1° giorno: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1Ts 4,3)
«Se tale è la volontà di Dio per tutti i cristiani, che cosa possiamo dire di noi che abbiamo ricevuto da Dio la più santa delle vocazioni? La vostra santificazione: ecco il mio principale pensiero, la mia costante preoccupazione. Non basta infatti aver ricevuto da Dio una vocazione particolarissima, come non basta goderne i pregi e i benefici. Bisogna valorizzarla camminando nella perfezione che essa richiede. Ecco dunque il nostro ideale: farci santi, grandi santi, presto santi».
«Come missionari e missionarie vi è proposto l’ideale di essere non solo santi, ma santi in modo superlativo. Siete qui per questo, è il vostro primo dovere, lo scopo primo della vostra vocazione, il mezzo primo di apostolato. La vostra santità deve essere speciale, anche eroica e, all’occasione, straordinaria da fare miracoli. Per voi non bastano le altre doti. Ci vuole santità, grande santità».
2° giorno:Abbracciare il fine dell’Istituto
«Nelle Costituzioni il punto della santificazione dei membri non è stato messo a caso, ma per essere una realtà nella vita pratica. Se volete davvero farvi santi, l’Istituto ve ne dà i mezzi. Anche i limiti vostri e degli altri possono aiutarvi a conseguire il fine. Come afferma S. Paolo: «Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8,28). E voi siete precisamente di questi chiamati alla santità e a una santità singolare. Fate dunque che tutto, compresi i difetti vostri e altrui, cooperi al vostro bene».
«Notate che le Costituzioni parlano al plurale: santificazione dei missionari. Nell’Istituto tutto è ordinato a fare tutti santi. Non qualcuno, ma tutti. Ne consegue che ognuno deve impegnarsi, oltre che per la santificazione propria, anche per quella degli altri. Chi pertanto non si fa santo, oltre che a se stesso, fa danno all’Istituto vanificandone il fine. Dobbiamo desiderare la santità degli altri come la nostra».
3° giorno: Prima santi poi missionari
«Le anime si salvano con la santità. Volere far buoni gli altri senza esserlo noi è volere l’impossibile. Nessuno può dare ciò che non ha. Potremmo amministrare un sacramento anche se non siamo santi; ma convertire persone, no. «Credetelo, chi non arde, non incendia», chi non ha fuoco di carità, non può comunicarlo. Non bisogna trascurare l’unione con Dio e sacrificare la propria santificazione per dedicarsi agli altri».
«Sbaglierebbe chi dicesse: «Sono venuto per farmi missionario e basta!» No, non basta affatto. Non bisogna cambiare i termini: prima la nostra santificazione, poi la conversione degli altri. Missionari sì, ma santi. Ogni giorno, nella visita a Gesù sacramentato rinnovate il vostro proposito e diteli: voglio farmi santo, voglio farmi gran santo, voglio farmi presto santo. Lo posso, lo debbo, quindi lo voglio. Dunque, prima santi, poi missionari».
4° giorno: Straordinari nell’ordinario
«La santità che io vorrei da voi non è fare miracoli, ma fare tutto bene. Leggiamo nel Vangelo che, dopo il miracolo operato da Gesù della guarigione del sordomuto, le folle meravigliate esclamarono: «Ha fatto bene tutte le cose» (Mc 7,37). Con queste parole la gente fece a Gesù il più bello degli elogi, perché affermarono che non solo nelle cose straordinarie, ma anche nelle ordinarie e comuni faceva tutto bene. Queste tre parole meriterebbero di essere scritte sui muri delle nostre case e bisognerebbe che alla nostra morte si potessero scrivere sulla lapide della nostra tomba: “Bene omnia fecit”, ha fatto bene tutte le cose».
«I miei anni ormai sono pochi, ma fossero pur molti, voglio spenderli in fare il bene e farlo bene. Io ho l’idea del Cafasso, che il bene bisogna farlo bene e non rumorosamente. Fare il bene con prontezza, con esattezza, con buona volontà. Il miracolo che io voglio da voi è di fare tutto con perfezione, dal mattino alla sera. Non cose straordinarie, ma straordinari nell’ordinario».
5° giorno: Fare bene il bene
«E quali sono i modi per fare bene tutte le cose? S. G. Cafasso offre alcuni suggerimenti. Il primo è di fare ogni cosa come la farebbe il Signore. Conformiamoci a Gesù, facciamo tutto come farebbe Lui, in modo che sia Lui a vivere e operare in noi. Domandiamoci perciò: “Se Gesù fosse al mio posto, come farebbe? Penserebbe così? Parlerebbe così? Agirebbe così?”. Vorrei proprio che ciascuno di voi fosse un’immagine vivente di nostro Signore».
«Un altro suggerimento è di fare ogni azione come se fosse l’ultima della nostra vita. Qualunque cosa facciate, fatela in modo da essere tranquilli, anche se la morte vi cogliesse subito dopo. Infine fare ogni cosa come se non si avesse altro da fare. “Age quod agis”, fa bene quello che fai. Mettere tutto l’impegno nel dovere attuale, senza pensare a ciò che si è fatto prima o che si deve fare dopo. Quante opportunità si presentano lungo il giorno di moltiplicare questi piccoli atti di virtù!».
6° giorno: Evangelizzare con la santità della vita.
«Il missionario sia e appaia santo e parli alla gente con la santità della vita. Bisogna che la gente possa vedere Dio in lui. Gesù dice agli apostoli: «Chi vede me, vede anche il Padre» (Gv 14,9), e voi a vostra volta possiate dire: chi vede me, vede Gesù! Non basta l’abito e non bastano le parole a dimostrarvi veri missionari, ci vogliono le opere. Sono queste che rendono testimonianza di voi davanti alla gente».
«Il poco frutto di missione può benissimo dipendere da noi, che non siamo strumenti idonei nelle mani di Dio. Non dico che sia sempre così, ma è certo che se fossimo veramente santi, il Signore si servirebbe di noi per operare un maggior bene. La conversione delle persone è cosa tutta soprannaturale. Quanto più saremo intimi amici di Gesù, tanto più potremo sperare nell’intervento della sua grazia. Domandiamoci se, almeno in parte, non sia da attribuire alla deficienza di questa santità se, dopo tanti secoli di apostolato, una gran parte del mondo non sia ancora cristiana. Persuadiamoci della necessità di essere santi».
7° giorno: I santi sono i più felici
«Chi si dà veramente e totalmente al Signore gode il benessere e la felicità anche quaggiù. Più si ha fame e sete di santità, fame e sete di Dio e più si è contenti. I santi che hanno questa fame e sete sono i più felici. La loro pace interiore e la gioia del loro cuore sono così grandi, che traspaiono anche all’esterno e si comunicano agli altri. Di S. G. Cafasso sta scritto che la sola sua presenza e poche sue parole bastavano a ridonare alle persone la gioia dello spirito. Di S. Vincenzo de’ Paoli si diceva: «Vincenzo, sempre Vincenzo!», cioè sempre allegro, sempre uguale a se stesso in tutte le situazioni della vita».
«Non è che uno sia indifferente, che non senta, ma è che l’amor di Dio fa sopportare tutto allegramente. Quando uno ha il cuore tranquillo, quando sente che il Signore gli vuole bene, che cosa ancora potrebbe angustiarlo? Egli può ripetere con S. Paolo: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8,35.37)».
8° giorno: Fare con coraggio il primo passo
«Dobbiamo dunque farci santi e incominciare subito, porre subito mano all’opera della nostra santificazione. La grazia di oggi non vi sarà certo più domani. La grazia che tu trascuri in questo momento, non la riceverai mai più. Ne riceverai altre, ma non questa e di questa dovrai rendere conto a Dio. Fare con coraggio il primo passo. Oggi, non domani».
«Se da questa casa uscirete semplicemente buoni, certo non migliorerete, né vi santificherete in seguito. Se non preparate qui una buona dose di virtù, in missione anziché progredire nella perfezione, constaterete regressi. Dio vi fornisce qui di molte grazie particolari proprio per voi, per la vostra santificazione».
9° giorno: Venendo al pratico
«Le persone che tendono alla santità si possono distinguere in tre classi come insegna S. Ignazio di Loyola. La prima classe è di quelli che hanno un grande concetto della santità, ne conoscono l’esigenza e ne sentono il desiderio, ma si fermano a questo punto e non usano i mezzi per acquistarla. E lo si vede dalla vita. Ora, altro è il sapere e il desiderare e altro è il praticare. Quelli della prima classe passano una vita piena di grazie senza approfittarne e, alla fine, si trovano con le mani vuote».
La seconda classe è di coloro che non si accontentano di semplici desideri, fanno qualche passo nella via della santità, ma a modo loro. Non sono generosi, sono legati a piccoli comodi, non hanno il coraggio di provare gli effetti della povertà e vengono a patti con Dio. Appartengono a questa categoria gli incostanti.
«La terza classe è di quelli che non rifiutano alcun mezzo per farsi santi, non ammettono ritardi e si impegnano con perseveranza. Il pensiero di quanto fecero i santi, e più ancora il Signore Gesù, li sostiene nelle ore buie che anche a essi non mancano. Mi consolo pensando che molti di voi sono da classificare nella terza classe e ne ringrazio il Signore. Esaminatevi davanti a Dio: a quale classe appartenete?».