tempo che ci mandate! ". Poi sul lavoro: " Signore, è per voi che faccio questo! ", e di tanto in tanto sollevano la loro mente a Dio. È di questa meditazione accessibile a tutti, che i Santi intendono parlare, inculcandone la necessità. Un giorno venne da me un campagnuolo, la cui figlia stava per farsi suora. Gli dissi che avrei pregato per ottenergli dal Signore di far volentieri il sacrificio. Ed egli: " Sì, preghi, ho proprio bisogno di preghiere; io non prego niente, tutto il giorno avendo la testa in aria... ". Ma in pochi minuti mi disse tante cose alla buona, ma profonde per fede e sentimento, che si vedeva proprio come da tutto egli sapesse assurgere a Dio.

Questa non è meditazione formale, ma è vera meditazione. Come pure è meditazione il pregare adagio, fermarsi su ogni parola della preghiera, meditare i misteri del santo Rosario, ecc. Gli indigeni delle nostre Missioni amano tanto la Via Crucis, fissano volentieri lo sguardo sui quadri che rappresentano la Passione di Nostro Signore, sentono compassione di Lui e sdegno contro i carnefici... E questa è vera meditazione.

Persino i mondani meditano... a loro modo. Meditano i commercianti sul come far guadagni e pensano alla dogana, all'aggio, alle spese, al modo di presentare la merce, ecc. Tutto il mondo medita e taluni di costoro meditano tutto il giorno. Solo noi non sappiamo meditare? noi che, non dico che l'abbiamo per mestiere, ma per speciale dovere?...

Prendiamo dunque l'abito della meditazione. Al mattino, al suono della campana, pensare alla tromba che ci chiamerà al giudizio: come mi troverei davanti a Dio? Mentre ci laviamo: Asperges me... lavabis me et super nivem dealbabor (763). Oppure si possono dire le preghiere del sacerdote al Lavabo della Messa. Vestendosi: " vi ringrazio, Signore, di avermi dato quest'abito: fate che lo porti sempre con amore e con onore! ". E intanto si pensa a Gesù Sacramentato: " L'anima mia ha sete di te, Gesù! " (764). E così per tutta la giornata; si può far meditazione in ogni azione che si compie.

I Santi da tutto quello che vedevano si sollevavano a Dio. S. Teresa, alla vista di un fiore, pensava che quel fiore faceva la volontà di Dio. Quando studio, penso che quella tesi, se ben studiata, mi servirà un giorno ad illuminare le menti dei poveri pagani, ecc. Così pure quando lavorate. Da tutto si può cavare un pensiero che ci tenga alla presenza di Dio.

MEDITAZIONE METODICA - Per quelli che sono nel mondo la meditazione in senso largo basta. Noi però bisogna che facciamo qualcosa di più, cioè che ci applichiamo alla meditazione formale, regolare, metodica. Questa sembra difficile e si ripete da molti il solito ritornello: " Non so meditare! ". Altri dicono che trovano più facile e ricavano maggior frutto da una lettura spirituale, dalla lettura della vita di un Santo. Certo, è più facile leggere la vita di un Santo, perché non è così stringata come la meditazione; ma anche questa è necessaria.

Non nego che da principio sia un po' difficile; è come per un chierico che incomincia a dire il Breviario, che da principio non si raccapezza. Tuttavia bisogna mettersi subito d'impegno: le prime volte la si fa un po' meccanicamente, poi verrà da sé. Del resto, se un chierico o un sacerdote non si applica a questa meditazione non farà neppure l'altra di cui abbiamo parlato.

In che consiste dunque questa meditazione? Consiste praticamente nel leggere o sentir leggere qual che massima di nostra santa Religione, ripeterla nella memoria, discorrervi sopra con l'intelletto, al fine di muovere la volontà ad affetti e a propositi corrispondenti.

I metodi di farla variano secondo gli autori. Quasi tutti i libri di meditazione ne danno qualche cenno in principio. Il P. Faber accenna a due principali - quello di S. Ignazio e il così detto metodo di S. Sulpizio (765). Quello di S. Ignazio sembra un po' complicato, ma quando lo si è capito bene, si trova facile. Egli lo compose per i suoi Religiosi. Il metodo di S. Sulpizio è del Ven. Olier e segue i metodi antichi Tutti questi metodi furono poi semplificati da S. Alfonso, che li ridusse a tre punti: preparazione, corpo, conclusione (766).

1- Preparamento - Va da sé che uno non deve mettersi a pregare il Signore con la mente distratta. Per prima cosa, dunque, dobbiamo metterci alla presenza di Dio, pensare che il Signore è lì che ci vede. È molto conveniente, a tal fine, la bella preghiera che voi recitate prima della meditazione, la quale contiene tre atti: a) un atto di fede nella presenza di Dio; b) un atto di umiltà, con sentire la nostra pochezza e la nostra indegnità di conversare con Lui; c) un atto di domanda, perché ci aiuti a far bene la meditazione. Questa preghiera recitatela adagio, di cuore, pensando a quello che dite.

2 - Il corpo della meditazione - Il corpo della meditazione può essere tratto dalla vita di nostro Signore, un suo insegnamento o altro consimile. Si legge o si ascolta quello che dice il libro; non è però necessario meditare poi su ogni singola parola; meglio fermarsi su un punto solo, se il cuore ne trova pascolo. Poi si legge il secondo punto; uno però può fermarsi al primo, se vi trova cibo per l'anima sua. Tuttavia è meglio ascoltare quello che si legge, affinché, se il primo punto divenisse arido, uno abbia altra materia da meditare.

Ieri, per esempio, ho meditato sulle parole dell'Angelo a S. Giuseppe; Levati, prendi il Bambino e la Madre sua e fuggi in Egitto(767). E ne ho avuto abbastanza. Ho cominciato a dire fra me e me: Il Signore mandò l'Angelo a S. Giuseppe e non alla Madonna, quantunque fosse più degna. Ella non si offese, perché sapeva che S. Giuseppe era il vero capo della S. Famiglia... E noi?... Se il superiore ci fa giungere un ordine pel tramite di altra persona, lo prendiamo con spirito di obbedienza?... S. Giuseppe, inoltre, poteva dire: " Gesù è il padrone del mondo, pensi Lui a salvarsi; perché mai fuggire in Egitto? ". Di più l'Angelo gli disse: " Prendi " e non " prenderai "; e non gli aggiunse altro: né sul tempo della dimora in Egitto, né su che cosa avrebbe dovuto fare colà... Vedete che della materia su cui meditare ce n'è!

Stamattina ho meditato sulla parabola del buon grano e della zizzania. Ho pensato: Il mio cuore è un campo; vi è seminato tutto buon grano? Dovrebbe essere così, ma purtroppo la zizzania non manca. Zizzania può essere quella malignità, quell'imperfezione; è zizzania perdere un po' di tempo nell'eseguire l'ubbidienza... O Signore, quanta zizzania! Datemi la grazia di distruggerla subito, non voglio tardare ad estirparla... E poi: il mio grano è forse intisichito? Ah, fosse bello e prosperoso! Ebbene, in questa giornata voglio che tutto quello che farò sia grano puro; quindi eviterò quella circostanza così e così...

Si prende quel tratto che ci ha colpiti di più e si medita sopra facendo atti di amore, di ringraziamento, di lode. L'intelletto ci entra anche, ma è solo per far lavorare la volontà. La meditazione è, sì, un lavoro della mente, ma per scaldare il cuore. Non basta semplicemente ragionare, ci vogliono gli affetti e i propositi.

3 - Conclusione - Si termina la meditazione col chiedere perdono a Dio delle negligenze in essa commesse e col pregarlo che ci aiuti a mantenere i propositi fatti: che devono essere pochi, pratici, su circostanze probabili della giornata. Bisogna inoltre, come insegna S. Francesco di Sales (768) scegliersi un pensiero come fioretto spirituale, da ricordare lungo il giorno. Se vi abituate, non è difficile né ci vuole molto sforzo.

Direte: " Vengono delle distrazioni, siamo nell'aridità! ". Eh, il demonio ha tutto l'interesse di guastare quest'azione così eccellente; ma né le distrazioni, né le aridità devono scoraggiarci. Però non sempre le distrazioni vengono dal demonio: talora vengono da noi. Chi procura di conservare il raccoglimento abituale sarà meno soggetto a distrazioni. D'altronde le distrazioni involontarie non tolgono il merito e il frutto della meditazione.

Tempo fa, fui a visitare un'ammalata che mi diceva: " Mi piace tanto quel pensiero di S. Alfonso de Liguori (769) che, entrando in un palazzo antico, lungo le scale vi sono delle statue che forse da cent'anni so no là e non si mossero mai, e tuttavia non sono inutili, perché fanno onore al padrone. Io sono qui malata e non posso far nulla, quasi neppure pregare; faccio come quelle statue: dò gloria a Dio! ". Così noi, quando abbiamo distrazioni involontarie o siamo nell'aridità, non dobbiamo rattristarci; stiamo contenti di fare la volontà di Dio, di dar gloria a Lui con la nostra presenza. Che cosa fanno i candelieri sull'altare tutta la settimana? Si accendono solo alla domenica, perché dunque lasciarli di continuo? Adornano l'altare e quindi danno gloria a Dio. Stiamo dunque ugualmente ai piedi di Gesù, facciamo atti di umiltà, di amore; diciamogli che se agli altri dà pane, a noi dia almeno le briciole. Il Signore dà sempre qualcosa; qualche goccia di consolazione la lascia sempre cadere nell'anima di chi persevera con umiltà.

Dice ancora S. Francesco di Sales che i cortigiani del re non si stancano di stare nell'anticamera del sovrano, sebbene non parlino con lui, contenti di vederlo qualche volta (770). Ad ogni modo bisogna sempre fare qualche proposito e così la meditazione darà il suo frutto.

Mettiamo impegno a far la meditazione e mai lasciarla. Se avviene che non abbiamo potuto farla con la comunità, non dispensiamocene; quando vi si è affezionati, si trova sempre tempo a farla. Quel giorno in cui non si è fatta dobbiamo sentirci come chi non ha preso il solito cibo.

Vita interiore e spirito di preghiera

Le pratiche quotidiane di pietà sono un potente mezzo per preservarci dal peccato e per aiutarci a conseguire la perfezione. Ora viene spontanea una domanda: Come va che, dopo tanti giorni, mesi ed anni che compiamo tali esercizi, siamo ancora sempre pieni di difetti e così lontani dalla perfezione? E questo noi diciamo non solo per umiltà, ma secondo verità. Come va? La risposta non può essere che questa: o non li facciamo bene, o non procuriamo di ricavarne frutto. In un campo, in una vigna, non basta seminare e piantare bene e buon seme, ma bisogna poi accudire il seminato fino a raccolto fatto. Così dei nostri esercizi di pietà.

Posto anche che li facciamo bene, con impegno (non dico con fervore sensibile, che non è necessario), dopo non ci pensiamo più. Facciamo la meditazione, prendiamo qualche proponimento, ma è solo una formalità; lungo il giorno resta dimenticato, non ricordiamo neppur più l'argomento della meditazione. Ecco il vero motivo del poco frutto delle nostre pratiche di pietà.

Dobbiamo uscire da ogni esercizio di pietà, come da un giardino, dove abbiamo raccolto un mazzo di fiori, per odorarli lungo il giorno. Dobbiamo uscirne come tanti vasi pieni di prezioso liquore, che bisogna diligentemente conservare e non sciupare: ricordare cioè e ritornare a sentire le impressioni, le ispirazioni della grazia; ricordare e praticare i propositi fatti.

Non dico che anche il mangiare e il bere diventino una meditazione, ma dico che si potrebbe fare proprio tutto per il Signore e alla presenza del Signore. Per alcuni sacerdoti, ad esempio, il Breviario è un peso; ma è perché trascurano questo dovere, rimandandolo all'ultima ora; e allora lo si dice tanto per finirlo. Così dicasi della meditazione, della lettura spirituale, ecc.: non si deve farle solo per sbrigarsene più o meno in fretta, ma farle con vero spirito, con sincero desiderio di trarne profitto.

Inoltre è necessario vivere raccolti, evitando la dissipazione e tenendoci alla presenza di Dio. La dissipazione è come il vento che porta via ogni cosa. Perciò bisogna essere raccolti, se si vuol far frutto. Certamente ci vuol tempo e sforzo per acquistare l'abito del raccoglimento; eppure è necessario. In Missione sarà poi più difficile ancora, stante le svariate occupazioni.

Il raccoglimento è assolutamente necessario per poter trarre profitto da quello che si fa; altrimenti ci restano quelle specie di oasi che sono le pratiche spirituali, ma fuori di quelle tutto è arido. Nostro Signore vuol farsi sentire, ma se noi siamo ingolfati in pensieri inutili, nelle cose esterne, Egli passa e non lascia nulla.

Per tutti è necessaria la vita interiore. L'Imitazione di Cristo dice che la vita interiore consiste nel tenere il cuore raccolto e unito a Dio, libero da ogni altro attacco (771). In altre parole, consiste nel vivere di raccoglimento e di unione con Dio.

Principi fondamentali della vita interiore sono dunque: lo spirito di preghiera e lo spirito di sacrificio. Lo spirito di sacrificio serve a reprimere le licenze dei sensi interni ed esterni, specialmente le parole e i pensieri in utili. A nulla infatti varrebbe il silenzio esterno,1- se non fosse accompagnato da quello interno, che consiste appunto nel frenare la fantasia, l'immaginazione ed evitare ogni pensiero di cose vane. Senza di questo, il silenzio di parole non sarebbe che una maschera, né porterebbe seco il raccoglimento come frutto. E pur silenzio il non parlare troppo o troppo forte durante le ricreazioni e il fare discorsi pii e utili. Fate dunque ' il proposito di allontanare tutti i pensieri delle cose esterne, per pensare solo a Dio.

In che consiste lo spirito di preghiera? Noi preghiamo al mattino, alla sera e varie volte lungo il giorno; ma questi sono atti di preghiera, non abiti che formano lo spirito di preghiera. Gesù nel Vangelo ci dice che dobbiamo pregare sempre(399); il che vuol dire essere come rivestiti dello spirito di preghiera, allo stesso modo che l'abito riveste il corpo.

Come si ottiene ciò, se siamo deboli e soggetti a distrazioni, se dobbiamo fare tante altre azioni, oltre a mangiare, ricrearci e dormire? Si adempie al precetto di Nostro Signore appunto con l'abito ossia con lo spirito di preghiera. Si mette la vera intenzione di pregare non solo in chiesa, ma dovunque; di pregare vocalmente e mentalmente, e il tutto più frequentemente che sia possibile, usando pie industrie per scuoterci e ricordarcene. Quando poi non possiamo tener la mente fissa in Dio, basta riferire le nostre azioni a Dio e tutto diventa preghiera. Ecco in che consiste lo spirito di preghiera, che aiuta potentemente la vita interiore e da questa prende aumento e stabilità.

Nella notte, svegliandoci, dar un pensiero a Gesù Sacramentato, che con tanta impazienza ci attende ai suoi piedi... Raccoglierci nella preghiera anche discendendo o salendo le scale per andare in cappella; lasciar fuori di chiesa i pensieri inutili, prendere l'acqua benedetta con divozione, far bene la genuflessione guardando il tabernacolo e ravvivando la fede; recitare bene le preghiere...

S. Luigi Gonzaga ebbe la grazia speciale di non patir distrazioni durante la preghiera (772); noi cerchiamo almeno di evitare quelle volontarie. Inoltre le nostre preghiere particolari siano sparse lungo tutta la giornata. Costa così poco, lungo il giorno, un'aspirazione, una giaculatoria!

Che non avvenga dunque che, alla fine della giornata, uno debba dire: " Oggi non ho detto una giaculatoria, nessuna comunione spirituale, non mi sono sol levato a Dio nello studio della Teologia, anche nel lavoro non ho avuto alcun buon pensiero ".

Un Missionario deve essere capace di mantenere il raccoglimento in tutti i luoghi; deve saper passare dallo studio o dal lavoro alla preghiera; tenersi unito a Dio con un'elevazione continua o almeno frequente del cuore; insomma far tutto il suo dovere e insieme pregare. S. Geltrude, pur nella sua esimia pietà, non trascurava per nulla i suoi doveri che la tenevano molto occupata. Non è mica il collo torto il distintivo di una grande bontà! Piuttosto è lavorare e insieme pregare.

Entra ancora nello spirito di preghiera il far bene le piccole preghiere prima e dopo lo studio, il lavoro ed i pasti. Invece di star a pregustare e poi a gustare il cibo, pensare di far tutto per Dio... Quando si va a passeggio o si viaggia, fare tante Comunioni spirituali, quante sono le chiese che incontriamo o che riteniamo vi siano in quel luogo. E le nostre aspirazioni siano pure frequenti, anche quando non vediamo l'ombra di un campanile, perché il Signore sa farle giungere a destinazione.

Fortunati voi se procurerete di avanzare sempre più nella vita interiore, con lo spirito di raccoglimento e di preghiera! Un Religioso, un Sacerdote che non ha questo spirito, non sarà mai un buon Religioso un buon Sacerdote. Potrà illudersi di esserlo, ma non io è. L'Imitazione di Cristo mette bene in evidenza la felicità della vita interiore, dicendo che porta seco una dolce conversazione con Dio, una soave consolazione, molta pace e una familiarità con Dio oltremodo meravigliosa (773).

L'esercizio della presenza di Dio

Tutto quello che vi ho detto della vita interiore dimostra quanto sia necessario avvezzarci a vivere e ad operare alla presenza di Dio. Già il fissarci le ore, nelle quali recitare qualche giaculatoria, giova all'acquisto della vita interiore; e in questo non v'è nulla di difficile, basta un po' di buona volontà. Bisogna tuttavia che giungiamo a vivere continuamente alla presenza di Dio, che è uno dei mezzi più efficaci di santificazione.

Anzitutto l'intima persuasione della presenza di Dio ci fa evitare i peccati. S. Bernardo dice: Non si osa far del male alla presenza di persona rispettabile, quanto meno alla presenza di Dio!

La casta Susanna, tentata a peccare, non volle acconsentire, disposta piuttosto a morire, perché pensava alla presenza di Dio(774). Così Eleazaro che, come si legge nel libro dei Maccabei (775), preferì la morte piuttosto che mangiare carne proibita. Gli amici gli suggerivano che fingesse solo di mangiarne, che essi gliene avrebbero procurata dell'altra non proibita; ma il santo vecchio si rifiutò " perché - diceva - se anche nella vita presente mi risparmierò i castighi degli uomini, né vivo né morto potrò sfuggire alla mano dell'Onnipotente ".

Chi vive alla presenza di Dio sta attentissimo a tutto. Dice S. Tommaso: " Se pensassimo che Dio è presente, non faremmo quasi alcun peccato o anche nessuno "(776). Si vede che è un Teologo che parla ed usa lo stile teologico. Non dice subito " nessuno ", quantunque poi non lo escluda. Insomma, ci potrà essere qualche cosetta più o meno volontaria, ma uno subito si riprende.

Inoltre l'esercizio della presenza di Dio giova moltissimo a farci praticare le virtù. Disse già il Signore ad Abramo: Cammina alla mia presenza e sii perfetto (777). Molti di quegli antichi Patriarchi sono lodati appunto per aver camminato alla presenza di Dio. Così Enoch e Noè, dei quali si legge: Ambulavit coram Deo (778). Che bell'elogio! Tutti i loro passi li facevano davanti al Signore! Ora, quando si cammina alla presenza di Dio, si fanno le cose bene, con perfezione.

San Francesco di Sales, anche quand'era solo nella sua camera, stava ben composto, come se fosse stato alla presenza di altre persone (779). Era infatti alla presenza di Dio. Se noi non ci comportiamo sempre in privato come ci comporteremmo in pubblico, è precisamente perché dimentichiamo questa elementare eppur grande verità della presenza di Dio.

Bisogna proprio che viviamo, che respiriamo, che ci perdiamo in Dio. Oculi mei semper ad Dominum (780). Mi piace tanto questa frase e dovete ricordarla. Teniamo sempre gli occhi rivolti a Dio, così come gli occhi di Dio sono continuamente rivolti su di noi Dio mi vede!

In terzo luogo, questo esercizio ci aiuta a distaccarci da questo povero mondo, dalle cose create. Così facevano i Santi, i quali perciò godevano perfetta pace. S. Francesco di Sales dice che gli alcioni si fanno il nido sulle rive dei fiumi, vicino all'acqua, ma lo costruiscono così saldamente, che le onde non riescono a farvi penetrare l'acqua; solo lasciano un'apertura nella parte superiore, per respirare l'aria (781). Così dev'essere di noi. Le onde sono il mondo e noi siamo gli alcioni dentro il nido, che è il nostro cuore. Se stiamo ben uniti a Dio, continuamente fissi in Lui, le acque non possono entrare a portar rovina, mentre noi nulla possiamo vedere del mondo, ma solo Dio; non aspiriamo e non respiriamo che Dio. E intanto si è contenti di Lui e si gode fin d'ora un Paradiso anticipato.

Gli Angeli e i Beati godono in Paradiso, perché vedono continuamente la faccia del Padre mio (782). Noi, anche senza vederlo con gli occhi del corpo, se siamo abituati a stare alla sua presenza, godiamo il Paradiso in terra. Il Signore è tutto il Paradiso!

Veniamo ora ai modi di praticare questo esercizio. Il primo è di vivere sotto il riflesso dell'immensità di Dio. Che Dio sia dappertutto è di fede. In Lui viviamo, ci muoviamo e siamo (783). Non possiamo fare un sol passo, se non in Dio, " Dio è fuori, Dio è dentro, Dio è dappertutto ", dice S. Ambrogio (784). Molti si servono di questo mezzo e lo trovano facile.

Il secondo mezzo è di considerare N. S. Gesù Cristo presente nelle nostre chiese. Egli è là, tutto per tutte per ciascuno in particolare. Gesù è nel SS. Sacramento con la sua reale presenza, e reale è la presenza nostra davanti a Lui, perché la distanza per Lui non conta. `Renderci dunque abituale e familiare la presenza di Gesù Sacramentato: Egli guarda me e io guardo Lui, e i no stri sguardi s'incontrano nell'amore.

Il terzo mezzo consiste nel considerare l'inabitazione di Dio in noi. Se uno mi ama... e il Padre mio l'amerà e verremo a Lui e faremo dimora in lui (785). S. Paolo diceva: Non sapete che siete il tempio di Dio? (786). Quale profondo e consolante pensiero! Noi siamo veramente il tempio di Dio! Dio abita veramente in me! Questo metodo fu praticato da S. Agostino, da S. Teresa, da S. Caterina da Siena e da molti altri. Questi Santi si formavano nel loro cuore una celletta, nella quale trovavano sempre Dio.

Nostro Signore disse un giorno a S. Geltrude. " Chi mi vuol trovare, mi cerchi nel cuore della mia Geltrude". E la Chiesa, nell'Oremus per la festa della Santa, dice: " O Signore, che nel cuore della Beata Geltrude ti preparasti una gradita dimora... " (787).

Accenno anche a un quarto modo: che sarebbe di tenersi alla presenza di Dio per mezzo del nostro Angelo Custode: vivere stretti a lui, che ci è mandato da Dio e lo rappresenta; conferire con lui e ascoltare le sue ispirazioni.

Ognuno di voi scelga il metodo che trova più facile e lo pratichi. S. Francesco di Sales non lasciava passare cinque minuti senza ricordarsi della presenza di Dio (788). S. Giuseppe Cafasso aveva fatto stampare tanti cartellini, che poi disseminò un po' dappertutto, con la scritta: " Dio mi vede! ". La stessa cosa fece S. Giuseppe Cottolengo nella Piccola Casa della Divina Provvidenza. Diciamo sovente a noi stessi: " Dio mi vede! ". Purtroppo siamo tanto miserabili, che questa verità non sappiamo tradurla in pratica. Mai dimenticare che siamo alla presenza di Dio. Ciò non intralcia per nulla l'adempimento dei nostri doveri. Uno può essere tutto sul dovere e tutto in Dio. Ricordatevi che, per vivificare le azioni quotidiane, c'è bisogno di aggrapparci a questi mezzi: son cose che ci colpiscono, son cose gustose. Provate e vedrete se non sarebbe un Paradiso!

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