26. SPIRITO APOSTOLICO

Lo zelo

Lo zelo, al dire di S. Agostino, è un effetto dell'amore (604); non però di un amore qualsiasi, bensì di un amore intenso. Solo quando l'amore è ardente, vi arde lo zelo. Anzi, secondo lo stesso S. Agostino, lo zelo non si distingue dall'amore: Zelus charitas est. Chi ama, zela; chi non zela, non ama (605).

Lo zelo è peraltro il carattere proprio del Missionario. Non si va nelle Missioni per capriccio, o come a diporto; ma unicamente per amore di Dio, che è inseparabile dall'amore del prossimo. Non solo dunque come cristiani, ma anche e più come Missionari della Consolata, e quindi secondo il fine della nostra particolare vocazione, dobbiamo procurare la gloria di Dio con lo zelare la salvezza delle anime.

ECCELLENZA - Dice S. Dionigi Areopagita che il cooperare alla salvezza delle anime è l'opera più divina fra le divine (606). Non si poteva dire di più. Iddio, che potrebbe fare da sé o servirsi degli Angeli, vuole invece servirsi di noi, del Missionario, e ci chiama ad essere suoi cooperatori. Dei enim sumus adiutores (607). Pensate: coadiutori di Dio nella salvezza delle anime! Proprio come se Iddio avesse bisogno del nostro aiuto! Eppure è così e, in certo qual modo, potremmo anche chiamarci corredentori. La Madonna è la Corredentrice per eccellenza, noi siamo molto lontani da Lei, ma pur sempre dei corredentori. E' a noi che la Chiesa affida il grande mandato dell'evangelizzazione del mondo, ch'essa ebbe da Nostro Signore. E' l'opera delle opere; è l'opera più degna, la più amabile, la più meritoria di tutte le opere.

E' la più degna. Tutto sopporto per amore degli eletti - diceva già S. Paolo - affinché anche loro conseguano la salvezza (608). La creazione, l'Incarnazione, la Redenzione, la Missione dello Spirito Santo; tutto ha per fine la salvezza delle anime. Dio stesso ci supplica ad essere zelanti per la sua causa, e chi non vorrà accogliere la sua voce? Chi di noi non si stimerà fortunato di una tale vocazione? S. Giovanni Crisostomo dice che nulla vi è di più caro a Dio, che la salvezza delle anime (609). S. Agostino aggiunge che la conversione di un peccatore è opera più grande di quella della creazione (610).

E' poi ancora l'opera più amabile: rendere felice il prossimo per tutta l'eternità, mentre assicuriamo la nostra felicità eterna. Chi salva un'anima, ben può dirsi che abbia assicurata la propria salvezza.

Finalmente è l'opera più meritoria. "Quante anime, altrettante corone!" esclama S. Gregorio Nazianzeno (611). S. Ignazio domandò un giorno ad uno dei suoi Padri, che cosa avrebbe scelto fra l'andare subito in Paradiso o il restare ancora sulla terra a salvare un'anima. Quegli rispose: "Andar subito in Paradiso!". S. Ignazio invece disse che avrebbe scelto di rimanere sulla terra, finché c'erano anime da salvare. Così la pensavano i Santi, i quali per un'anima erano pronti a dare la vita. E voi ne salverete tante!

NECESSITA' - Io ho scelto voi e vi ho destinati ad andare a portar frutti e frutti duraturi (7). E' un grande dono di elezione da parte di Gesù, ma è pure un grande dovere da parte nostra. Dobbiamo con tutte le forze adoperarci in questo santo ministero, perché il Signore ce ne chiederà conto. Guai a me se non predicassi! (612). Ricordatevi tuttavia che non basta predicare, ma è necessario compiere tutte le opere e tutti i sacrifici che la vita apostolica richiede, costi quel che costi.

"Lavoriamo, lavoriamo - esclamava S. Giuseppe Cafasso - ci riposeremo in Paradiso! (613). Egli aveva lo zelo che proviene dalla sete di anime. Certo, se fosse vissuto ai nostri giorni, si sarebbe fatto Missionario; ma allora non c'era in Italia alcun Istituto missionario. Una volta, predicando gli esercizi al Clero, parlò delle Missioni come uno che sente l'ardore, il fuoco dello zelo. Noi siamo suoi parenti. [La parentela del Padre Fondatore con S. Giuseppe Cafasso era in certo qual modo condivisa dai suoi figli ] Ma non è il sangue che conta, questo è niente; è lo spirito!

Pensiamo un po' al numero di Sacerdoti e buoni secolari che potrebbero fare tanto bene, e invece...! In questo mondo il Signore non benedice chi rifiuta di farsi suo cooperatore nella salvezza delle anime. I Santi temevano i doni ricevuti e non trafficati. Se è vero, come dice S. Agostino, che chi è cristiano lo è per sé, ma chi è sacerdote lo è per il prossimo, che dire del Missionario? La nostra vocazione è quella di salvare anime. Secondo S. Giovanni Crisostomo, nessun sacerdote può salvarsi, se non lavora alla salvezza delle anime (614).

D'altra parte S. Bernardo ci assicura che quando uno si adopera con zelo alla salvezza delle anime, il Signore gli perdonerà quel po' di polvere che forse s'è posata nell'anima sua. Dice S. Pietro: L'amore copre una moltitudine di peccati (615). Quindi non ci rincresca il dissiparci un tantino per compiere il nostro dovere; preghiamo solo molto, come faceva S. Francesco Zaverio.

Cercare la pace e la calma nei monasteri solo per sfuggire la fatica, non è amor di Dio. E' tempo di lavorare questo! Che ne pensate voi?... Di andar presto in Paradiso?... Ah, questo non è zelo! Bisogna aver zelo, bisogna prima lavorare, bisogna prima sacrificarsi per le anime, bisogna far nostre le parole dell'Apostolo: Tutto faccio per l'Evangelo (616). Lavorare non solo per santificare noi, ma per santificare ancora gli altri; essere disposti a qualunque sacrificio. Tutto faccio per l'Evangelo! Tutto, tutto! Mi spenderò e mi sacrificherò!... Ci son di quelli che vogliono sempre morire! Eh, morire è comodo! Là in Africa moriremo, sì, ma stremati dalle fatiche sostenute per amore di Dio. Se invece morissimo senza aver lavorato, non potremmo presentare al Signore che degli affetti, dei desideri. No, dobbiamo presentare dei fatti, delle opere: conversioni e anime!

CARATTERI DELLO ZELO - S. Bernardo dice che lo zelo deve essere infiammato dalla carità, completato dalla scienza, reso fermo dalla costanza (617).

1- Inflammet charitas. Infiammato cioè da un vero desiderio di far conoscere Nostro Signore, di farlo amare. Il vero zelo cerca l'onore della persona a cui si porta amore, mentre lo zelo falso cerca se stesso, nasce da superbia e invidia. Sono venuto a portare fuoco sulla terra e che cosa desidero se non che si accenda? (293).

Ci vuol fuoco per essere apostoli. Essendo né caldi né freddi, cioè tiepidi, non si riuscirà mai a niente. L'uomo in tanto vive, in quanto è attivo per amor di Dio. Si può stare in unione intima con Dio ed operare nel medesimo tempo. Se c'è amore, c'è zelo, e lo zelo farà sì che non poniamo riserve o indugi nella dedizione di noi stessi per la salvezza delle anime. Quel che si può far oggi, non bisogna lasciarlo per domani. Ah, che non sarà mai Missionario, chi non arde di questo fuoco divino!

Né solamente il nostro zelo dev'essere infiammato dall'amore verso Dio, ma altresì dall'amore verso il prossimo. Bisogna aver tanta carità, da dare la vita. Noi Missionari siamo votati a dar la vita per la salvezza delle anime. Amare il prossimo più di noi stessi, dev'essere il programma di vita del Missionario. Se non si viene al punto di amare le anime di quei poveri pagani più che la propria vita, potrete avere il nome, ma non la realtà, la sostanza dell'uomo apostolico. Anche in confessionale ci accorciamo la vita, ma che importa?... Noi dovremmo avere per voto di servire alle Missioni anche a costo della vita; dovremmo essere contenti di morire sulla breccia. Quando farete i voti e quando li rinnovate, ricordatevi che si intende anche questo.

2 - Informet scientia. Il nostro zelo dev'essere completato, perfezionato dalla scienza. Di questo vi ho già parlato. Bisogna sapere e quindi bisogna studiare; bisogna fin d'ora procurarsi la scienza necessaria, non aspettare la scienza infusa. Lo studio sia perciò considerato in vista dei nostri futuri bisogni. Un Parroco mi scriveva: "C'è qui un chierico che non ha una buona testa, ma per un Missionario basta". Niente affatto! Per un Missionario non basta; se lo tenga pure. Ci vuole scienza. In Africa non si hanno più né Superiori né professori, né trattati a portata di mano, eppure sovente bisogna rispondere subito, risolvere una questione, sciogliere un caso.

3 - Firmet constantia. Il nostro zelo dev'essere costante. Sì, pazienza e costanza, per quanto noiose o importune possano essere certe persone. Rigettandole, non le avvicineremo mai più; pazientando, può essere che un giorno ascoltino la voce della grazia. Costanza, senza pretesa di salvarne molti, senza scoraggiarsi del poco frutto. "Iddio - dice S. Bernardo - pretende da te la cura, non la guarigione" (618). Da te aspetta l'evangelizzazione, non la conversione delle anime, che è affar suo.

Accendiamo dunque in noi lo zelo per la salvezza delle anime. Voi Missionari dovete essere avidi di far del bene e sospirare il giorno in cui potrete farlo. Sì, desiderare, sospirare il giorno in cui vi sarà dato di partire per le Missioni, e ciò in vista delle tante anime da convertire. C'è posto laggiù e c'è da fare per tutti, state tranquilli!... Io non vedrò, ma forse andrete anche nel Giappone, nella Cina, nel Tibet... Voi dovete imitare S. Francesco Zaverio, che voleva convertire tutto il mondo. E quando non vi saranno più infedeli, convertiremo i protestanti e poi i cattolici che non vivono da cattolici. Quando saranno convertiti tutti gli infedeli, gli eretici e gli scismatici, e da ultimo gli Ebrei, allora la fine del mondo sarà vicina.

A Roma, S. E. il Card. Van Rossum, Prefetto di Propaganda Fide, mi ringraziava tanto per tutto il bene che facciamo alla Chiesa. Gli risposi: "E un dovere; bisognerebbe non essere sacerdoti, per non sentire lo zelo delle anime!". E lui ad insistere: "Sì, ma questo è più di quanto lei dovrebbe fare; non è obbligato a far tanto". E mi rinnovava i suoi ringraziamenti. Ciò dimostra che i nostri Superiori ci vogliono bene, ci apprezzano, certamente più di quanto meritiamo.

Coraggio, dunque! Il Signore ha sete di anime e sta a voi, come Missionari, il dissetarlo. Egli ve ne darà i mezzi, ma tocca a voi riempirvi di zelo per le anime; avere sete a vostra volta, sete di anime. Egli vuole che tutti giungano alla conoscenza della Verità e si salvino, ma vuole che vi giungano per mezzo vostro. Ah, se riflettessimo a questa volontà di Dio!... Sì, eccitatevi a questi sentimenti; e fin d'ora con la preghiera, con lo studio, con il lavoro preparatevi al futuro apostolato; fatevi l'abitudine dello zelo con tanti piccoli sacrifici; date importanza a tutto, perché tutto un giorno potrà servirvi a fare del bene.

E' a questo fine che noi, dopo la Benedizione del SS. Sacramento, cantiamo il Salmo 116: Laudate Dominum omnes gentes... E' come un duetto fra noi e i pagani che sono convertiti dai nostri Missionari o da altri. Nel primo versetto li invitiamo a dar lode e ringraziamento al Signore per la grazia della fede. Nel secondo versetto i novelli cristiani o catecumeni rispondono: essere ciò troppo giusto, perché fu veramente per loro una grande misericordia del Signore, conforme alla promessa fatta della chiamata delle genti alla fede. Allora tutti assieme, noi ed essi, ci uniamo in una solenne lode di fede e di zelo, anche con trasporto di gioia, perché nel libro dei Salmi questo è contrassegnato con l'Alleluja (lodate il Signore).

La mansuetudine

NATURA ED ECCELLENZA - La mansuetudine è una virtù morale, parte potenziale della temperanza. Essa ha per opposto l'ira, la quale appunto vien moderata dalla mansuetudine. S. Tommaso infatti la definisce: "virtù che modera l'ira secondo la retta ragione" (619). La modera, cioè la tiene nei giusti limiti: che non sia troppa, né fuor di luogo o di tempo".

L'ira, come tutte le passioni, può essere buona o cattiva. Fu certamente buona l'ira di Nostro Signore quando scacciò i venditori dal tempio; ma la mansuetudine la moderò e, anche in quei momenti, Egli conservò la perfetta padronanza di Se stesso. Mosè, secondo la Sacra Scrittura, era l'uomo più mansueto dei suoi tempi; tuttavia, per la gloria di Dio, arse di sdegno contro gli idolatri. Il Ven. Ancina sgridò una volta fortemente un chierico che aveva lasciato spegnere il fuoco del turibolo, e a noi Mons. Bertagna diceva che quello era zelo. Non operava invece per la gloria di Dio quel tale che, avendo redarguito un bestemmiatore, e continuando questi a bestemmiare, lo sfidò a duello. Irascimini et nolite peccare (620). La mansuetudine frena la vivacità del carattere, la parola troppo pronta.

S. Basilio la chiama: maxima virtutum, ossia la più importante per chi ha da fare col prossimo (621). L'eccellenza di questa virtù appare in modo evidente dagli insegnamenti e dagli esempi di Nostro Signore. Imparate da me che sono mite ed umile di cuore (440). Egli unisce insieme le due virtù, premettendo la mansuetudine all'umiltà. Non è che dobbiamo avere l'umiltà solo secondariamente, bensì averla praticamente coll'essere mansueti. Dev'essere certo una grande e necessarissima virtù, se Nostro Signore, lasciando a parte tutte le altre virtù, in queste due vuole essere da noi particolarmente imitato. E veramente, secondo S. Paolo. la mansuetudine fu la caratteristica di Gesù. Vi esorto per la mansuetudine e la moderazione di Cristo (622). Anche S. Pietro mette in rilievo questa virtù caratteristica di Gesù, dicendo che: maledetto, non malediceva (623). E già prima della sua venuta su questa terra, Isaia lo raffigurava ad un agnello mansueto: Come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, non ha aperto la bocca (624).

Basta, del resto, aprire il Vangelo per vedere come Gesù amò e praticò la mansuetudine. I Giudei lo dicono indemoniato ed egli si limita a rispondere alla bestemmia con dire: Ego demonium non habeo (625). Durante la Passione tace; e se parla, vedete quali miti parole: Perché mi percuoti? (626). E sì che avrebbe potuto rispondere ben altrimenti! Quanta mansuetudine con gli Apostoli! Quanta soprattutto con Giuda, che veniva a tradirlo: Amico, a che sei venuto? (627). Sempre, e nelle parole e nelle azioni, Gesù si dimostrò pieno di mansuetudine, volendo dare a noi un esempio da imitare.

I Santi corrisposero all'invito di Gesù e si studiarono di imitarlo in questa cara virtù. Basti per tutti S. Francesco di Sales, vero modello di mitezza. Egli aveva sortito da natura un carattere collerico, ma tanto fece che divenne mansuetissimo. S. Vincenzo de' Paoli, parlando di S. Francesco di Sales, diceva: "O mio Dio, quanto dovete essere buono, se vi sono uomini così buoni!" (628). Un giorno un cavaliere lo caricò d'ingiurie e alcuni suggerivano al Santo di reagire. Egli però non lo fece e spiegava poi di non aver voluto perdere il frutto di tanti anni di violenza fatta a se stesso. "Se io voglio far dolce un altro, - soleva dire - devo prima far dolce me stesso" (629).

Va tuttavia osservato che la mansuetudine non va scambiata con la debolezza. S. Francesco di Sales sopportò tutte le ingiurie di quel cavaliere, ma non gli concesse ciò che chiedeva, perché non poteva farlo.

NECESSITA' - La mansuetudine è anzitutto necessaria per noi: come creature ragionevoli, come cristiani e come Religiosi.

1- Come creature ragionevoli. L'uomo, dice S.Tommaso, si distingue dalle bestie per la ragione. Ora, fra tutte le passioni, l'ira è quella che maggiormente impedisce l'uso della ragione (630), e può giungere fino ad impedire l'uso della favella. Si perde proprio il buon senso, si diventa sfigurati, più bestie che uomini.

2 - Come cristiani: come tali, infatti, dobbiamo imitare Nostro Signore, rivestirci del suo spirito. Quale spirito? Quello della bontà, del compatimento, della misericordia e della mitezza. Ricordate ciò che Gesù rispondeva ai due fratelli Zebedei, che avrebbero voluto far piovere il fuoco sulla città inospitale: Non sapete di quale spirito siete (631).

In Alessandria d'Egitto un cristiano, gravemente insultato dai compagni, tutto sopportava con mirabile calma, sì ch'essi ne erano meravigliati. Quando poi passarono ad insultare Nostro Signore, con negarne la divinità, egli rispose loro: "La prova della divinità di Gesù Cristo l'avete in questo: che per suo amore, come cristiano, ho avuto la forza di mantenermi mansueto". S. Bernardo si lasciò un giorno sfuggire una parola un po' aspra, ma subito Nostro Signore lo riprese, esortandolo a fare uno studio particolare su questa virtù (632).

3 - Come Religiosi - Senza la mansuetudine non si può attendere all'orazione; per questa ci vuole la calma, la pace in noi stessi. Non in commotione Dominus (633). Se lasciamo che la passione dell'ira prenda il sopravvento, se perdiamo il dominio di noi stessi, il Signore si ritira e tace. La nostra mansuetudine, specialmente in certi casi, è molto potente presso Dio per intercedere in favore nostro e del prossimo. Ond'è che leggiamo nei Salmi: Ricordati, o Signore, di Davide e della sua mansuetudine (634).

Poi la mansuetudine è necessaria per riguardo agli altri: per il bene che ci proponiamo di far loro. Nostro Signore disse: Beati i mansueti perché possederanno la terra (635). Il che vuol dire, secondo gli interpreti, che saranno padroni del proprio cuore e poi del cuore degli uomini, nonché padroni del cuore di Dio. Diceva S. Francesco di Sales che si attirano più mosche con un cucchiaio di miele, che con un barile di aceto (636). Una parola dolce può fare maggior bene che cento parole aspre. "Chi è mite - conferma S. Basilio - è in possesso della terra promessa" (637). La terra promessa è il Paradiso; per intanto, specialmente per noi, è il campo dove dovremo esercitare il nostro apostolato.

S. Vincenzo de' Paoli asseriva di non essersi mai pentito d'essere stato troppo dolce; ma che ebbe a pentirsi tre volte d'aver parlato un po' duramente, credendo suo dovere di farlo (638). E soggiungeva: "Se Dio concedette qualche benedizione alle nostre Missioni, si è perché furono sempre tenute maniere amorevoli, umili e schiette con tutti (639). Il fuoco non può essere spento col fuoco. Ciò che l'acqua è per il fuoco, la mansuetudine lo è per l'ira. Una risposta dolce calma l'ira (640).

I Santi hanno sempre vinto con la mansuetudine. Quando Giacobbe volle ritornare in Palestina e temeva di andare incontro a Esaù, che fece? Divise tutti i suoi in tre schiere ed egli andò con la prima e chiese perdono al fratello ben sette volte. Vinto da questo esempio di umiltà e di mitezza. Esaù si rappacificò con lui.

Si narra di un santo Vescovo di Costantinopoli che, odiato da un altro, radunò il suo Clero e andò ad inginocchiarsi davanti all'avversario, chiedendo perdono. L'altro si trovò confuso, s'inginocchiò lui pure e si fece la pace.

Credetelo, c'è gran bisogno di questa virtù per chi si occupa del prossimo. Fa d'uopo far violenza al proprio cuore, al proprio carattere, alle proprie passioni, perché non abbiano a trasmodare; e questo lavoro dovete farlo qui, non aspettare in Missione. Adesso vi pare di essere mansueti, ma che sarà quando sarete laggiù? Qualcuno ha il carattere molle e si crede mansueto, ma fate che lo si urti e vedrete dove se ne va la sua mansuetudine. Non basta avere il carattere, bisogna avere la virtù. Quasi sempre sono più mansueti i più vivaci di carattere.

Mi ricordo che, in seminario, c'era un chierico che sembrava la calma personificata, proprio uno di quelli che non fanno due mattonelle con un passo. Un giorno egli passava in dormitorio con un catino d'acqua e un compagno inavvertitamente lo urtò: subito egli gli scaraventò addosso il catino. Si pentì subito e chiese scusa, ma intanto vedete? Anche quelli che sembrano più calmi, all'occasione non lo sono.

In Missione c'è grandissimo bisogno di mansuetudine. Alle volte si lavora, si lavora con insistenza, e magari si ottiene nulla; talora anche gli Africani sono noiosi, petulanti, e si è tentati di usare il bastone. No, niente bastone, niente percosse e neppure parole secche. Un atto manesco lo ricorderebbero sempre e perderebbero la stima a quel Missionario.

L'esperienza prova che i nostri Missionari in tanto fanno del bene, in quanto sono mansueti; e qualche fatto d'ira accaduto, ha allontanato gli indigeni. Un Missionario scriveva nel diario: "In questa Stazione c'è ancora memoria della mancanza di mansuetudine di un Padre". Si dirà: - E' presto detto, ma talora si ha da fare con gente sì dura ed ostinata, che farebbero scattare anche un Santo! - Ebbene, siate voi santi al punto da contenervi, per così vincere la loro ostinazione.

Mi sta a cuore la mansuetudine. Noi andiamo per convertire, e se invece si danno delle bastonate, li allontaniamo da noi. Non inganniamoci, scambiando per zelo la nostra passione. Talvolta ci pare ira giusta, ci pare zelo; ma non lo è. Anche i filosofi pagani consigliavano di aspettare ad agire che fosse passata l'ira. Non voglio aggiungere di più su questo punto, ma solo far capire quanta importanza io dia a questa virtù.

I MEZZI - Accennerò in breve ad alcuni mezzi per acquistare questa virtù e frenare l'ira.

1 - Persuaderci dell'importanza della mansuetudine e del bisogno che ne abbiamo; quindi chiederla a Nostro Signore, ripetendo sovente: "Gesù, mite ed umile di cuore, rendete il mio simile al vostro!".

2 - Persuaderci che è una virtù difficile e ci vuole tempo, ci vuole sforzo, ci vuole violenza. Per acquistarla bisogna combattere, non con fuggire (come per la purezza), ma affrontando l'occasione o almeno non sottraendoci alla medesima, esternamente ed internamente; tener fermo e non lasciarci vincere. L'abito si fa ex repetitis actibus. S. Francesco di Sales, come vi ho detto, l'ottenne a mezzo di continue violenze su se stesso. E voi esercitatela fin d'ora con tutti nel giuoco e in tante altre circostanze.

3 - Fare un po' di esame preventivo al mattino sulle occasioni della giornata; massime per quelli che sono più in pericolo: perché l'ira si accende in un momento e bisogna prevenirla, specialmente se uno è di carattere pronto, impulsivo, iracondo.

4 - Quando l'ira ci assale, appena ce ne accorgiamo, richiamarci alla memoria gli esempi di mansuetudine di Nostro Signore; riflettere sugli eccessi a cui l'ira può condurre; pensare ai nostri eccessi passati (nessuno ne è esente), e come dopo ne fummo pentiti.

Termino con le parole di S. Paolo a Tito: Non siano litigiosi, ma modesti e mostrino tutta la mitezza possibile verso tutti (641). Tutta la mitezza possibile: nel parlare, nell'agire e in tutte le occasioni. E ciò sempre: quando si è di buono o di cattivo umore, nell'allegrezza o nelle pene. E verso tutti, anche verso il più zotico, il più indiscreto, il più maligno. S. Paolo aggiunge: Eravamo anche noi una volta insensati. Cioè anche noi una volta avevamo questi difetti; che se per grazia di Dio ora ne siamo liberi, sappiamo compatire gli altri.

Ecco il lungo e forte lavorio che dovete fare fin d'ora, se vorrete essere mansueti nelle occasioni. Vigilate su voi stessi nelle piccole prove che ora vi succedono, per poter poi sopportare le molte maggiori che incontrerete nelle Missioni. Pregate il Signore che vi dia una buona conoscenza di questa virtù, che ve ne faccia conoscere l'importanza. Ve l'ho detto e non mi stancherò di ripetervelo: nella vita del missionari essa ha un'importanza massima.

S. Francesco di Sales convertì il Chiablese più con la mansuetudine che con altro: non offendendosi, non perdendo mai la calma, ma trattando sempre bene (642). Quando si tratta di salvare un'anima, si pensi che una parola secca basta ad impedirne la conversione, forse per sempre. Esaminiamo dunque noi stessi per vedere se abbiamo questa mansuetudine, se l'abbiamo sempre, se l'abbiamo con tutti.

Valorizzare il tempo

Uno dei proponimenti che vorrei aggiungeste ai vostri particolari, è quello di ben valorizzare il tempo. Nell'Ecclesiastico leggiamo: Fili conserva tempus (643): figlio mio, tesoreggia il tempo. Perché questo?

In primo luogo, perché il tempo vale quanto il Paradiso, che in un momento può essere guadagnato o perduto. Lo si può infatti acquistare con un atto di perfetta carità.

In secondo luogo, perché il tempo vale quanto il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Egli sparse il suo Sangue per tutti i momenti della nostra vita e per tutte le anime che in ciascun momento hanno bisogno di salvarsi. Invero ad ogni istante il Sangue di Gesù viene applicato alle nostre anime, e ad ogni istante vi sono anime che si salvano per i meriti di questo preziosissimo Sangue.

In terzo luogo, perché il tempo vale quanto Dio. L'espressione non è mia, ma di S. Bernardino da Siena. Tantum valet tempus quantum Deus. E ciò perché - spiega il Santo - col tempo bene speso, in certo senso si compra Dio, lo si acquista, lo si possiede: In tempore bene consumpto comparatur Deus (644).

S. Bernardo dice che non v'è nulla di più prezioso del tempo: nihil praestantius quam tempus (645). S. Francesco di Sales, sul termine di sua vita, tremava al pensiero del conto che doveva rendere del tempo. Non temeva per i peccati, ma per il tempo. Certo era per umiltà, perché il tempo egli l'aveva speso tutto a far del bene; tuttavia ciò sta ad indicare in qual conto i Santi tenevano questo dono di Dio.

Purtroppo noi non lo stimiamo abbastanza. S. Bernardo, dopo aver detto che nulla v'è di più prezioso del tempo, aggiunge che non v'è nulla anche di meno stimato: sed nihil vilius aestimatur. Lo si disprezza facilmente, non si pensa che ogni minuto ha un valore immenso per l'eternità; non si pensa che ad ogni istante possiamo morire e dopo non vi sarà più il tempo. Tempus non erit amplius (646).

Ora, il tempo si può perdere in diversi modi, e voi farete bene ad esaminarvi sui singoli punti.

1 - Si può perdere il tempo peccando. In questo caso si perde doppiamente il tempo: non facendo il bene e, per di più, facendo il male. Il profeta Geremia dice che il Signore, nel dì del giudizio, costituirà il tempo contro di noi: Vocavit adversus me tempus (647). Il Signore chiamerà a rendere testimonianza contro di noi il tempo che fu male impiegato peccando.

2 - Si può perdere il tempo nell'ozio. L'ozio non va confuso col riposo. E' ozio tutto ciò che non ha motivo di utilità, di convenienza. Quanto tempo si perde! Così nello studio non mi applico con tutta quella intensità che dovrei metterci, mi perdo volontariamente in distrazioni, mi divago a guardare qua e là, a chiudere e ad aprire il libro. Tempo perso! In genere i giovani non si confessano mai di aver perso tempo. Eppure è peccato; ed è peccato non solo per i pericoli che presenta l'ozio, ma è peccato in sé. Non solo l'ozio è padre dei vizi, ma è un vizio in se stesso.

S. Bernardo dice che basta a dannarsi il non far nulla di utile (648). Il servo infedele, di cui parla il Vangelo, fu condannato solo perché non aveva fatto nulla: gettate il servo inutile nelle tenebre esteriori (649). Il padrone del campo, sempre secondo il Vangelo, voleva far tagliar l'albero solo perché occupava inutilmente il terreno. Ogni albero che non produce frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco (650).

3 - Si può perdere il tempo non facendo quello che si deve fare. Quando Gesù fu ritrovato nel Tempio, al lamento della Madre sua rispose: Non sapete che io devo attendere a ciò che riguarda il Padre mio? (29). E cioè Egli doveva fare la volontà del Padre suo. Così noi pure dobbiamo, ad ogni istante, fare la volontà di Dio e non altro. Se uno studia quando dovrebbe pregare, anche se studia cose buone e studia bene, non fa ciò che Dio vuole da lui ed è come se perdesse tempo. Così se uno prega mentre dovrebbe studiare. Ogni cosa ha il suo tempo (651).

4 - Si può perdere il tempo facendo bensì quel bene che Dio vuole da noi, ma non facendolo in quel modo nel quale Dio vorrebbe che lo si facesse. Non basta studiare, bisogna studiare con impegno e con retta intenzione. Non basta pregare, bisogna pregar bene, pensando a quello che si fa.

Lo Spirito Santo ci ammonisce: Non ti privare di una giornata e non lasciarti sfuggire alcuna particella del buon dono (652). Questo buon dono è il tempo. Dobbiamo stimarlo talmente da non perderne la minima particella. In seminario avevamo un compagno di mediocre ingegno, che però non perdeva mai un minuto di tempo. S'era fatto un orario tutto a minuti: cinque minuti per questo, cinque minuti per quello; tutti i cinque minuti erano impiegati. Così, entrando nello studio, mentre gli altri perdevano alcuni minuti a mettersi a posto, lui incominciava subito. E così valorizzava i pochi minuti fra una lezione e l'altra. E a forza di questi minuti ben impiegati, studiò molto e riuscì discretamente bene. Alcuni lo burlavano per questi suoi orari e lo chiamavano: "Domine quinque" (è un'espressione da non usare questa, perché è Sacra Scrittura; ma lo chiamavano così). Ma sapete? Domine quinque passò davanti a tanti altri. Quando poi fu vicecurato, continuò con questo impegno e con lo stesso metodo, senza mai perdere tempo; e intanto fu uno dei primi a presentarsi al concorso di parrocchia, e l'ebbe.

Sia pertanto questo il comune nostro proposito: valorizzare il tempo, non perderne una sola particella. Se così ora facciamo, un giorno mieteremo.

Semplicità e sincerità

S. Pietro, scrivendo ai neo-convertiti, li esorta - fra l'altro - a evitare la finzione, l'insincerità, la simulazione, e a mantenersi invece nella santa semplicità (653). Le stesse esortazioni rivolgo io a voi, che di fresco avete lasciato le mire del mondo, per seguire Nostro Signore toto corde et simplici animo.

La semplicità consiste nell'escludere dall'animo ogni doppiezza, per non cercare se stesso, ma solo quello che è di gloria a Dio e di utilità del prossimo. La si dimostra: coll'essere uguali con tutti; con operare allo stesso modo, sia che ci troviamo soli o in compagnia; con la serenità del volto, perché l'esterno è un riflesso dell'interno; con il candore e la schiettezza in confessione, ecc.

Oh il gran segreto di questa virtù, che ci rende cari a Dio! Nel Vangelo Nostro Signore ci dice: Siate semplici come colombe (244) e ci esorta a farci piccolini, se vogliamo entrare nel regno di Dio. La caratteristica dei bambini è appunto la semplicità.

Inoltre questa virtù è cara ai Superiori, i quali così possono conoscervi meglio e dirigervi, sia nella vocazione, sia nell'emendazione dei difetti. Ed è una virtù cara anche ai compagni, in quanto istintivamente si aborrisce da tutto ciò che è finzione e menzogna, sotterfugio e mistero. La semplicità è dunque una virtù necessaria per ben vivere in comunità e progredire nella perfezione.

S Pietro, nella sua prima Lettera, raccomanda in particolare di essere semplici in tre cose (654). Semplici anzitutto nella fede. Egli esorta i cristiani a credere semplicemente a Nostro Signore, alla sua parola, benché non l'abbiano né veduto né udito. Così, miei cari, dovete comportarvi voi, specialmente negli studi, come già ebbi modo di dirvi. Via dunque la smania delle obiezioni contro le verità che studiate. Studiate, sì, ma sempre abbassando il capo, con un atto di semplice fede, a ciò che non capite, a ciò che non potete comprendere. Ipse dixit... credo!

Poi semplicità nella carità fraterna. Senza la semplicità che vede tutti i compagni allo stesso modo, e che nei compagni vede tutto bene, non vi può essere vera carità. Non è carità pensare e sospettare male, come non è semplicità e carità il prendere in cattivo senso ogni parola e ogni atto dei compagni.

Poi ancora semplicità nell'obbedienza. La perfetta obbedienza d'amore non è possibile, ove manchi la semplicità. S. Pietro raccomanda di star soggetti a chi comanda, senza distinzione di grado, perché tale è la volontà di Dio. Ecco la semplicità che voi dovete avere: fare quello che vi dicono i Superiori, senza ricercare tanto i perché.

Il P. Faber, a sua volta, spiega che la semplicità cristiana, o santa semplicità, consiste in tre cose: essere sinceri con noi stessi, sinceri con il prossimo, sinceri con Dio (655).

1 - Sinceri con noi stessi. Bisogna esaminare la nostra coscienza, ma andare in fondo, penetrare nei punti più reconditi, per scoprire i nostri difetti e le loro radici; poi darsi d'attorno a combatterli e a distruggerli. Invece l'inerzia, la poca voglia di perfezionarci, ci trattiene ad una considerazione apparente, quasi esterna, che ci tiene in inganno di essere abbastanza buoni ed amanti della virtù, e quasi di possederla, mentre non ne abbiamo che l'apparenza. Quindi i nostri esami, sia per la confessione che per la perfezione, stanno sul generale, con giudizi superficiali, aerei. Inganniamo noi stessi, col persuaderci di essere ciò che non siamo; manchiamo di sincerità con noi stessi.

2 - Sinceri col prossimo. Lo siamo noi?... Esaminiamo i nostri pensieri, le nostre parole e opere... Quanto poca sincerità! Nel giorno del giudizio finale, in cui tutto sarà chiaro ed aperto, quanti saranno i sepolcri imbiancati! Quel tale pensa in un modo e si vergognerebbe che fossero conosciuti i suoi pensieri. Il tal altro dice una cosa e ne pensa un'altra. Così dicasi delle opere fatte con diversa intenzione da quella che si manifesta... Via dunque le bugie, le restrizioni mentali, le adulazioni. Qui dentro bisogna che ci formiamo allo spirito di semplicità. Il semplice pensa, parla ed opera con verità, senza artificio o bugie.

Un giorno venne a trovarmi un sacerdote e cominciò a farmi complimenti... Che bisogno!... State attenti che non s'introduca questa mancanza di semplicità e quindi non dire mai ciò che non si pensa. Nel lodare o biasimare, se lo si ha da fare, si dica ciò che si ha da dire secondo verità. Se anche uno fa una cosa bene, che bisogno c'è di lodarlo? Lui rimane umiliato, tanto più se si dice una cosa e se ne pensa un'altra. Questo modo di agire non va, è una mancanza di spirito giusto, di carattere.

Lo stesso dicasi di chi nel parlare non è mai preciso: o ingrandisce o diminuisce. Ciò si fa per superbia o per scusarci. Nulla di peggio del bugiardo! Neppure quelle mezze restrizioni mentali vanno bene... Come è brutto, in comunità, sentire uno che non è sincero! Come dispiace quel carattere ambiguo, incerto!... Si può cadere improvvisamente, ma bisogna che ci sia la volontà di essere retti.

3 - Sinceri con Dio: quindi sinceri con quelli che rappresentano Dio, cioè i Superiori. Qui mi limito a ciò che riguarda la vocazione e formazione spirituale. Entrati forse sotto il falso consiglio di non aprirci troppo con i Superiori, per non essere rimandati, si tace quanto è necessario per confermare la propria vocazione all'Istituto. I Superiori devono fare studi su studi per conoscerci idonei, e solo forse dopo molto tempo ci riescono. Eppure, non è forse interesse comune chiarire questo punto fondamentale? Le stesse Costituzioni dicono che può essere rimandato colui che cela ai Superiori il reale stato di cose: salute, famiglia, ecc. Siate dunque sinceri, per essere certi e non sbagliarvi in cosa di tanta importanza, e non perdere tempo.

Vi fu chi diede consiglio di non manifestare un difetto, se non dopo la professione... e intanto non si fa una vita tranquilla. Se si vuole (come si deve volere) solo la volontà di Dio ed il nostro bene, manifestiamo ogni cosa (eccetto il peccato) ai Superiori, che ci faranno conoscere la volontà di Dio a nostro riguardo: e non inoltrarci per una strada nella quale Dio forse non ci vuole, con pericolo di dannarci.

Ciò che ho detto della vocazione, si dica di tutto il resto. Invece di cercare ogni modo per farci conoscere ed essere aiutati a correggerci e perfezionarci, si cerca di nascondere le nostre miserie e di coprirle. Non così fecero i Santi, i quali appunto si santificarono aiutati dall'occhio e dalle parole dei Superiori. Non sono gli sbagli che ci devono far pena, ma i sotterfugi. Una delle più belle cose in comunità è la sincerità. Così quando rompete qualcosa, consegnatevi subito, e non siate quasi contenti di averla fatta franca. Siate franchi e semplici! Qui non si fa come altrove, che si fa pagare l'oggetto rotto; il nostro economo non è così... crudele!

Io sono nemico dei sotterfugi, assolutamente nemico di queste cose. Voglio saper tutto, anche gli sbagli. Non pretendo che mi diciate proprio tutto quello che capita, perché alcune cose non sembrano importanti e potete dimenticarle; ma se mi nascondete qualcosa credendo di evitarmi un dispiacere, mi recate il più grande dispiacere. Se una cosa mi dispiace, pazienza! la si sopporterà, ma desidero che mi diciate tutto. Ricordatevi che il Signore non opera nell'acqua torbida!

Neppure posso vedere coloro che vanno dai Superiori per finzione. Se questa confidenza non deriva da cuore sincero, la si lasci stare!... Non tanto studio, dunque, di pensieri e di parole. Quel che è nel cuore, venga sulla bocca. Pensiamo a dire la verità, che non compromette mai niente. La verità è verità, e dobbiamo amarla. La verità è contro il demonio, che ad Eva insegnò subito a mentire. Se nelle nostre parole non c'è tutta la bugia, ce ne può essere un pochino; e se non ci correggiamo, ci rendiamo spiacenti a Dio, al prossimo, ai Superiori che devono studiare giorno e notte per scoprire quello che abbiamo nella testa.

Anche nel cibo vi voglio semplici. Non voglio che abbiate soggezione; se avete bisogno di mangiare, mangiate, né fate gli smorfiosi perché vi spingano a mangiare; neppure lasciate di mangiare per farvi vedere mortificati. S. Ignazio il mercoledì santo, che in quei tempi era di stretta vigilia, per ordine del dottore mangiò carne (656). Tutto quello che si fa, farlo per piacere a Dio. Quello che si fa in privato, sia compiuto in modo da poterlo fare in pubblico. Ci vuole semplicità. Se uno andasse dal Superiore e gli dicesse: "Ho bisogno di un pollo!", ebbene glielo si darebbe; ma se cercasse di mangiarlo di nascosto (e se non è il pollo è qualunque altra cosa), farebbe un'azione abietta, sarebbe una viltà. Far nulla di nascosto.

Se non si sta bene, si dice e bisogna dirlo; è più virtù consegnare i mali che tenerseli. E' superbia il non farlo. Qui bisogna star bene. Se si fosse al Cottolengo, non importa che un ammalato occupi un posto a lungo, perché, via lui, il letto non rimarrà vuoto; ma qui bisogna star bene. Ciascuno abbia un po' di giudizio e se si sente di mangiare, mangi e non si lasci abbattere. In comunità non si stia a guardare quello che prendono gli altri. Voglio questo spirito di libertà; ognuno faccia come si sente.

Amiamo questa virtù che ci rende tranquilli in comunità e ci arricchisce di tanti meriti. S. Francesco di Sales diceva: "Amo tanto la semplicità; essa è sorella dell'innocenza e della carità" (657). Bisogna essere semplici nella mente, nel cuore, nelle parole e nelle opere. E' ciò che voglio in questa comunità: spirito limpido, netto, chiaro; andare avanti con semplicità; quello che c'è dentro ci sia anche fuori.

Fate oggi il proposito di operare come infantes, proprio come bambini che dicono quello che pensano. Bisogna essere semplici con tutti, senza ambiguità. Questo è della massima importanza. I bambini non scambierebbero il tenero amplesso materno coll'abbraccio della più potente regina. Perché? Perché nella loro semplicità non vedono nulla di meglio della mamma. Così siate voi riguardo ai Superiori.

La semplicità è molto necessaria per la perfezione del Religioso. Possedendola godrete una pace inesprimibile e sarete da tutti amati e desiderati.

Costanza ed energia (pensieri)

Per fare un vero missionario ci vuole spirito e volontà, indefettibile costanza ed equilibrio di spirito.

Nelle opere ci vuole stabilità. Val più fare un piccolo bene e continuarlo, che incominciare tante opere grandiose e lasciarle a metà.

La prima dote di un Missionario (ce ne vogliono poi tante altre) è l'energia, la costanza.

S. Paolo ci dice di correre in modo da raggiungere il traguardo (658). Ecco: noi corriamo qualche giorno, massime dopo gli esercizi spirituali. Dopo la santa Comunione siamo ferventi nelle prime ore del mattino, e poi... lungo il giorno siamo fiacchi, camminiamo a rilento, ci stanchiamo. Costi quel che costi, bisogna riuscire! Dunque ci vuole energia e costanza; il Paradiso non è fatto per i fiacchi.

Ah, quell'uguaglianza di spirito!... Essere un giorno tutto entusiasmo e un altro tutta fiacchezza non va! Non dico di essere testardi; ma una volta conosciuto che una cosa è di dovere andare fino in fondo. Bisogna svincolarci da quei giorni, da quelle ore nere e procurare di essere sempre uguali a noi stessi.

E' una grande virtù il sapersi dominare, in modo da essere sempre uguali a noi stessi; in qualsiasi contrarietà, rimanere in calma e mettersi nelle mani di Dio. Talvolta crediamo di aver il dominio di noi e ripetiamo a noi stessi: "Sono una colonna di granito! Sono una torre!". Finché tutto va a seconda dei propri desideri sì sì, la colonna è ferma; ma aspettiamo che il Signore volti la faccia, e noi tosto a soggiungere col Profeta: "Sono conturbato!" (41).

Nelle comunità è brutto agire per abitudine: bisogna scuoterci, ci vuole energia. I santi Missionari non sono delle mezze volontà.

Io temo che fra di voi ci siano di quelli che non sono generosi. Il fine e lo scopo di quest'Opera è di formare delle anime eroiche!

In sostanza, ci vogliono anime generose; il Signore non favorisce la pigrizia. Nella via della perfezione non dobbiamo trascinarci mollemente, ma adoperare il pungolo!

In montagna le strade fanno lunghi giri; sono più agevoli, ma allungano il cammino. Se uno invece taglia dritto, è vero che farà fatica, ma raggiungerà la vetta in più breve tempo. Così nella via della perfezione: fa d'uopo non lasciarci intorpidire, ma scuoterci e tirar dritto con energia.

Uno che voglia farsi santo, ha solo bisogno di corrispondere alle grazie giorno per giorno, ora per ora; essere fedele dal mattino alla sera, e non cedere alle malinconie o ai capricci. Il Signore ricambia con generosità centuplicata la nostra generosità.

Non abbiamo che due giorni da vivere, ma se anche fossero tanti secoli, siano tutti pel Signore. Non vivere sempre incerti tra il Signore e le altre cose. Certe cose non sono cattive, ma disturbano. Il Signore vuole generosità. Anche in mezzo alle prove, alle tentazioni, Egli è con noi. Che importa che non lo sentiamo? Purché ci sia!

Talora ci lamentiamo che non proviamo gusto. Si capisce, siamo freddi, non siamo generosi. Noi vorremmo che il Signore ci facesse santi senza la nostra cooperazione; questa non è energia spirituale!

Non limitiamoci in nulla, non mettiamo riserve. Se noi mettiamo riserve, le metterà anche il Signore. Se il Signore fa andare qualcuno in estasi, costui deve rassegnarvisi; se invece lo vuole al terzo grado di umiltà, deve giungervi!

Siamo fatti così: proponiamo, ma non sempre dimostriamo l'energia continua in tutte le cose. Certuni si perdono in un bicchiere d'acqua. Perché c'è un po' di malinconia, eccoli scoraggiati, prostrati. Lo ammetto, saranno pensieri involontari, ma se si avesse un po' di energia, di energia spirituale! E' perché non ti scuoti che non riesci a fare meditazione; è perché non ti scuoti, che nella Visita al SS. Sacramento hai sempre la testa per aria; è perché non ti scuoti, che vai alla Comunione così, tanto per andarvi...

Bisogna servire il Signore con fedeltà costante ed energica. Pare che certuni facciano la carità a Nostro Signore, a fare sacrifici! La carità la riceviamo noi, ma bisogna corrispondere. Non vi è infelicità più grande che vivere rilassati in comunità. L'energia è il dono che il Signore dà a chi lo ama. Su dunque: coraggio!

Attività ( pensieri )

Attività, attività, perché il tempo è breve! Ciascuno dica a se stesso: Voglio morire prima di morire!... Con essere attivi, si ha sempre tempo a tutto e ancora tempo d'avanzo. Il Signore dispensa le grazie secondo lo sforzo che uno s'impone. Esaminatevi su ciò che fate e su ciò che potreste fare.

Quand'io ero alunno di Don Bosco, non vi era che l'Oratorio di Valdocco; ora i Salesiani sono già sparsi in tutto il mondo. Vedete: il Signore benedice l'attività e l'energia. Bisogna agire. Se stiamo ad aspettare il tempo buono, si fa mai niente. Facciamo oggi quel che pare necessario, e domani si vedrà.

S. Giuseppe Cottolengo avrebbe potuto starsene tranquillo. Era Canonico al Corpus Domini e poteva condurre una vita non faticosa: dire il suo Breviario, passeggiare, leggere il giornale, andarsene a cena senza preoccupazioni... E invece voi sapete quello che ha fatto. Anch'io potrei starmene tranquillo: andrei in Coro, poi me ne andrei a pranzo, poi leggerei la gazzetta, poi mi metterei a riposo... e poi... e poi me ne morrei da folle! E' questa la vita che si deve fare? Siamo destinati ad amare il Signore e dobbiamo fare del bene, il maggior bene possibile!

La nostra vita vale in quanto è attiva per noi e per gli altri. Tante volte si bramerebbe di stare un'ora dinanzi a Gesù Sacramentato, invece si sta solo pochi minuti... e si va in camera per il dovere.

Un sacerdote mi diceva: "Ah, se fossi cappellano al Santuario di S. Ignazio, come studierei!" - "Studierebbe un bel niente!" gli risposi. Io sorrido quando sento dire che c'è tanto lavoro. Più lavoro c'è e più se ne fa; ma bisogna lavorare con energia, che è la caratteristica del missionario.

Domandavo una volta in una comunità: "Perché prendete a lavorare sempre le stesse, che sanno già?". - "Perché quelle hanno voglia; le altre guasterebbero anche la roba!". - "No, bisogna prendere le pigre e scuoterle e far venir loro la voglia!". Così dico anche a voi, perché non voglio ingannarvi. Avrei da stare in Purgatorio, se non vi dicessi chiare le cose.

Per certuni solo il fare un passo sembra chissà che cosa! Molti ancora perdono il tempo e non si accorgono che lo perdono, per la loro mollezza... si addormentano sul lavoro!

Un vero Missionario deve raddoppiare le forze. Invece mi pare che quando uno ha un impiego, vi fa il nido come gli uccelli, mentre potrebbe trovar tempo a fare anche altre cose. In certe occasioni si potrebbe trovare il tempo per moltiplicarsi.

Siamo così; se abbiamo poco da studiare, si studia poco; se molto, si studia molto; ciò che si potrebbe fare in cinque minuti, si fa in dieci. Gli uomini che hanno fatto grandi cose, si moltiplicavano. In Missione potrete perdere molto tempo o fare molto bene. Fare le cose bene sì, ma farle sciolte. Quando uno è a capo, bisogna che sia più ardimentoso degli altri.

Fortezza ( pensieri )

Lo sbaglio maggiore di un'anima credo che sia di lusingarsi di essersi data interamente al Signore. Sovente crediamo di esserci dati interamente, irrevocabilmente; ma quando arrivano delle prove, oh! come si vede che non è così. Siamo virtuosi finché ci capita nulla; ma poi basta una preferenza, una mortificazione, un contrattempo per abbattere la nostra montagna di santità. Costi quel che costi, abbia a fare miracoli o no, voglio corrispondere ed essere tutto di Dio, e che la mia non sia solo velleità, ma volontà.

Dobbiamo imitare S. Francesco di Sales che diceva: "Se scorgessi nel mio cuore un filo che non fosse pel Signore, lo strapperei senza pietà!" (659). Quanti fili abbiamo nel nostro cuore! Il filo della superbia, della gola, della gelosia, delle mancanze di carità. Bisogna lavorare a reciderli tutti, affinché il Signore versi su di noi le sue grazie.

Quando qualcuno mi parla di divozione sensibile, non ne faccio neppur caso. Dico subito: questo mettiamolo da parte, perché non è tuo, proviene dal Signore o dall'inclinazione; veniamo a ciò che è sodo!... Quando sarete in Missione, vedrete poi quanto sia grande la virtù in voi! Credevate di essere tanto umili e invece vi sentirete invidiosi, bizzarri.

Distaccarsi dal mondo per noi non significa solo non desiderare il teatro, il ballo, ecc.; ma distaccarci dalle piccole comodità contrarie allo spirito religioso; avere un aborrimento per quei comoducci che non sono più per noi.

Sovente per un piccolo male, per un nonnulla, non si è più capaci di fare tutto il bene, e si pensa a un cumulo di cure che ci sembrano necessarie. Bisogna dimenticarci. Non trascurarci al punto di divenir inabili ai nostri doveri, ma anche ricordare che, se ci preoccupiamo troppo, non facciamo più nulla.

Quei piccoli capricci, quelle piccole voglie bisogna vincerle, perché dopo diventano grosse. Se non ci vinciamo adesso in queste cosette, quando si sarà anziani, si avranno bisogni finti e così invece di dare buon esempio, si farà il contrario.

Io non voglio che pensiate alle croci future poeticamente, come fanno taluni che pensano e dicono: "Ah, io farò, farò...!". E intanto si fa niente.

La virtù non deve vacillare per delle storie, per il caldo o freddo, per un malessere. Se non avete una povertà, una carità, un'obbedienza eroica qui, non l'avrete neppure in Missio.

giuseppeallamano.consolata.org